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economia circolare

RI-generation, elettrodomestici circolari

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L’Italia nel 2017 ha raggiunto un tasso di ritorno complessivo dei RAEE del 41,19%, un risultato che dovrà essere incrementato per raggiungere il target europeo pari al 65% della media dell’immesso del triennio precedente entro il 2019. Gli elettrodomestici oramai sono fatti per essere sostituiti e non per durare, il progetto RI-generation è un esempio di economia circolare

Cristina: La maggior parte delle cose che usiamo nasce da un modello di economia lineare, ossia è fatto per essere sostituito e non per durare. Questo genera sprechi ed inquinamento e sappiamo che così non si può continuare. Mimando la natura dove tutto si rigenera e ricordando il buonsenso dei nostri nonni, nasce l’economia circolare, che oggi vi raccontiamo attraverso la storia di una lavatrice.

Riccardo Bertolino: Noi intercettiamo i grandi elettrodomestici: lavatrici, lavastoviglie, frigoriferi e cucine che vengono rottamati. Hanno un grandissimo valore ancora, classi energetiche dalla classe A o superiori e non vi immaginate il valore che questi prodotti hanno ancora perché il vostro credere comune è che quando la lavatrice si rompe non conviene più ripararla.

Cristina: Quindi hanno superato la garanzia ma hanno meno di 5-7 anni.

Riccardo Bertolino: Esatto. Noi comunque rigeneriamo un prodotto di classe energetica ancora attuale ai giorni nostri.

Cristina: Come funziona il processo?

Riccardo Bertolino: Noi abbiamo creato delle collaborazioni con i logistici che lavorano per conto della grande distribuzione e consegnano a casa vostra il prodotto nuovo, a costo zero ritirano il prodotto vecchio. Prima che venga buttato dentro ai cassoni per essere triturati, noi li selezioniamo valutando appunto la classe energetica, marca e modello. L’elettrodomestico viene portato nei nostri laboratori per una rigenerazione che non è una semplice riparazione, ma è anche sostituzione dei componenti usurati e un processo di sanificazione e un intervento di pulizia estetica del prodotto.

Cristina: Alla fine quanto costerà questo elettrodomestico?

Riccardo Bertolino: Lo rivendiamo con una garanzia di un anno, a prezzo meno della metà del nuovo. Il prodotto venduto ha anche degli upgrade, sistemi anti-allagamento, anti calcare e volendo facciamo anche una personalizzazione grafica per il cliente dietro richiesta. Questo consente da un rifiuto, avere un prodotto quasi come fosse un pezzo unico.

Cristina: Non rigenerate solo gli elettrodomestici ma anche le esperienze e il sapere delle persone che lavorano qui.

Riccardo Bertolino: L’Italia è stata la culla produttiva degli elettrodomestici ma molte aziende hanno delocalizzato all’estero, le persone rimangono con forti competenze tecniche che noi usiamo.

Cristina: Grazie Riccardo. Questi prodotti rigenerati si trovano online, purtroppo però con l’IVA al 22%, in Svezia si paga l’IVA al 10% per i prodotti rigenerati e speriamo che questo succeda molto presto anche in Italia. Occhio al futuro

In onda 26-1-2019

Cradle to Cradle, oltre la sostenibilità

By ecology, features

L’INTERVISTA A MICHAEL BRAUNGART SU THE GOOD LIFE ITALIA

Se cuciniamo un piatto partendo da ingredienti mediocri sarà difficile correggerlo in corso d’opera, farlo diventare buono. Tenete in mente questa metafora: vi aiuterà a capire il significato del good design secondo Michael Braungart, teorico, con William McDonough, della filosofia produttiva che va sotto il nome di Cradle to Cradle (“dalla culla alla culla”).

Una filosofia che è diventata anche un’iniziativa concreta, l’Epea (Environmental Protection Encouragement Agency). Sono in tanti a sforzarsi di rendere prodotti e processi industriali meno dannosi per l’ambiente. Ma la posizione di Braungart è diversa: limitare i consumi e salvaguardare l’ambiente non basta.Soltanto ripartendo dalle basi, cioè dalle singole componenti degli oggetti e da come vengono assemblate, possiamo rispettare le leggi dell’ecosistema naturale di cui facciamo parte. «Sappiamo che gli equilibri della Terra sono minacciati, ma la vera innovazione richiede tempo» spiega Braungart. «Internet ha impiegato più di quarant’anni per diventare la rete che è oggi e sono trascorsi quasi 150 anni tra la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e il suffragio femminile negli Stati Uniti. Dobbiamo essere più pazienti quando si tratta di grandi cambiamenti». Chi si occupa di sviluppo a prova di futuro (la parola “sostenibilità” è bandita dal vocabolario di Braungart) è spinto da un senso d’urgenza. «Rischiamo di spendere tutti i soldi per riparare i danni fatti e non avere più i mezzi necessari per cambiare le cose davvero. Anche considerando gli scenari peggiori e se ci comportassimo tutti come Donald Trump, almeno due miliardi di persone e due terzi delle specie sopravvivrebbero sulla Terra (le più minacciate però sono quelle che ci piacciono di più: scimmie, giraffe, tigri, elefanti).» Un’affermazione solo apparentemente paradossale. «C’è una contraddizione in natura: l’individuo non ha molta importanza, ma il collettivo sì. Con meno di mille tigri, la specie non ce la farebbe».

Visione positiva

La proposta di Braungart è considerare gli ultimi 40 anni, passati a discutere e disperarsi combattendo contro un’imminente fine del mondo, un investimento al servizio dell’innovazione futura. La sua è una narrazione propositiva e non catastrofista. L’uomo, secondo lo scienziato tedesco, può avere un impatto positivo sul pianeta, se agisce nel modo giusto. «Quando dipingiamo le cose come un dramma, enfatizziamo i problemi invece delle soluzioni. È assurdo. In parte si tratta di un fatto culturale. In Europa si fa più ricerca del necessario per capire le cause dei problemi, perché è così che si ottengono più finanziamenti. Quando poi si trovano soluzioni, si chiudono i rubinetti delle risorse economiche». Il problema, dunque, è tutto strategico. I decision makers che vogliono mettere in moto le migliori pratiche per una produzione che non impatti sulle generazioni future devono pianificare e comunicare i passi concreti che intendono fare e stabilirne le tempistiche di attuazione. E i consumatori devono essere informati in modo trasparente sui contenuti delle cose. «Partiamo dal presupposto che siamo nei guai e che lo abbiamo capito, ma mettiamo in circolo visioni positive e propositive».

Per ispirarsi è utile guardare ad altre culture. «Ultimamente ho letto alcune fiabe cinesi» racconta lo scienziato tedesco, che è un chimico di formazione. «Ho notato che non ce n’è una in cui vinca la persona più etica. Vince quella più ingegnosa». In questa cornice, cambiano anche i parametri dell’innovazione. A cominciare dal significato che diamo alla parola qualità. Un oggetto che contiene materiali tossici non può essere definito good design, anche se è una meraviglia dal punto di vista estetico. «Design significa progettazione, non creare cose belle. Se non si progettano le cose per essere buone, l’80% dei problemi che quell’oggetto crea all’uomo e all’ambiente non saranno imputabili all’uso che si fa del prodotto, ma alla sua stessa natura». Proprio come in cucina, sono gli ingredienti a fare la qualità dei piatti che cuciniamo. «Il consumatore è ormai sensibile al design problematico. Abbiamo bisogno di una nuova generazione di designer che voglia fare davvero la differenza e non limitarsi a far sembrare le cose un po’ diverse».

Ragionando a livello sistemico, l’unico che a lungo termine abbia senso, mutano i criteri di scelta degli oggetti che usiamo. Anche nel design. È un cambio di paradigma: prendere finalmente coscienza del fatto che tutto quello che viene a contatto con noi ha degli effetti. E che spesso si tratta di effetti dannosi, provocati da sostanze che potremmo evitare grazie a scelte informate. Ogni oggetto che entra nelle nostre vite ha una storia. Per scoprire se quella storia nasconde sorprese spiacevoli, il migliore alleato è la curiosità. La stessa curiosità che spinge alcuni produttori verso un design davvero good. «Penso a Stella McCartney. Lei ha una buona comprensione della qualità e dell’arte. O anche Jochen Zeitz con Puma: è stato un pioniere, ha capito che non si trattava solo di vendere scarpe». Il passaggio interessante è dal prodotto al servizio. «Se acquisti oggi un mobile per ufficio Giroflex, nel 2027 ti ricompenseranno con il 25% del prezzo di vendita e verranno a recuperare il materiale. L’azienda vende soltanto l’uso del prodotto, non la sua proprietà». Non vi vengono in mente faticose manutenzioni, traslochi, mucchi di cose che non servono più? Non dovreste più preoccuparvene e tutto quel tempo lo spenderemmo meglio. In questo film, che non è utopia ma una realtà possibile, i nostri apparecchi elettronici o addirittura gli impianti fotovoltaici sarebbero soltanto “in usufrutto”, con una data di riconsegna prefissata. Terminato il ciclo di vita di un oggetto, chi lo ha prodotto si occuperebbe di recuperare e riutilizzare le sostanze rare e preziose, far tornare in natura quelle organiche e fornirci un nuovo oggetto più aggiornato. Si avvia così il circolo virtuoso dell’economia circolare.

Esperimenti riusciti

C’è qualcuno che è riuscito a fare sistema con la logica Cradle to Cradle? Intanto, le aziende che hanno ottenuto la certificazione. Ma soprattutto chi, come i Paesi Bassi, sta per trasformare un intero Paese secondo i criteri “dalla culla alla culla”. «I Paesi Bassi si trovano in una situazione molto particolare» spiega Braungart. «Metà del Paese è sotto il livello del mare, quindi non hanno un atteggiamento romantico nei confronti della natura. Tutto il contrario dei tedeschi o del principe Carlo che parla di “madre terra” o “madre natura”. Con la madre ti scusi sempre, dato che la “madre” è sempre buona, per definizione». Ecco: gli olandesi da sempre vivono in un equilibrio naturale precario e ne hanno tratto le giuste conseguenze. «I Paesi Bassi hanno discusso e affrontato questi temi con sei, otto, persino dieci anni di anticipo rispetto al resto dell’Europa. Rheinhäfen, a Rotterdam, è una grande area portuale trasformata in un esperimento Cradle to Cradle». Il vecchio porto in disuso sarà oggetto di una sperimentazione per qualcosa come trent’anni, un periodo di utilizzo definito, durante il quale si pianificherà esattamente come gestire risorse, materiali, edifici. Un esperimento di design circolare che vuole trasformare un intero quartiere in un albero: un organismo che pulisce l’aria e purifica l’acqua, produce humus e ossigeno ed è anche un habitat per centinaia di specie.

Il potere della spazzatura

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Arthur Huang, architetto, ingegnere e CEO di Miniwiz, parla dei suoi processi e impianti per usare la risorsa più abbondate che abbiamo: la spazzatura! La macchina portatile Trashpresso, alimentata da energia solare, è stata a Milano nel Parco Sempione durante il Salone Internazionale del Mobile 2018.

PARTE I

Cristina: Oggi vi presentiamo un ingegnere che progetta impianti per la raccolta e la trasformazione dei rifiuti e pensate che ha ingegnerizzato 1200 nuovi materiali. Arthur, qual è il potere della spazzatura?

Arthur Huang: Oggi è la risorsa più abbondante. È ovunque, nei nostri oceani, nell’acqua potabile, perfino nei ghiacciai a 4.900 metri. Questa risorsa è in costante aumento e credo che dobbiamo occuparcene in modo da poter alimentare un nuovo modo di fare design e cambiare il nostro stile di vita in positivo.

Cristina: Tu te ne stai occupando. Quanti impianti avete progettato?

Arthur Huang: Abbiamo ingegnerizzato circa 1.200 nuovi processi che a loro volta, possono essere suddivisi in quattro grandi categorie di macchinari che separano e trasformano la spazzatura che buttiamo tutti i giorni, dagli imballaggi, ai bicchieri e bottiglie in plastica, fino agli scarti tessili. Attraverso i trattamenti differenziati siamo in grado di ottenere una vasta moltitudine di materiali pre-lavorati, che successivamente possono essere utilizzati in edilizia o per altre categorie di prodotto.

Cristina: Indossi alcuni dei tuoi nuovi materiali, puoi indicarmeli?

Arthur Huang: Questa giacca è monomateriale, senza collanti aggiuntivi, fatta di bottiglie di plastica. I pantaloni anche, sono fatti al 100 percento da bottiglie di plastica, ma al tatto sembrano lana. Le scarpe anche sono in PET riciclato. Perfino i bottoni, gli occhiali e il cinturino dell’orologio sono realizzati con mozziconi di sigaretta. Questo bottone è stato fatto con quattro mozziconi raccolti in Svizzera e in Italia e stiamo creando una nuova generazione di bottoni e altri accessori. Questi sono gli occhiali da sole..

Cristina: Quanta energia si consuma per depurare le tossine da questi materiali?

Arthur Huang: È molto più facile di quanto si creda, è per questo che abbiamo creato un macchinario portatile, per dimostrare in realtà quanta poca energia serva. Tutti i processi del macchinario sono alimentati dall’energia solare, l’aria e l’acqua vengono filtrate in un sistema interno chiuso. Si ha un risparmio energetico pari al 90%, rispetto alla materia vergine proveniente dai fondali oceanici, che viene prelevato sotto forma di petrolio e poi trasformato.

Cristina: Quindi non rimangono tossine nel bottone di mozziconi?

Arthur Huang: Abbiamo fatto dei test – non rimangono tossine nei mozziconi dopo il processo. La macchina cattura tutti i fumi in un sistema chiuso di ricircolo interno.

In onda 1-12-2018

PARTE II

Cristina: Leggiamo sui giornali che c’è più materia prima seconda di quella richiesta sul mercato, è una situazione critica e gli stoccaggi di queste materie vengono addirittura bruciati. Il tuo sistema e la tua strategia, come possono avere un impatto a livello globale?

Arthur Huang: Innanzitutto, la maggior parte dei nostri sistemi sono progettati per essere portatili. Credo che sia molto importante poter avvicinare la tecnologia di trasformazione il più possibile alla fonte di spazzatura. Uno dei maggiori problemi oggi del processo di riciclo è la contaminazione. Una volta che avviene, la materia perde di valore e la lavorazione diventa molto costosa e addirittura più dannosa per l’ambiente. Il vantaggio di raccogliere e trasformare i rifiuti in loco è di rendere la materia prima seconda disponibile in situ a ingegneri e designer.

Cristina: Nella tua esperienza quali sono gli anelli mancanti per poter fruire di queste competenze, intelligenza e soluzioni?

Arthur Huang: Il primo anello mancante è il processo di riciclo in sé. Bisogna sapere come separare i rifiuti. Questa è la prima questione. Di tutti i materiali da riciclo disponibili, qualsiasi sia la percentuale di raccolta, meno del 2 percento viene trasformato in un nuovo materiale. Dopo la raccolta differenziata corretta, bisogna sapere come lavorare i rifiuti. Servono tantissimi dati per avviare il processo, anche a seconda dell’utilizzo finale. Verrà utilizzato per fare scarpe? Una sedia, o un palazzo? Hanno specifiche diverse. Noi adesso stiamo lavorando anche sui dati. Stiamo avviando un database aperto a tutti con 1.200 nuovi materiali, frutto del nostro lavoro degli ultimi 15 anni, così che le istituzioni lo possano utilizzare come strumento educativo per giovani designer ed ingegneri, affinché prendano confidenza con questi processi. Stiamo cercando di rendere il sistema circolare.

Cristina: Qual’è il tuo sogno?

Arthur Huang: Il nostro sogno adesso è di costruire un aereo fatto interamente di spazzatura. Abbiamo comprato un vecchio aereo in Germania e l’abbiamo spedito a Taiwan, dove stiamo inventando o meglio, cercando un nuovo processo per costruire l’ala, fatta in PET riciclato.

In onda 8-12-2018