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occhio al futuro

Quakebots, monitoraggio sismico

By sdg 11, sdg 9, technology

Capire quanto è vulnerabile un edificio è di particolare importanza in italia essendo, il nostro, il paese più sismico d’Europa. Oggi vi parliamo di Quakebots, un nuovo sistema di rilevamento e diagnosi.

Cristina: Il sistema Quakebots è un sistema di monitoraggio sismico negli edifici che utilizza la tecnologia IoT per monitorare come l’edificio reagisce alle sollecitazioni sismiche. E da quelle sollecitazioni, utilizzando l’intelligenza artificiale, noi creiamo mappe di classificazione che possono far comprendere quali edifici possono essere più vulnerabili. Speriamo che sistemi di prevenzione come questo si diffondano rapidamente in Italia, perché ce n’è veramente tanto bisogno. Immagino che anche i microsismi stressino un edificio, è così?

Gianni Franzosi:  Si assolutamente, ma anche l’attività antropica, il traffico stradale, quello ferroviario, le metropolitane, i lavori interni che vengono fatti negli edifici. Il sistema è in grado di registrare tutte queste vibrazioni e dar un’informazione dello stress che subisce l’edificio.

Cristina: Il vostro sistema consente di capire quando è il momento di intervenire in maniera preventiva su un edificio?

Gianni Franzosi:  Esatto, il sistema serve per la prevenzione. I dati possono essere usati da ingegneri e architetti per le fasi di adeguamento sismico, ma non è soltanto questo. In Italia abbiamo 7 milioni di edifici in aree ad elevato e medio rischio sismico che sono stati costruiti prima degli anni 70.

Cristina: Nella pratica, voi cosa fate? Installate i sensori?

Gianni Franzosi:  Noi installiamo i sensori all’interno degli edifici, su un muro portante e da quel momento inizia ad utilizzare la rete wifi per comunicare informazioni al sistema in cloud. Tutti i sistemi lavorano in rete, quindi i dati che arrivano da un sistema vengono utilizzati per creare valore agli altri edifici.

Cristina: Quindi serve sia per l’individuo che per fare azioni sul territorio?

Gianni Franzosi:  Si esatto. Azioni sul territorio, ovvero comprendere come il territorio si muove, come gli edifici si muovono durante un evento sismico.

Cristina: Avete già installato un certo numero di sensori?

Gianni Franzosi:  Attualmente abbiamo quasi un centinaio di edifici sotto monitoraggio in varie regioni d’Italia, in Calabria, Umbria e altre regioni e stiamo continuando a crescere.

Cristina: Com’è nata questa storia?

Gianni Franzosi:  È nata in maniere un po’ particolare. Nel 2009 ero responsabile del servizio di supporto al 118 dell’Abruzzo. Il giorno del terremoto alle 6 del mattino, venimmo contattati che dovevano evacuare l’ospedale. Prendemmo tutto quello che avevamo in ufficio – server, postazioni – e andammo su, a L’Aquila e nell’arco di alcune ore abbiamo ricostruito una centrale 118, consentendo al servizio di operare nuovamente. Ho visto la devastazione, cos’era successo e nel mare di emozioni mi sono chiesto “quegli edifici, avranno dato dei segnali prima?”.

In onda 10-3-2018

MDOTM, finanza quantitativa

By sdg 9, technology

Avete mai sentito parlare di finanza quantitativa? L’italia è un paese di risparmiatori, fare le giuste scelte d’investimento e proteggere i propri risparmi, è una sfida. L’elaborazione dati e gli algoritmi, quei procedimenti informatici pre-impostati per risolvere problemi si stanno rivelando anche in questo ambito, sempre più utili e affidabili. MDOTM, è una start-up tutta italiana che si occupa proprio di questo.

Cristina: Voi avete sviluppato un modello di finanza quantitativa. Innanzitutto cosa significa e cosa è in grado di fare?

Federico Mazzorin: Il modello di finanza quantitativa consiste in un modello matematico che prende delle decisioni in modo sistematico. Quello che noi facciamo è che analizziamo delle anomalie di mercato si grandi numeri, per cui un’analisi di tipo quantitativo ti da un grosso vantaggio perché queste anomalie sul singolo titolo sono molto deboli, ma sui grandi numeri ti permettono di avere una buona consistenza. Noi sviluppiamo dei modelli completamente automatici, ma non personalizzati sul cliente, il cliente li prende e li integra nel suo processo decisionale, applicandoci tutti i profili di rischio e le cose che servono al cliente.

Cristina: Quindi gestite una mole di big data, cio tanti tanti dati che parametrati sono in grado di darvi una casistica o un flusso?

Federico Mazzorin: Si esatto.

Cristina: Siete l’unica start-up fintech europea ad essere stata selezionata per un’accelerazione nella Silicon Valley, perché?

Federico Mazzorin: Perché noi non ci rivolgiamo alla clientela finale, come la maggior parte delle start-up fintech, ma ci rivolgiamo ad una clientela professionale ed istituzionale, come banche o società di gestione.

Cristina: Quindi non a me, ma al mio gestore?

Federico Mazzorin: Esatto.

Cristina: Dunque i gestori sono in grado di prendere delle decisioni più affidabili?

Federico Mazzorin: Noi siamo una società di ricerca, quindi analizziamo il mercato e diamo al gestore un tool aggiuntivo per prendere le sue decisioni.

Cristina: E com’è questa esperienza nella Silicon Valley?

Federico Mazzorin: Quello che ci porterà questa esperienza sarà di ampliare il nostro business anche negli stati uniti.

Cristina: In quanti siete e con quali competenze?

Federico Mazzorin: Adesso siamo in sei, per questo progetto a tempo pieno, tre laureati in fisica, due in finanza e uno in informatica.

Cristina: È un onore pensare che questi ragazzi comunque entrino nel mondo ancora così freschi ma evidentemente con un progetto che è molto chiaro ed efficace.

In onda 24-2-2018

Alleggerire l’impatto ambientale delle aziende

By ecology, sdg 12, sdg 9

Ero felice dopo il breve e intenso incontro con Silvio Albini. Capita raramente di parlare con un imprenditore così schietto, trasparente e audace che dice apertamente le cose come stanno (e non come vorrebbe che fossero). “La nostra è la seconda industria più inquinante al mondo dopo quella del petrolio e del carbone….” aveva esordito. Solo chi è impegnato nel fare può mettere nero su bianco in modo così diretto. Le parole sono una conseguenza, non una premessa. Infatti, poi, Albini aveva esposto alcuni dei risultati importanti raggiunti nel percorso progressivo verso la sostenibilità. Gli avrei scritto lunedì per dirgli quanto mi aveva colpito la sua visione concreta, ma la notizia della sua scomparsa mi ha preceduto. Mi chiedo perché un uomo che aveva ancora tanto da dare ci abbia dovuto lasciare. Il mio augurio è che nella sua memoria il suo disegno possa prendere forma, allargandosi in maniera organica nella lunga e complessa filiera del tessile.

Cristina: Il 50% dei tessuti e dei vestiti usati nel mondo contengono cotone. Fibra che nella sua lunga filiera dalla produzione alla lavorazione inquina tantissimo. Siamo in un’azienda che ha deciso di alleggerire il suo impatto ambientale. Quali sono gli obbiettivi che vi siete posti e i risultati che state raggiungendo?

Silvio Albini: È un processo lungo, non dimentichiamo che l’industria tessile, in tutta la sua complessità nel mondo è il secondo inquinatore del mondo in cui viviamo, dopo le industrie del carbone e del petrolio. Bisogna svolgere le proprie attività con trasparenza, bene, step by step, noi abbiamo negli ultimi anni risparmiato 8 milioni di kw/h che corrispondono a all’energia elettrica consumata da 2.700 famiglie in un anno. Poi c’è bisogno di tantissima acqua, anche li, con investimenti importanti la nuova tintoria che abbiamo fatto in questo sito in Val Seriana ci ha permesso di risparmiare 46.000 metri cubi di acqua all’anno, che corrispondono all’acqua di 10 piscine olimpioniche. C’è un uso di materie chimiche importante e qua noi abbiamo iniziato un lungo lavoro di miglioramento continuo che ogni giorno ci porta come si diceva prima.. usare meno acqua ma anche a sostituire materie chimiche che fanno un po’ meno male alla pelle o all’ambiente in cui viviamo.

Cristina: Questo processo di innovazione cosa vi sta insegnando?

Silvio Albini: Sta cominciando a premiarci veramente. Pensi che recentemente sono stato da uno dei nostri maggiori clienti Americani, abbiamo presentato la nostra esperienza dalla materia prima fino al prodotto finito. Devo dire che è stato un grande successo che ci ha permesso anche una maggiore penetrazione presso quei clienti. Dietro c’è una grande spinta dei loro consumatori finali che sono finalmente sensibili a tutto questo mondo.

Cristina: Perché la gente vuole sapere dove nasce e come potrà finire quello che usa, soprattutto quello che porta sulla pelle, quindi chi sa raccontare questa storia con audacia e trasparenza sicuramente verrà premiato.

In onda 27-1-2018

Il green data center di EXE

By ecology, sdg 13, sdg 9, technology

Ogni informazione generata in rete passa attraverso un data center, dove si trovano server, sistemi di archiviazione, sistemi informatici e infrastrutture di telecomunicazione. Inoltre, sono necessari impianti di controllo ambientale quali condizionamento e antincendio per garantire la sicurezza. I consumi energetici complessivi di questi centri informatici rappresentano una delle principali fonti di inquinamento del pianeta e di costo per le aziende.
In questa storia scoprirete come per abbattere l’impatto ambientale legato a tecnologie che si diffondo in rete, é necessario intervenire sull’edificio in tutte le sue parti.
Oggi Executive Service è l’unico “green” data center in sud Europa. Siamo andati a trovarli vicino a Bologna per scoprire come la tecnologia e la sostenibilità possano vivere in armonia.

CRISTINA: Sapete che 15 minuti di video in streaming online consuma la stessa energia del frigorifero di casa in 3 giorni? E che internet consuma quanto l’intera aviazione civile mondiale? Perché qualsiasi informazione che sia in tv, su un telefono,  o su internet passa per un data center. Infatti siamo nel primo green data center a zero emissioni in sud Europa, ed è in provincia di Bologna. Cosa significa un data center a zero emissioni?

Gianni Capra: Un data center a zero emissioni vuol dire che tutto il funzionamento del datacenter è basato su energia assolutamente o autoprodotta, o acquistata da un’azienda in grado di certificare la fonte rinnovabile di un certo tipo. Escludiamo ad esempio fonti rinnovabili di provenienza chippato, alghe, pellet o qualsiasi cosa che comporti combustione. Tutto ciò che alimenta i nostri server non deve causare combustione di alcun genere, quindi si escludono a priori emissioni di CO2.

Cristina: Quali sono i vantaggi per chi usa il vostra servizio?

Gianni: Riceve una certificazione reale della propria attenzione all’ambiente, in quanto la nostra certificazione di emissioni zero ci consente di emettere certificati gratuiti a tutti colori i quali portano in toto o in parte i loro schemi informativi in questo data center.

Cristina: Avete il sostegno e anche l’incoraggiamento della comunità europea.

Gianni: La comunità europea, ufficialmente ha dichiarato la propria preoccupazione nei confronti della rapida e ripida crescita dei data center, in quanto la comunità europea stessa ha individuato i data center nei massimi emettitori di CO2 nel mondo occidentale.

Cristina: E qual’è la vostra ricetta di sostenibilità in questo spazio?

Gianni: Il 50% è legno, l’intero stabile è costruito in legno. Altre scelte tecnologiche riguardano la bassa densità nei rack o armadi o scaffali, e la rinuncia totale ai dischi rigidi. Quindi tutti i nostri server utilizzano memorie allo stato solido come quelle del tuo telefonino e il raffrescamento, che per il 79% del tempo annuo è fatto con aria non condizionata.

Cristina: A che temperatura girano i vostri server?

Gianni: Noi lavoriamo fino a 29 C contro i 19-20 di un data center tradizionale.

Cristina: Grazie. Nei prossimi decenni l’intera popolazione umana sarà connessa in rete, è quindi fondamentale ridurre le emissioni dei data center. E come avete visto, è possibile.

CoeLux, il cielo in una stanza

By technology

Questa è una tecnologia che può cambiare la vita a molte persone perché la qualità della luce naturale, sul nostro umore e sulla nostra salute, fino ad ora non aveva rivali.

I sistemi d’illuminazione CoeLux riproducono l’effeto della luce naturale del sole, entrando attraverso un’apertura nel soffitto, con un sole realistico percepito ad una distanza infinita circondato da un cielo cristallino. Questo risultato straordinario è ottenuto grazie ad un lavoro comprensivo da parte di un team interdisciplinario di ricercatori nei campi della fisica ottica, dei modelli numerici, della chimica, delle scienze materiali, dell’architettura e del design.

I dispositivi di CoeLux sono molto più di lampade luminose. L’azienda “ricrea lo stesso processo scientifico che fa apparire il cielo blu”, afferma il fondatore e fisico Paolo Di Trapani. “Abbiamo costruito il sole.”

CoeLux simula le stesse particelle di ossigeno, azoto e CO2 presenti nell’aria e virtualmente “comprime l’atmosfera” da 10 chilometri a pochi millimetri, creando un solido, piuttosto che gas o liquido. Proprio come gli ascensori hanno permesso la costruzione di grattacieli e l’aria condizionata ha permesso di ampliare gli edifici, Di Trapani crede che CoeLux potrebbe consentire la creazione di “groundscrapers” o edifici che si estendono per centinaia di metri sottoterra, ma che non diano l’impression di essere in un luogo buio e profondo.

Dopo un’ora in una stanza senza luci, illuminata con il loro sistema, l’indice di performance, il grado di benessere di motivazione e di concentrazione, è del 30% superior ripsetto ad un’illuminazione tradizionale. In ambito sanitario viene ridotto notevolmente l’ansia e lo stress, ed è in atto uno studio per misurare l’effetto terapeutico che può avere.

COME FUNZIONA ESATTAMENTE?

Lo scattering di Rayleigh è lo scattering elastico (o diffusione) di un’onda luminosa provocato da particelle piccole rispetto alla lunghezza d’onda dell’onda stessa, che avviene quando la luce attraversa un mezzo sostanzialmente trasparente, soprattutto gas e liquidi.

La luce che proviene dal sole è composta da un maggior numero di fotoni nel blu piuttosto che nel viola. Il colore “celeste” che noi vediamo deriva quindi dalla sovrapposizione (una “media pesata”) dei colori che ci arrivano dal cielo, soprattutto viola, blu e, in parte minore, verde, ed è il motivo principale per cui il cielo appare di colore azzurro. (Wikipedia)

Caracol, design e stampa 3D

By sdg 9, technology

Ogni innovazione comporta molte conseguenze. La storia che vi raccontiamo oggi offre uno squarcio sull’impatto della stampa 3D in molte filiere di manifattura. Ad esempio, la progettazione di una sedia su misura o la realizzazione di una semplice pinza, che influisce sulla performance di un braccio robotico. Il simbolo di Caracol Design Studio è una lumaca, che ha un guscio dalla struttura complessa e stratificata. Una buona metafora per rendere l’idea di quanto si nasconde dietro al design sistemico.

Cristina: Oggi vi raccontiamo del matrimonio tra due tecnologie, la robotica e la stampa 3D, o manifattura additiva. Questo consente di esplorare nuovi orizzonti progettuali. Ve lo raccontiamo attraverso casi molto pratici. Su cosa state lavorando adesso?

Paolo Cassis: In questo momento stiamo studiando un metodo per produrre delle sedie totalmente su misura ed ergonomiche per ogni persona. Stiamo cercando di fare questa applicazione tramite un’associazione di sistemi robotici e dispositivi di stampa 3D.

Cristina: E quindi come funzionerebbe? Io la sogno una sedia ergonomica fatta per me che però non mi costi una cifra improponibile.

Paolo: Si partirebbe scannerizzando, quindi prendendo nel modo più preciso possibile i dati del tuo corpo e della tua schiena per poi rielaborarli digitalmente e farli produrre con una precisione millimetrica al robot e alla stampante 3D.

Cristina: Per un costo di?

Paolo: Per un costo che si potrebbe aggirare tra i 100 e i 120 euro anche.

Cristina: Qualche altro esempio di risparmio con questo tipo di manifattura?

Paolo: Noi abbiamo prodotto questa pinza da fresa, in manifattura additiva, che è molto più leggera del pezzo che tradizionalmente è prodotto in metallo. Questa pinza viene installata proprio sui robot e ha permesso all’azienda di risparmiare sulla taglia di questo macchinario dato che il peso è minore e quindi realizzare lo stesso lavoro con un robot più piccolo. Risparmiando anche decine di migliaia di euro sul prezzo di macchinario.

Cristina: Lavorate anche con artigiani?

Paolo: Si, lavoriamo con artigiani perché crediamo che il valore della tradizione sia portare avanti anche in un ambito innovativo proprio perché è la tradizione, l’innovazione, una collaborazione benefica tra questi due approcci sia un motore del progresso nel design.

Cristina: Con rispetto per il passato, occhio al futuro.

Imballaggi intelligenti

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Gli imballaggi intelligenti sono in grado di allungare la vita di un prodotto sullo scaffale evitando l’uso di conservanti, ma é necessario che le etichette aiutino i consumatori a disitinguere le plastiche biodegradabili da quelle che vanno riciclate. È ora di chiudere il cerchio! Va educato sia il consumatore, che la filiera di raccolta.

Cosa ha spinto SAES a sviluppare questa nuova tipologia di packaging?

Lo sviluppo di un coating attivo per prolungare la shelf life nasce dalla comprensione totale della catena del valore, dal campo al consumatore, definendo i benefici in termini di costo a livello di tutta la filiera, oltre ad un intrinseco ed innegabile valore etico-sociale.

In maniera più generale il mondo del packaging è giunto ad un punto di discontinuità, il consumatore etico riesce a far leva sia sui grandi produttori alimentari sia sul legislatore; per chiudere il cerchio è necessario uno sviluppo delle soluzioni di imballaggio attivo, che richiedono competenze elevate nella sintesi dei materiali attivi e nella loro formulazione in matrici polimeriche(plastiche).

 

I Dati:

Caso 1: Coating attivo in grado di assorbire Etilene

Di quanto si allunga la shelf life di un prodotto grazie all’impiego del packaging avanzato di SAES e Metalvuoto?

Per il prodotto confezionato e refrigerato (ed esempio le fragole che troviamo al supermercato), grazie al packaging attivo che assorbe etilene si passa da una shelf life di 6-7 giorni a una shelf lifedi 10 giorni, con un incremento quindi del 40-50%

Quali sprechi possono essere evitati?

Grazie a questo packaging attivo è possibile una riduzione del food waste che va dal 4 al 10%

Quali tipi di conservanti si possono evitare grazie a questi imballaggi?

Nel caso dell’etilene non si evita l’uso di alcun conservante, ma si parla di pura estensione della shelf life.

Caso 2: Active Packaging in generale

Di quanto si potrà allungare la shelf life di un prodotto grazie all’impiego del packaging avanzato di SAES e Metalvuoto?

In funzione della tipologia di prodotto è possibile avere un’estensione della shelf life da pochi giorni per prodotti freschi (ad esempio IV gamma) fino a 6-12 mesi per prodotti a lunga conservazione (prodotti sterilizzati, prodotti da forni secchi, prodotti liofilizzati, cioccolato). In generale l’aumento percentuale di shelf life oscilla tra il 30 e il 50%

Quali sprechi possono essere evitati?

Potenzialmente l’utilizzo di imballaggio attivo potrebbe produrre un risparmio in termini di food waste pari a 100 – 150 miliardi di Euro nella sola Europa.

Quali tipi di conservanti si possono evitare grazie a questi imballaggi?

Principalmente gli antiossidanti (da E300 a E322).

Forge Reply – realtà virtuale

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La realtà virtuale e la realtà aumentata non sono solo strumenti per divertirsi, ma anche per formare professionisti in vari ambiti o per mostrare lo sviluppo di complessi macchinari industriali prima che vengano prodotti. Forge Reply ci ha mostrato com’è possibile. Siete pronti a stupirvi?

Realizzano applicazioni che sfruttano la realtà virtuale e la realtà aumentata che integrano apprendimento e intrattenimento per permettere a bambini e ragazzi di imparare giocando, o per rinforzare la formazione del personale all’interno di una cornice aziendale. Mettono anche le loro competenze al servizio degli istituti ospedalieri o dei centri riabilitativi che sempre più vedono nelle tecnologie AR e VR dei validi strumenti per il trattamento di diverse patologie.

RIABILITAZIONE CON REALTÀ VIRTUALE IMMERSIVA

La realtà virtuale, e in particolare la Telepresenza Immersiva Virtuale (TIV), offre un approccio innovativo per supportare il recupero funzionale delle abilità nei pazienti affetti da disturbi cognitivi nelle fasi iniziali, disturbi motori quali ictus o malattia di Parkinson, disturbi psicologici come ansia, fobie o stress.

Forge Reply ha progettato un “Cave”, una intera stanza virtuale dove si sperimenta la Telepresenza Immersiva Virtuale (TIV), dove è possibile simulare i tipici scenari in cui vengono trattati alcuni disturbi. Il Cave è un sistema integrato che permette di ricostruire una realtà vera, considerando le sollecitazioni cognitive, uditive e visive. Grazie alla visione 3D stereostopica, legata a un sistema di tracciamento della posizione, il sistema permette una corretta lettura degli spazi, dei volumi e delle distanze, dando così la netta sensazione di essere immersi all’interno della scena virtuale proiettata sugli schermi.

LA REALTÀ VIRTUALE PER LA FORMAZIONE

In ambito aziendale, hanno sviluppato una piattaforma e-learning dedicata alla formazione del personale per le operazioni di installazione e manutenzione sui quadri di media tensione. La piattaforma è composta da due moduli interattivi, uno basato su tecnologia 3D interattiva Unity 3D per uso via web, ed uno uso in realtà virtuale con visore HTC Vive. In entrambi i moduli le operazioni di manutenzione virtuali implementate riproducono fedelmente le relative procedure operative. La visualizzazione interattiva dell’oggetto in 3D, consente all’utente una precisa ed efficace comprensione del prodotto in un ambito dove l’aspetto sicurezza è di fondamentale importanza: con questo strumento, si vuole offrire la possibilità di simulare in assoluta sicurezza delle azioni potenzialmente pericolose.

Le lampade per l’agricoltura di CLed

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Tra poco sugli scaffali dei supermercati cresceranno i vegetali. Il progetto di C-Led è un passo nel futuro della filiera alimentare!

Cristina: La filiera agroalimentare ha forte impatto sulle risorse naturali che sono sempre più scarse e dunque la si sta ridisegnando. Inoltre, la popolazione mondiale sempre più si sposta dalle campagne alle città, e dunque così anche il cibo che consumiamo. Siamo venuti all’Istituto di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna perché qui si stanno facendo delle importanti ricerche. Alessandro, costa state studiando?

Alessandro Pasini: Le piante non assorbono tutta la luce ma solo determinate frequenze luminose che sono dette fotosinteticamente attive. É possibile replicare le stagioni grazie alle luci artificiali e al microclima che andiamo ad adattare in base alla pianta che vogliamo far sviluppare.

Cristina: E quindi questa è una luce estiva o invernale quella che vediamo?

Alessandro: É per i pomodori quindi tipicamente estiva e in grado di far crescere e sviluppare i pomodori anche in inverno.

Cristina: Premesso che siamo grandi sostenitori di mangiare cibi locali e di stagione, ma il vantaggio di crescere pomodori e lamponi tutto l’anno?

Alessandro: Nella cultura di oggi, l’alimentazione prevede di mangiare tutto e sempre. L’Italia è una grandissima importatrice di pomodori fuori stagione ma anche di frutti di bosco. Per cui con queste soluzioni pensiamo di portare un beneficio.

Cristina: Come mai avete quattro vasche per il basilico?

Alessandro: Stiamo testando diverse frequenze luminose che abbiamo scomposto in rosso e blu con l’idea di arrivare alla pianta che ha una dimensione maggiore e aromi maggiori. Nella parte superiore stiamo testano luci per la micropropagazione, che è il primissimo processo duplicazione delle piante e a seconda del tipo di pianta e a secondo della dimensione che si vuole raggiungere stiamo testano dei bianchi diversi.

Cristina: Qual’è la differenza tra un germoglio e microgreen?

Alessandro: I germogli nascono in acqua e hanno bisogno di un tempo tra uno e due giorni. I microgreen hanno bisogno di un substrato, quindi terra ad esempio e acqua potabile. Hanno bisogno di un tempo tra i 5 e i 10 giorni.

Cristina: Qual’è il vantaggio nutritivo di un microgreen?

Alessandro: Anche di 70 volte superiore all’ortaggio allevato in pieno campo

Cristina: Siamo in un prototipo di supermercato, dove qua c’è un’unità di crescita che usa le stesse tecnologie con le luci led. Quando vedremo questo nei supermercati?

Alessandro: Non è futuro ormai, tra poche settimane avremo questa vetrina all’interno dei primi supermercati e saremo anche in grado di controllarla digitalmente per accendere o spegnere l’illuminazione o per attivare il sistema di irrigazione che è completamente automatico.

Cristina: Sistemi di coltivazione indoor come questi hanno tanti vantaggi, ad esempio la riduzione quasi totale di sostanze chimiche additive e il risparmio pensate fino al 90% rispetto al consumo idrico in agricoltura tradizionale.

3Bee, api e tecnologia

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Cosa connette api, stampa 3D e Albert Einstein? Lo scopriamo attraverso questo progetto semplice e sostenibile, interamente ideato in casa grazie all’incontro tra biologia ed elettronica. Le api hanno un ruolo cruciale nelle nostre vite, anche se da cittadini non ce ne accorgiamo. Se ne era accorto qualcuno dalla mente molto brillante, che associava la loro scomparsa a quanto di più catastrofico per la specie umana. Ma con il preciso monitoraggio degli alveari proposto da 3Bee, gli apicoltori sono in grado di prevenire malattie e decimazioni, mentre i ricercatori possono avanzare nei loro studi.

Cristina: Ogni anno da più di un decennio muore una media del 30% della popolazione di api in Europa e Nord America. D’estate poi si riproducono ma il numero complessivo delle famiglie è in continua diminuzione. E questo è un problema grave che minaccia la sopravvivenza di tutte le speciviventi inclusa la nostra. Siamo venuti a Como per incontrare due ragazzi che stanno affrontando il problema. Buongiorno ragazzi, come è nato e come si è sviluppato il vostro progetto?

Niccolò Calandri: Il nostro progetto nasce dall’unione dell’elettronica con la biologia. Io sono ingegnere elettronico e, assieme a Riccardo che è biologo, abbiamo realizzato questo prodottodirettamente in casa. Il prodotto è totalmente costruito nei nostri laboratori casalinghi, lo stampiamo in 3D, lo assembliamo in casa e lo portiamo direttamente sulle nostre arnie.

Riccardo Balzaretti: Un dispositivo che ci permette di monitorare le api in tempo reale, quindi di sapere tutto ciò che avviene all’interno dell’alveare e anche all’esterno.

Cristina: Quali sono i dati che monitorate?

Riccardo Balzaretti: Principalmente lo stato di salute delle api che può venire ricavato attraverso l’utilizzo di sensori per la temperatura, l’umidità, intensità dell’aspetto sonoro e il peso. Una volta messo il dispositivo all’interno se sei vuole si attacca l’alimentazione solare che serve per la ricarica della batteria del dispositivo che di per sé può durare mesi grazie al pannello che la rende pressoché infinita.

Cristina: Quindi voi generate una mole di big data?

Riccardo Balzaretti: Esatto, generiamo una mole molto grossa di big data che poi possono essere utilizzati per far ricerca diretta da ricercatori e università, ma anche da privati che vogliono semplicemente sapere qual è lo stato di salute degli alveari nella zona e ovviamente da apicoltori.

Cristina: Quanti apicoltori ci sono in Italia?

Riccardo Balzaretti: Circa 100 mila, di cui 10 mila sono professionisti. Abbiamo studiato e ricercato anche una soluzione per una delle malattie che è una piaga in apicoltura che si chiama varroa che è un piccolo parassita, acaro dell’ape. Si tratta di un telaino termico. L’idea non è nuova, ma stiamo cercando di ottimizzarla, ed è una soluzione che non prevede chimica.

Cristina: Se le api dovessero scomparire, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita. Questa frase è attribuita a Albert Einstein, non è certo che l’abbia detto, ma il ragionamento è verosimile e far riflettere. Occhio al futuro.