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occhio al futuro

La lana Sarda che ripulisce il mare dagli idrocarburi

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Vedere una spugna assorbire un liquido ci affascina. Ora immaginate che la spugna sia ricavata da scarti industriali, addirittura rifiuti speciali, e il liquido in questione sia acqua di mare inquinata da idrocarburi. Ma non finisce qui perché la spugna contiene anche dei microrganismi in grado di digerire gli oli restituendo acqua pulita. Da questa intuizione speciale dell’imprenditrice della blue economy Daniela Ducato nasce Geolana. Il diportista attento la troverà in molti porti e anche nelle sentine.

Cristina: Circa 150 milioni di persone vivono sulle coste del Mar Mediterraneo, scaricando in acqua rifiuti di ogni genere, da quelli industriali a quelli civili. Pensate che secondo le Nazioni Unite sono 100/150 mila tonnellate solo gli idrocarburi. Per fortuna c’è ci si occupa di questo con soluzioni innovative. Buongiorno Daniela, cos’è questo?

Daniela Ducato: E’ un tessuto di lana di pecora realizzato in industria con il pelo corto e che diventerebbe un rifiuto speciale smaltito a caro prezzo ambientale ed economico e invece noi lo trasformiamo in risorsa speciale.

Cristina: E lo vediamo lì?

Daniela Ducato: Esatto e non è decorativo. È un tessile che è stato creato a doc per catturare velocemente molti inquinanti, soprattutto gli oli e gli idrocarburi petrolchimici. E fatto in modo speciale per acchiappare, e quindi per ospitare, tutti quei microrganismi utili che sono in acqua e che hanno il compito di metabolizzare e digerire questi inquinanti restituendoci acqua pulita.

Cristina: Un kilo di lana quanto assorbe?

Daniela Ducato: Tra i 10 e i 14 kili quindi immaginiamo quanto può essere utile e importante creare una gestione sostenibile e responsabile dei porticcioli turistici con un elemento rinnovabile che finito di vivere ritorna a essere mare fecondo.

Cristina: La vostra soluzione si sta diffondendo facilmente nei porti e nei mari?

Daniela Ducato: Sì, per una volta non abbiamo il problema della burocrazia intricata, anzi c’è stata anche una velocità nelle pratiche. Siamo contenti di questa facilità e di questa consapevolezza anche nelle amministrazioni pubbliche. Chi naviga sa che anche in sentina, nel vano motore, si accumulano tanti inquinanti: oli, idrocarburi… Noi abbiamo trovato una soluzione mangia petrolioanche per questa problematica. Come vedete qui ci sono già diversi assorbitori, alcuni sono stati impregnati e stanno biodegradando gli idrocarburi, l’altro è appena stato messo e inizierà tra poco il suo lavoro di biodegradazione.

Cristina: Daniela, spieghi perché questa l’abbiamo al collo?

Daniela Ducato: L’abbiamo al collo e per fortuna non in mare, perché altrimenti vorrebbe dire un piccolo disastro: un grande versamento in mare. Serve proprio per gestire i versamenti visibili e inquinanti. E’ fatto sempre di lana, con un interno di sughero che consente il galleggiamento.

Cristina: La materia prima, la lavorazione e l’innovazione tecnologica sono al 100% sarde, speriamo che questa soluzione si sparga a macchia d’olio. Occhio al futuro!

Just Knock apre le porte ai giovani

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Mio figlio si è appena laureato e in questi mesi ho avuto modo di dialogare con lui sulle sfide e le complessità che i ventenni affrontano per trovare lavoro. Da una parte sembrano esserci infinite possibilità, dall’altra è difficile candidarsi con un curriculum che in buona parte dev’essere ancora scritto. Ne ha fatto esperienza diretta Marianna Poletti, che al problema ha trovato una soluzione innovativa. Just Knock è una piattaforma web che mette in contatto aziende e candidati, a partire dalle idee. Ascoltate come, attraverso la testimonianza dell’ideatrice, di una grande azienda e di una candidata.

OrangeFiber e la moda delle arance

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Qualche giorno fa stavo preparando una spremuta di arance e mi sono resa conto di quanto spazio portino via gli scarti degli agrumi rispetto ad altri rifiuti organici. Composto in giardino e quelle scorze ci mettono molto di più a decomporsi. Nel sud Italia è tradizione preparare le scorze candite o ricoprirle di cioccolato, ma anche se dessi libero sfogo alla mia creatività in cucina, non ho raccolto le arance dall’albero e non voglio correre il rischio di assumere altri pesticidi. Quando mi hanno raccontato dell’idea di una giovane siciliana, ho deciso di condividere la sua storia ispiratrice. La Sicilia, terra di cannoli, è anche centro di innovazione. Grazie a una professoressa che ha ascoltato l’idea di Adriana Santonocito e ha creduto in lei, quello che sembrava impossibile ora è realtà. Oggi con Orange Fiber gli scarti delle arance sono alla moda.

CRISTINA: Due ragazze siciliane, studentesse, si incontrano a Milano. Nasce un’idea che sembra una follia e invece…

ADRIANA SANTONOCITO: E invece è reale. Abbiamo inventato il primo tessuto al mondo ricavato dagli agrumi. È partito tutto dalla mia tesi alla fine del mio percorso di studi in moda a Milano. Grazie alle mie professoresse sono riuscita a entrare in contatto con una professoressa del laboratorio di chimica del Politecnico di Milano. Si sono innamorate di questa idea all’inizio un po’ folle. Non è una cosa che capita tutti giorni. Poi abbiamo testato la fattibilità all’interno del Politecnico e si poteva fare. Abbiamo depositato il primo brevetto italiano, dopodiché è stata fondata la società. All’inizio eravamo noi due, poi ci hanno aiutato tre business angels che sono i nostri attuali soci e infine abbiamo anche ricevuto un aiuto da parte di Trentino Sviluppo.

CRISTINA: L’arancia come diventa un filato?

ENRICA ARENA: L’arancia entra in un impianto di spremitura: viene fatto il succo e tutto quello che resta entra nel nostro impianto pilota da cui viene estratta una cellulosa adatta alla filatura che viene poi filata, trasformata in tessuto e venduta ai brand di moda che ne realizzano capi e collezioni.

CRISTINA: Che tipi di capi si possono fare con la fibra di arancia e quando saranno disponibili?

ENRICA ARENA: Potenzialmente possiamo fare moltissime tipologie di tessuto unendo la nostra fibra d’arancia ad altre fibre. Qui per esempio è stata utilizzata con il cotone, qui con il jersey e qui con la seta quindi con delle applicazioni completamente diverse. Quello che abbiamo realizzato sarà disponibile prima dell’estate 2017.

CRISTINA: Tutto questo senza togliere cibo dalla bocca di nessuno. Sognare, un atto di coraggio necessario più che mai, occhio al futuro!

La carne del futuro

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Sappiamo che gli attuali livelli di consumo di acqua potabile e terra coltivabile rischiano di compromettere la capacità del pianeta di rigenerarsi, ma esistono sempre più soluzioni sostenibili in grado di alleggerire il consumo di risorse naturali. Ad esempio, per la produzione di cibo. Gli allevamenti e la produzione di carne hanno un impatto negativo sull’ambiente. Ma esistono alternative, ogni giorno più economiche ed efficaci. Questa è una da tenere d’occhio.

Cristina: Globalmente, continua a crescere il consumo di carne, anche se sappiamo che gli allevamenti intensivi hanno un impatto ambientale oramai insostenibile. Ma ci sono alternative! Oggi ve ne raccontiamo una davvero originale.

Mark Post: Siamo stati i primi a farlo, ma non i primi ad avere l’idea. Winston Churchill nel 1932 aveva già alluso a questa possibilità.

Cristina: Quanto tessuto prelevate da una mucca per far crescere un hamburger in laboratorio?

Mark: Beh, in teoria è sufficiente solo una cellula. Ma in realtà, prendiamo un piccolo lembo di muscolo tramite la agobiopsia e otteniamo circa 200 cellule. Il prelievo si può fare da qualsiasi muscolo.

Cristina: Quanto ci vuole per far crescere un hamburger?

Mark: 9 settimane.

Cristina: E poi? Da quel momento in poi?

Mark: Beh è un processo esponenziale in 2 fasi: la prima è far crescere un gran numero di cellule. E quando ne hai tante, puoi incominciare a creare i tessuti. Per creare un hamburger, per esempio, ci vogliono 9 settimane. Per creare 2 hamburger ci vogliono 9 settimane e 2 secondi. E per creare 50 mila hamburger ci vogliono 9 settimane più una. Quindi in realtà non è tanto importante il tempo di crescita, ma piuttosto le quantità che possiamo produrre. Nel 2013 il prototipo di hamburger costava circa 250 mila €. Se lo coltivassimo ora, con la stessa tecnologia per avere una produzione su larga scala, il costo sarebbe di circa 10-11 dollari per hamburger.

Cristina: E a che prezzo puntate?

Mark: Meno di un hamburger normale. Sappiamo già cosa dobbiamo migliorare per abbassare il prezzo. Non è complesso. Ma qualcuno deve farlo.

Cristina: Qual è l’attitudine mentale dei consumatori verso la carne coltivata in laboratorio?

Mark: Le persone sono in grado di comprendere i vantaggi di questa procedura. All’università di Oxford hanno calcolato che si ridurrebbe il consumo di suolo degli allevamenti di bestiame del 90%. Il fabbisogno di acqua dolce del 90%. E di energia del 60%, a seconda delle aree. E anche se il risparmio energetico è inferiore rispetto a quello di terra e acqua, va considerata la riduzione del metano emesso dalle mucche. C’è anche un vantaggio in termini di gas serra, a parità di energia consumata.

Cristina: Presto sarà possibile coltivare in vitro tutto quello che vogliamo. Che ci piaccia o no!

Peptidi – Nora Khaldi

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Avete mai sentito parlare di un peptide? Forse no, ma sicuramente conoscete l’endorfina che è un peptide. Si tratta di una semplice catena di aminoacidi, con un grandissimo potenziale. Alcuni peptidi, infatti, posso modulare le funzioni fisiologiche dell’organismo, permettendoci di ridurre infiammazioni, diabete, la perdita di massa muscolare e combattere l’invecchiamento. Ce lo racconta la matematica irlandese Nora Khaldi che abbiamo intervistato ad Amsterdam. Con il suo team estraggono peptidi dal cibo, dove sono naturalmente presenti, e ne testano l’efficacia nel rigenerare cellule e tessuti. Con risultati sorprendenti.

Cristina: Nora Khaldi è una matematica. Per lei questo frutto, una mela, è molto più di quanto è per noi e adesso ci spiegherà perché.

Nora Khaldi: Quando ho cominciato a lavorare sul cibo, non ho più visto questa come una mela. Per me è un insieme di dati, trillioni e trillioni di molecole che interagiscono tra loro e anche con il corpo umano. Identificando i peptidi, quindi il segmento della proteina attiva, e sciogliendoli dal legame chimico, si trasformano in ingredienti attivi con grossi vantaggi per la salute.

Cristina: Non basta mangiare la mela per avere i benefici dei peptidi?

Nora Khaldi: No, puoi mangiare tutte le mele che vuoi, ma otterrai ben pochi benefici da quel specifico peptide. Il bello dei peptidi è che sono molto flessibili, si legano con precisione ai loro obiettivi e inoltre non lasciano residui nel corpo. Non tutti i peptidi sono attivi, hanno una sequenza di amminoacidi che permette loro di legarsi a un recettore associato a un’infiammazione. E per quei pochi secondi o pochi minuti per cui sono legati, l’infiammazione si riduce, ma la cosa bella è che i benefici restano molto evidenti anche dopo qualche giorno. Il nostro obiettivo è quello di estrarre i peptidi migliori tra quelli che si trovano in qualsiasi cibo e capire come si legano al corpo umano e come regolano le malattie.

Cristina: In questo processo come usi la tecnologia?

Nora Khaldi: Stiamo analizzando cibi di tutto il mondo, in particolare vegetali e cereali e da piccole quantità di cibo riusciamo ad estrarre moltissime informazioni, prendiamo campioni, estraiamo dati, li mettiamo in relazione per trovare nuovi peptidi al loro interno e poi scegliamo i più efficaci. Stiamo lavorando in particolare su quattro condizioni: l’infiammazione, il diabete, l’anti invecchiamento -soprattutto della pelle, attraverso la stimolazione del collagene, l’elasticità e la rigenerazione cellulare- e in ultimo il recupero e il mantenimento dei muscoli, perché è determinante per la nostra salute complessiva. Abbiamo identificato peptidi che stimolano il recupero e il mantenimento del tono muscolare.

Insetti edibili

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Cristina: L’insostenibilità sociale ed ambientale delle filiere alimentari globali che passano per lo sfruttamento di allevatori e pescatori o la contaminazione dei cibi, non solo turba le nostre coscienze, minaccia la nostra salute. Presto saremo 9 miliardi, e non avremo abbastanza cibo di qualità per nutrire tutti. Inoltre di questo passo stiamo seriamente mettendo a rischio anche il nostro pianeta. Nella follia surreale del nostro tempo 800 milioni persone muoiono di fame e noi diamo i pesci ai polli e la soia alle vacche. Che futuro ci attende?

Marco Ceriani: Beh ci attende un futuro diverso. Dal punto di vista alimentare dovremmo portare un po’ più di chiarezza, tornare con un po’ più di natura e soprattutto accorciare la catena alimentare. Gli insetti sono indicati dalla FAO come le proteine del futuro, anche se poi sono le proteine del nostro passato.

Cristina: Quali sono i vantaggi dal punto di vista nutrizionale e ambientale?

Marco: I vantaggi sono tanti, gli insetti sono piccoli, consumano poco, emettono poco in termini di CO2, e quindi sono una buona idea sicuramente come mangime per gli animali perché sono un cibo naturale. Ma sono anche una buona idea per noi perché noi abbiamo sbagliato animali, quelle che tu hai citato prima sono cattivi convertitori. L’insetto converte molto meglio, siamo al rapporto di quasi un kg di mangime per un kg di insetto quindi abbiamo trovato un qualcosa che può nutrire realmente tutte le persone che il mondo ospiterà. Abbiamo un mondo solo.

Cristina: Contro il rapporto di 8 a 1 per una vacca ad esempio.

Marco: Assolutamente si, ma anche un consumo di acqua molto minore, di suolo, di energia. Emissioni di CO2 molto basse. Noi dovremmo stare sotto ai 2 gradi di aumento di temperatura, ma questo è quasi impossibile farlo visto che l’agricoltura dovrebbe aumentare del 70% per mantenere i nostri 9 miliardi di persone.

Cristina: In molti paesi però gli insetti si mangiano.

Marco: Assolutamente si, 50 paesi al mondo, 2 miliardi di persone. A questi vanno aggiunti molto paesi europei e il Nord America, che si sono aggiunti di recente, quindi potremmo dire che un terso del mondo lo sta facendo. La FAO ha fatto un sondaggio   ed è andata a chiedere nel mondo, a chi mangia insetti, perché li mangiano e la risposta è stata del 70% perché sono buoni.

Cristina: Mi hai molto incuriosita, questi immagino siano prodotti alimentari. Ho una farina, dei chips, e questo?

Marco: Questo è il panseta, è un panettone ecosostenibile perché è fatto con il baco da seta, lo scarto di lavorazione del filato.

Cristina: Posso? Me lo offri?

Marco: No, assolutamente, perché siamo in Italia ed è vietato. Potrei fartelo assaggiare in Francia, Belgio, Olanda, ma non qui.

Cristina: Siamo in uno dei parchi tecnologici di ricerca avanzata, proprio sulla filiera di allevamento dell’insetto e non lo posiamo dare neppure agli animali. Non resta che annusarlo, è anche buono.

School Raising, piattaforma di crowdfunding per scuole italiane

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Cristina: Gugliemo che cos’è School Raising?

Guglielmo: School Raising è una piattaforma sulla quale raccogliamo soldi per finanziare i progetti innovativi delle scuole. Raccogliamo i soldi dai cittadini, che in questo modo ci indicano quali sono i progetti che secondo loro devono essere sviluppati all’interno di queste scuole. Lo facciamo in tutta Italia, i progetti arrivano da scuole, dai professori, dagli alunni e anche da associazioni che lavorano con le scuole.

Cristina: E come raccogliete i fondi?

Guglielmo: Raccogliamo online.

Cristina: Quindi usate in sostanza il crowdfunding

Guglielmo: Il crowdfunding reward-based, che vuol dire basato sul dono: io finanzio e in cambio ricevo un dono per quanto ho finanziato.

Offriamo un premio a chi si inventa queste parole in italiano. Il progetto che vi raccontiamo oggi nasce proprio in questa stanza.

Ecco come vedi ci troviamo in quest’aula dell’istituto, piena di tecnigrafi, in cui da ragazza io stessa ho disegnato quando facevo il geometra e poi l’università. Quindi molto obsoleta per il momento in cui stiamo vivendo, e l’idea proprio nasce qui dalla volontà di trasformare un’aula obsoleta in un’aula molto moderna. Per cui, con l’utilizzo sempre per la manualità ma pensando ad un futuro, un futuro anche con il supporto e l’uso della tecnologia.

Cristina: Quando hai iniziato a lavorare insieme agli studenti?

Abbiamo iniziato subito dopo aver messo giù il progetto di massima, abbiamo qui un gruppo di giovani, che sono i principali protagonisti di questo progetto.

Sarà un’aula moderna e comoda, che permetterà agli studenti e i professori e anche al territorio di poter lavorare dentro. Sarà comoda perché noi vogliamo sentirci, all’interno della scuola, come se fossimo a casa.

Noi ragazzi abbiamo realizzato un video per visualizzare il nostro progetto. Chiunque vorrà aiutare potrà finanziarci anche con solo 5 euro sul sito.

Per noi ormai è diventato normale collaborare, ma quando esco e lo racconto ai miei amici e ai miei compagni, quasi non ci credono e mi guardano estraniati dicendo “come fate?”.

Cristina: Nel cuore di Udine, incontro Chiara che ci spiegherà un altro aspetto del progetto.

Chiara: Collaboro con un’associazione non-profit che ha come obbiettivo quello di promuovere i principi della responsabilità sociale d’impresa. L’aula che hai visto oggi è fruibile da tutti, non solo da alunni e insegnanti ma anche manager d’azienda e operatori culturali. Il progetto sarà in parte finanziato dalla scuola, ma in parte attraverso lo strumento di crowdfunding. É quindi una raccolta fondi sul web, grazie alla piattaforma di School Raising.

Si, noi ci occupiamo di tutte quelle soluzioni che fanno collaborare le persone, al di là di una singola aula, lo spazio può diventare un promotore di innovazione, sia per gli studenti sia per le aziende che vogliono trovare una vero motivo anche per innovare la propria responsabilità sociale d’impresa.

Cristina: Persone motivate, aperte al dialogo e alle nuove tecnologie, possono realizzare i loro sogni in tutti gli ambiti. Osate

I danni dell’estrazione mineraria

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Cristina: Questo oggetto che tutti usiamo contiene più di 40 minerali, che vengono estratti in ogni parte della terra. Estrarli crea danni importantissimi sia alle popolazioni che vivono vicino alle miniere, che all’ambiente.

Flaviano Bianchini: Oggi il 38% delle foreste primarie del mondo sono minacciate dall’industria estrattiva. Pensate che solo l’acqua che le miniere che inquinano negli Stati Uniti, solo in un anno, se le mettessimo tutta in delle bottiglie di plastica ne avremmo abbastanza per andare dalla terra alla luna, andata e ritorno, 54 volte. Pensa che per estrarre i 20 grammi necessari a produrre un anello d’oro, bisogna estrarre dalla terra 20 tonnellate di roccia e poi dissolverla con del cianuro. Vicino alla miniera d’ora in Honduras, la mortalità infantile è 12 volte più alta della media nazionale. In Perù, sulle Ande, dove invece viene estratto il rame il 100% degli 80.000 abitanti della città di Serro de Pasco andrebbe ospedalizzato d’urgenza per la presenza di metalli nel loro sangue e la speranza di vita media di quella città è di 15 anni inferiore alla media del Perù. Una miniera d’oro di medie dimensioni come la miniera di Serro de Pasco sulle Ande in Perù, produce la stessa quantità di spazzatura, di rocce, di tutte le città degli Stati Uniti messe insieme, in un anno. Quindi nella città si crea una lotta continua per lo spazio. I bambini giocano a calcio sugli scarti minerari. L’ospedale è quasi seppellito dagli scarti. In Mongolia c’è una miniera d’oro che è un deposito fluviale, quindi nel letto di un fiume lunga 16 km, questo comporta che pastori nomadi devono fare 30km per andare a prendere l’acqua. Pensa che per le attività minerarie tra il 1990 e il 1998 in Ghana sono state sfrattate 30.000 persone. Abbiamo insomma tutto il mondo che giustamente si è indignato all’ISIS che faceva saltare in aria Palmira, in Messico nello stato di Guerrero una compagnia mineraria ha fatto saltare in aria una piramide Olmeca, però li l’hanno chiamato sviluppo.

Cristina: E per noi consumatori quali soluzioni ci sono?

Flaviano: Innanzitutto consumare meno è meglio. Evitare di cambiare prodotti ogni due settimane, desiderare di possedere mille cose. Per esempio esiste una certificazione dell’oro etico e esiste un telefonino che è composto principalmente da minerali riciclati, per di più si può smontare. Per esempio quando la batteria è esausta non si deve cambiare l’intero telefonino, si cambia la batteria, si ricompra e non si cambia tutto il telefono. Se si rompe la telecamera si può sostituire solo quella, il chip lo stesso. Questi sono tutti minerali che si risparmiano e se ne risparmia l’estrazione.

Cristina: Oltre che essere fedeli ai nostri coniugi forse dovremmo essere anche un po’ più fedeli alla terra, che ne dite?