Skip to main content

Cristobal Jodorowsky – Lo sciamano di famiglia

By features, recent

I nostri problemi? Hanno radici antiche e profonde nelle vite degli avi. La soluzione: scoprire che cosa si nasconde nell’albero genealogico.

 

“Quanto assomiglia a sua mamma”, “però il carattere è tutto del papà!”. Queste frasi fatte le sentirete con altre orecchie, se vi capita di seguire un seminario di Cristobal Jodorowsky. “Nella vita danziamo la coreografia del nostro albero genealogico”, spiega Cristobal, poi passiamo anni a cercare noi stessi. I giudizi degli altri sigillano nell’ inconscio un’idea che spesso non corrisponde alla nostra natura più intima. Ci conosciamo per come siamo conosciuti, non per come realmente siamo. Le opinioni, i concetti e le attitudini delle  persone “influenti” nella nostra vita, sono come un vestito, che, strato dopo strato, dobbiamo imparare a togliere. Con grandissimo humor e charme, il giovane Jodorowsky porta “in scena” la sua grande conoscenza dell’essere umano, appresa insieme al padre Alejandro, durante una vita di ricerca. Hanno aperto i sentieri dello psicosciamanesimo, della biogenealogia, dello studio dell’albero genealogico e della psicomagia., conclude Alejandro. E. Indagando nella vita dei loro”pazienti”, si addentrano nei meandri più remoti della loro mente. Interrogano e ascoltano, per poi “prescrivere” la cura con atti di psicomagia. “Accedere ai problemi di una persona significa entrare nella sua famiglia, penetrare l’atmosfera psicologica del suo ambiente”, scrive Alejandro Jodorowsky in “Psicomagia”, edito da Feltrinelli. “Tutti siamo marcati, per non dire contaminati, dall’universo psicomentale dei nostri antenati. Così molti individui fanno propria una personalità che non è la loro, ma che proviene da uno o più membri della loro cerchia affettiva. Nascere in una famiglia è, diciamo, essere posseduto. Questo possesso si trasmette di generazione in generazione: la persona stregata si converte in stregone, proiettando sui suoi figli ciò che prima era stato proiettato su di lei…a meno che non si acquisti coscienza della situazione e si rompa il circolo vizioso”Racconta Cristobal:“A 15 anni ero già impegnato in questo cammino, e ho avuto la fortuna che mio padre iniziasse a sperimentare su di me la sua conoscenza. Sono stato la sua cavia per ogni pratica che abbiamo incontrato: dal massaggio sciamanico alla meditazione zen. Era tutto così intenso che non volevo più andare a scuola!  Sono nato con i tarocchi di marsiglia in mano, è partita lì la ricerca di Alejandro, ma non è mai stato un interesse folcloristico. Poi è giunto allo studio dell’albero, che mi ha appessionato più di tutti. Per “guarirlo”, ha indagato il corpo metaforico (la nostra identificazione con ciò che ci circonda, contro ciò che realmente siamo,ndr.) e la psicomagia. Tutto ciò che trasmetto è risultato di esperienze vissute in prima persona, il nostro è un metodo molto concreto. Per guarire le mie ansie”, prosegue Cristobal, “dovevo lavorare su tutta la mia famiglia, conoscere gli antenati che vivono in me, dialogare con loro, aiutarli ad evolvere, perdonarli, e farmi perdonare da loro. Aprendo la mente, con la fantasia, siamo diventati un’altra famiglia, lavorando sull’albero, ci siamo trasformati. Gli antenati sono diventati miei alleati, sostenengono il mio mondo interiore, guidandomi”. Prendere consapevolezza del proprio albero apre le porte al mito che è in ciascuno di noi. Dalla famiglia, che influenza profondamente il nostro sentire, arriviamo a capirci meglio. Ci portiamo addosso un palco di rami, fitto, misterioso, ripetitivo. Lo studio della genealogia offre indizi che portano a comprendere il rapporto che abbiamo col nostro corpo, nostra unica vera casa, con le emozioni, e con la forza del nostro intelletto. Questi tre livelli dell’essere: fisico, emotivo e del pensiero, sono influenzati dalle tre generazioni che ci hanno preceduto: rispettivamente, dai genitori, i nonni e i bisnonni.

Cristobal insegna a comprendere le dinamiche che abbiamo ereditato, e a modificarle. Con una straordinaria capacità interpretativa, recita i ruoli di genitore e figlio, di marito e moglie, cogliendo a pieno i classici comportamenti che entrano in gioco. Come in “Opera Panica” la famiglia Jodorowsky  porta in scena nei teatri l’allegoria delle nevrosi quotidiane, e con grande umorismo, toccano le corde più intime di ognuno di noi, così tramite le “terapie paniche”, Alejandro e Cristobal aiutano a muovere dinamiche comporamentali fissate nel nostro inconscio. Primo passo è osservare il proprio albero: chi, in famiglia, ci assomiglia di più nel carattere? Che rapporto abbiamo con i nostri genitori? E i nostri genitori con i loro? I nonni andavano d’accordo? A questa analisi, segue l’azione dell’atto psicomagico, che viene assegnato dopo una minuziosa e scrupolosa indagine della storia personale.

Così guidata, la ricerca sugli avi svela una prospettiva nuova sugli intrecci e le dinamiche potenti che si innescano all’interno di una famiglia. Si scopre un mondo ricco di avventure e sventure, di enigmi e segreti, che sono poi le nostre lotte e le nostre conquiste.  “Sono arrivato ai lavori sull’albero e allo psicosciamanesimo perché il rapporto con mio padre e con tutta la mia famiglia era molto doloroso”, racconta Cristobal. “Ho un’ eredità artistica forte, da parte di entrambi i gentitori, e da bambino ero profondamente traumatizzato. Soffrivo così tanto che mi son detto: affronto il mio malessere o mi suicido. Strada facendo, però, ho imparato a curarmi, e oggi aiuto gli altri a risolvere le difficoltà a trovare sé stessi. Ho capito che ho una missione. Come mio padre. Faccio teatro, cinema, dipingo, e mescolo arte e conoscenza in un percorso che definisco di neo-misticismo. Quando insegno, la mia esperienza di attore è preziosa. La bellezza è una potente medicina”. Cristobal, come Alejandro, hanno allenato all’ennesima potenza la loro sensibilità artistica, lavorando con sciamani e maestri in ogni parte del mondo. Come gitani, hanno viaggiato fuori e dentro sè stessi, per codificare un linguaggio. Ora lo usano per instaurare un dialogo con l’inconscio. A differenza, però, di un’analisi interpretativa, di ragionamento, i Jodorowsky propongono l’azione. Dopo un lungo dialogo con l’interlocutore, assegnano atti di psicomagia, copioni da recitare, che superando i confini della ragione, ci portano a contatto con la nostra natura più intima. E’  un tocco di follia che scatena vera magia. Sul risvolto di copertina del libro: “La Danza della Realtà”, di cui si attende la pubblicazione in Italia, Alejandro Jodorowsky scrive:”Della realtà misteriosa, tanto vasta e imprevedibile, percepiamo solo ciò che filtra attraverso il nostro piccolo punto di vista. L’immaginazione attiva è la chiave per una visione più ampia”. I film-culto di Alejandro, quali “El Topo”  e “La Montagna Sacra”, sono saghe surreali, in cui la metafora è spesso pungente. A teatro invece, la famiglia Jodorowsky usa volentieri il veicolo della risata. Con humor le loro opere risvegliano reazioni profonde, e con il loro lavoro terapeutico, con la psicomagia, spostano l’azione sui loro interlocutori. Di fronte all’azione,   l’inconscio, soffocato dall’intelletto, reagisce con stupore. “Ogni essere umano dovrebbe fare un lavoro terpeutico su se stesso”, racconta ancora Cristobal. “Dovrebbe essere obbligatorio, imposto dal servizio sanitario nazionale, come le vaccinazioni! Servono anticorpi positivi, meta-gruppi di persone che lavorano su un più alto livello di consapevolezza“. Procedendo nel lavoro, i Jodorowsky hanno compreso quanto le caratteristiche emotive e psicologiche incidano nella genesi delle malattie.“Non sono medico, ma lavoro con medici”, spiega ancora Cristobal. “Ogni malattia, nella sua lingua, parla di qualcosa che è nascosto. Con lo studio che chiamiamo bio-genealogia, si cerca il conflitto emotivo che la causa, la difficoltà che non trova altra via d’uscita. Il corpo somatizza tutta la realtà che lo circonda, è un sistema simbolico che parla della storia attraverso i suoi diversi elementi. La collera troppo repressa, ad esempio, può causare l’ulcera, ogni “sede” del corpo vuole raccontare qualcosa. Io non guarisco dalle malattie, ma mi impegno ad indicare uno strategico percorso perché ognuno possa concretamente divenire il guaritore di sé stesso” Nell’albero ci sono diamanti, ma per trovarli bisogna potare, poi concimare. Così si diventa giardinieri della propria anima.

Pubblicato su Specchio – LA STAMPA

Cristobal Jodorowsky – Motivi di famiglia

By features, recent

Il figlio del regista più visionario del mondo insegna “terapia genealogica”: induce così ad inscenare la proprio storia privata, fin dall’infanzia, ma anche quella degli antenati. Per sciogliere i nodi del passato, per farci vivere più liberamente il presente.

 

Cristobal Jodorowsky introduce sempre con delle barzellette i suoi seminari. Si carica di vitalità e allegria, muove il corpo con leggerezza, interpreta ogni parola con sconfinata espressività. È libero da vincoli di qualunque tipo, è svelto, si trasforma in un istante, è sempre attento. Crea, cura, comprende, stravolge, spezza, riunisce. È pura fantasia in azione. Insegna con passione la terapia forgiata col padre Alejandro: psicosciamanesimo e terapia genealogica. «Come mio padre, faccio teatro, cinema, scrivo, dipingo. Mescolo arte e conoscenza in un percorso che definirei di neomisticismo», spiega Cristobal. «Ho un’eredità artistica forte da parte di entrambi i gentitori, da bambino ne ero profondamente traumatizzato. Strada facendo ho imparato a curarmi con lo studio dell’albero genealogico e lo psicosciamanesimo. E oggi aiuto chi è in difficoltà nel trovare se stesso. Quando insegno, la mia esperienza di attore è preziosa: la bellezza è una potente medicina». Le opinioni, i concetti e le abitudini delle persone che sono “influenti” nella nostra vita sono come un vestito, che, strato dopo strato, dobbiamo imparare a toglierci. Per prendere consapevolezza della nostra nuda essenza. In realtà ci conosciamo per come siamo conosciuti, non per come realmente siamo. Ci identifichiamo nei giudizi degli altri perdendo cognizione della nostra natura più intima. Inoltre, ciò che non è stato realizzato dai nostri avi nelle generazioni precedenti si cristallizza nel nostro inconscio, e diventa il “debito familiare” che ci incastra in una continua manifestazione del passato, impedendoci di vivere liberamente il presente. La terapia genealogica insegna che il primo passaggio è comprendere l’origine di tali impedimenti e accettarli. Solo allora possiamo iniziare a forgiare il nostro destino. Curare l’albero genealogico vuol dire rivoluzionarne i concetti, trasformarlo con coraggio per andare incontro alla propria divinità interiore.

In pratica, il lavoro che propone Jodorowsky agisce sui quattro piani dell’essere: fisico, emotivo, creativo, intellettuale. Alla comprensione della propria genealogia, e a come ci influenza, segue poi la psicomagia. Il terapista prescrive azioni che comunicano direttamente con l’inconscio. «Nella psicoanalisi è l’intelletto che comprende dolori, conflitti e blocchi», spiega Cristobal. «Con l’obiettivo di giungere a un comportamento diverso. Ma vedo che, in molti casi, le questioni non sono pienamente risolte nemmeno dopo anni. La psicomagia invece non passa per l’intelletto, ma comunica direttamente con l’inconscio attraverso la metafora, lo muove e rimuove ciò che gli impedisce di esprimersi. Una soluzione non vale mai per tutti, ma la psicomagia è immediata, agisce alla radice dei problemi, mentre l’analisi può durare 5, 10 anni. In passato ho fatto 4 anni d’analisi e due di psicoterapia, ma simultaneamente lavoravo con la psicomagia. Capivo le dinamiche per poi trovare la soluzione attraverso gli atti. Ho imparato su me stesso ciò che applico sugli altri». Il percorso di Jodorowsky è profondamente creativo. L’immaginario è reale, per questo se mettiamo al lavoro la nostra fantasia, troppo spesso ingabbiata dalla razionalità, il fantastico destino ci verrà incontro. Fondersi nella creatività è una liberazione, ma è necessario abbandonare ogni morale nel momento della terapia genealogica.

Con umorismo e carisma, il giovane Jodorowsky porta “in scena” la sua conoscenza profonda dell’essere umano, con il padre Alejandro, pioniere dell’avanguardia teatrale cilena, messicana ed europea dalla fine degli anni ’40, fondatore e animatore del Movimento Panico negli anni ’60 con Fernando Arrabal e Roland Topor, Cristobal sperimenta sin dall’infanzia il vasto sentiero del surreale, per giungere allo studio applicato della metafora inconscia e del potere del simbolo negli aspetti più legati allo sciamanesimo. «Sono un po’ come Obelix, son caduto nella pozione quando ero piccolissimo, ma ad un certo punto mi son chiesto se volevo continuare a sondare i meandri  dell’inconscio, se ero davvero appassionato o se imitavo mio padre per essere riconosciuto. Quando sei sincero, la vocazione ti viene incontro. Così a 16 anni ho iniziato seriamente il mio cammino. Fino ad allora ero uno studente gitano, ambulante, sempre in viaggio da sciamani, psicologi, artisti. Si parlava tanto di queste cose in casa. Ho capito che Dio vive in me e vuole che io sia utile agli altri».

Jodorowsky insegna in Italia da un paio d’anni, tiene un numero sempre crescente di seminari. Per alcuni il lavoro è troppo intenso, ma i più audaci hanno incontrato un percorso che apre la mente, con la fantasia si sono liberati da pregiudizi, hanno trasformato nemici in alleati, hanno scoperto la propria ricchezza interiore. «Un tempo partecipavo pienamente al dolore degli altri, se ne libera parecchio nei miei seminari, poi ho capito che non serve a niente soffrire con chi soffre. Gli sciamani operano in uno stato di estasi, è con la gioia che portano le persone a uscire dal dolore». È proprio l’aspetto più legato allo sciamanesimo che differenzia il percorso di Jodorowsky da quello di altri, vedi le Costellazioni Familiari di Bert Hellinger e Veniero Galvagni Miten: «Sto studiando la costellazione familiare, la direzione è la stessa: guarire l’inconscio familiare attraverso l’azione. La teatralizzazione dell’albero è un aspetto che accomuna i due percorsi ed è finalizzata a ricostruirlo in maniera ideale nell’inconscio, però la struttura del lavoro è diversa. Il nostro è un approccio più sciamanico, partiamo dal presupposto che il cervello non riconosce la differenza tra ciò che vede negli altri e se stesso, tra i suoi avi, i loro progetti, e i propri. Dopo aver lavorato sull’albero, imparando a distinguere le proiezioni degli altri dai propri desideri, bisogna lavorare sugli archetipi, diventare buddha o un grande artista, affinché tutto l’albero sia illuminato e l’individuo sia liberato. Finché c’è un conflitto irrisolto nell’albero, ci sarà una parte di noi che lo riflette, che è goffa. L’albero va continuamente ripulito finché si giunge alla comprensione che la propria famiglia non è che un passaggio, un mezzo. Siamo figli dell’universo intero, la nostra anima nasce prima dell’umanità, prim dell’universo stesso. E quando percepisci il tuo essere infinito cambia anche la percezione dei tuoi problemi. È un grande esercizio di fantasia». “Della realtà misteriosa, tanto vasta e imprevedibile, percepiamo solo ciò che filtra attraverso il nostro piccolo punto di vista. L’immaginazione attiva è la chiave per una visione più ampia”, scrive il padre Alejandro in La danza della Realtà. Cristobal indica un percorso affinché ognuno possa concretamente diventare guaritore di se stesso: «È un processo molto creativo e privo di scontate abitudini, sono grato a mio padre perché questa strada l’abbiamo forgiata insieme. Collaboriamo tutt’ora nello sviluppo della psicomagia e io applico ciò che imparo con lui. Il nostro cognome è un alleato, uno strumento che mi permette di incontrare e aiutare molta gente. Continuano ad arrivarmi nuove opportunità per insegnare, in Italia, Spagna, Cile, Messico, Francia. È proprio vero che quando sei pronto le occasioni giungono da sole». Curare se stessi equivale a superare la paura di scoprirsi. Abbiamo mille volti, la realtà è in perenne mutazione. Jodorowsky insegna a giocare con la realtà, a esplorarsi con gioia per liberare l’energia creativa che è in ciascuno di noi: «Se immaginiamo di sparire, di rimuovere pensieri, emozioni, desideri, di lasciare che il corpo intero si dissolva, ci rendiamo conto che resta sempre qualche cosa. Resta l’essenza, energia pura. In questa dimensione possiamo visitare l’universo intero, oltre lo spazio e il tempo, ricaricare la nostra fonte. Io pratico quel che insegno. Tutti i giorni».

Pubblicato su ELLE Italia

LOV – cosmesi solida e naturale

By features, recent, sdg 12

C’è una scelta sempre più ampia di cosmetici “naturali” che piccoli produttori stanno portando sul mercato.

Mi incuriosiscono quelli solidi perché essendo anidri, ossia privi di acqua, pesano meno nel trasporto (quindi meno emissioni di CO2), non formano batteri, quindi non necessitano di conservanti, sono ottimali per viaggiare, consentono di evitare flaconi in plastica, e sono amici della pelle. Ho scelto di provare quelli di LOV perché nascono da un’esperienza curiosa.

Ivan Caravita e il suo socio Giulio Cardano sono entrambi ingegneri aerospaziali e oggi dedicano tutte le loro energie ai prodotti che hanno sviluppato: una linea solida, naturale, biodegradabile e vegana a zero sprechi lungo tutta la filiera. Il packaging è in carta riciclabile senza pellicole plastiche.

Ivan Caravita e il suo socio Giulio Cardano sono entrambi ingegneri aerospaziali e oggi dedicano tutte le loro energie ai prodotti che hanno sviluppato: una linea solida, naturale, biodegradabile e vegana a zero sprechi lungo tutta la filiera. Il packaging è in carta riciclabile senza pellicole plastiche.

Ho scelto di provare il bagnodoccia alla camomilla, la crema solida per le mani e il disco di argilla esfoliante. Sono tutti buoni. In particolare mi piace la crema per le mani che non unge e lascia uno strato emolliente e il disco di argilla che è efficace nel rimuovere la pelle morta però non è aggressivo e facilita l’assorbimento della crema idratante.

Volendo saperne di più sulla sfida di lanciarsi in un’avventura del genere e della filiera di approvvigionamento delle materie prime, ho chiamato Ivan.

La prima domanda non poteva che essere: Perché un ingegnere aerospaziale fa prodotti cosmetici?

Avevo bisogno di un’esperienza che mi avvicinasse all’umano! Poi, la voglia di creare qualcosa di mio e di etico, pur sempre con metodo scientifico, perché quella è la mia formazione. Chiedendomi quali problemi nel mondo potessi essere in grado di affrontare, la prima risposta è stata: la plastica. Per due anni e mezzo abbiamo studiato, raccogliendo informazioni tecniche, poi abbiamo sviluppato e testato i prodotti e così è nata LOV. 

I vostri ingredienti sono tutti italiani?

Gli oli essenziali per le profumazioni, sì – ad esempio l’olio essenziale di bergamotto è calabrese e quello di limone siciliano. Non usiamo profumi sintetici. Le altre materie prime di base –  burri e oli, no. L’olio di mandorle e l’aloe vera arrivano dall’Ungheria perché il nostro fornitore ritiene che abbiano il miglior rapporto qualità prezzo. 

Ci sono ingredienti che potrebbero essere italiani se avessero una filiera garantita e un prezzo competitivo?

Si. Per esempio l’olio essenziale di bergamotto calabro costa 128 euro al kg, mentre dall’Inghilterra costa 69 euro al kg. Per quale motivo il prodotto italiano deve costare di più di quello importato?  

È un problema che riguarda tante filiere. Siete tornati dal fornitore calabrese a dirgli che vorreste comprare da loro ma chiedete prezzi più competitivi? 

Si, è sceso con il prezzo, anche se non al livello degli inglesi, però abbiamo tenuto duro preferendo il prodotto italiano. Per gli ingredienti di base, invece, usiamo prodotti certificati ma non italiani. Il burro di murumuru viene dal Brasile, perché vogliamo materie prime naturali in grado di dare un beneficio cosmetico. Sui capelli le donne brasiliane lo usano puro, ha una proprietà proteica molto simile al capello e ristabilisce gli equilibri minacciati da smog o trattamenti. 

Tutte le vostre filiere di approvvigionamento sono certificate?

Si. Le materie prime in Europa devono essere assenti di metalli pesanti, cruelty free, e non possono essere da agricoltura intensiva. 

Questo vale anche per la cosmesi più industriale? O solo quella “naturale”?

La legge europea impone a tutte le aziende cosmetiche di essere cruelty free e non avere elementi cancerogeni e mutageni all’interno dei propri prodotti. Quando si costituisce un’azienda cosmetica, ci si iscrive al portale europeo CPMCC – dove abbiamo dovuto dichiarare tutti i nostri ingredienti, come anche al Ministero della Salute, con documentazioni di circa 200 pagine per prodotto! Però alcune multinazionali testano prodotti all’estero dove la ricerca sull’animale  è concessa e poi importano il prodotto dicendo che è cruelty-free. Il mondo legislativo della cosmetica è enorme. l’Europa si adatta agli aggiornamenti italiani perché siamo i più stringenti sui limiti dei metalli pesanti assieme alla Germania. Allo stesso tempo ci sono prodotti che spesso superano i limiti, smentiti solo attraverso un’analisi di controllo dietro segnalazioni. 

Il vostro impatto lo avete misurato? 

Test per le certificazioni, non ancora. Dai nostri calcoli stimiamo che  la crema mani – 40g – equivale a un tubetto di crema di 75 ml, e dura più di 5 mesi seguendo i nostri consigli per l’uso, ovvero dare una buona passata sulla zona da idratare. Quanto ai prodotti per capelli, sempre seguendo i nostri consigli, dura quasi due mesi – con 30 lavaggi ogni due giorni, mentre un flacone da 250ml di prodotto dura circa un mesetto. E non ci sono imballaggi di plastica da smaltire.

Nel vostro primo anno di attività avete raggiunto i vostri obiettivi?

Purtroppo no, il mercato è difficile e la fatica di farci conoscere è altissima. Le vendite ancora non coprono i costi. Siamo voluti essere “officina cosmetica”, seguendo un iter burocratico pressoché infinito e abbiamo dovuto finanziare tutto noi. Il 97% della nostra clientela sono donne. Detto tra noi l’uomo si laverebbe anche con lo Svelto! È vero che convincere le persone a cambiare routine non è facile. È un settore complicato con una concorrenza elevata. 

Qual è la principale innovazione scientifica che avete portato nello sviluppo dei vostri prodotti?

Utilizzare tensioattivi di origine naturale, vegetale. Il tensioattivo è quel componente chimico che permette di togliere lo sporco. Di solito le big usano chimici da laboratorio, che consentono di avere margini molto alti. Noi sfruttiamo l’innovazione: è stato inventato il tensioattivo dalla noce di cocco, che mantiene la naturalezza e biodegradabilità. Per noi è stato fondamentale, ci ha permesso di unire il potere schiumogeno mantenendo un grado di delicatezza. 

Siete una Società Benefit? 

La burocrazia necessaria lo rendeva difficile. Al momento siamo una srl normale, ma l’etica non ce la toglie nessuno. 

Bravi, coraggiosi. Buona fortuna.

Intervista – Gente

By rassegna

Si ai prodotti locali, no all’usa e getta
«Acquistare cibo di qualità, tenendo d’occhio la quantità, educa i ragazzi a non buttare il cibo e gli adulti al risparmio». Dal libro dell’esperta di consumi del tg satirico, nuove strategie per una spesa più conveniente e per i consumi energetici ridotti all’osso.

 

Una strada per uscire dalla crisi, chi non la cerca? Quella di Cristina Gabetti, inviata di Striscia la notizia, conduttrice Occhio allo Spreco e autrice del libro che porta lo stesso titolo (sottotitolo Consumare meno e vivere meglio; Rizzoli), è lastricata di buon senso e di piccoli gesti alla portata di tutti.
«Questa crisi è una grande opportunità per rivedere i nostri modelli di consumo», spiega la Gabetti, «per dare valore allargato alla parola risparmio: spendere meno, si, ma anche sprecare meno e inquinare meno».

Accorgimenti semplici, al limite del banale, ma non sempre automatici: eppure, se tutti ci ricordassimo di metterli in pratica daremmo una mano a portafoglio e ambiente. «Non dovrebbero essere una fatica, anche se all’inizio è così: ma è come andare in palestra, basta iniziare…», assicura la Gabetti. E magari anche farsi un’idea di come mettere d’accordo ambiente e tasche, visto che si legge sul libro, preservare l’ambiente per gli italiani è una priorità, a patto che non costi troppo e non incida sulle abitudini quotidiane. Da dove iniziare allora?

«Non c’è una regola che vale per tutti, ma tanti spunto che ciascuno può usare come meglio crede». Prendiamo la spesa, tenere d’occhio i cartellini non sempre basta, anzi. «Acquistare prodotti di qualità, spendendo anche un po’ di più ma facendo attenzione alle quantità, potrebbe servire allo scopo: lo confermano le 4 mila tonnellate di cibo buttate dagli italiani nella pattumiera ogni giorno». Meno e meglio quindi: e quando è possibile mettendoci del nostro, metodo infallibile per garantire un’ulteriore riduzione degli sprechi.

«Se i bambini vedono crescere l’insalata nell’orto, non ne sprecheranno neppure una foglia». L’esempio da seguire è quello degli orti urbani: 2mila solo a Bologna, con molte città che stanno andando in quella direzione, portando il verde nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali.
Basta coltivare un vaso di pomodori sul terrazzo per capire che cosa è la stagionalità. «Consumare i prodotti locali ha un senso sia dal punto di vista dei principi nutritivi sia del trasporto: una rapa d’inverno serve di più al nostro organismo e inquina meno l’ambiente di una fragola che arriva da lontano. Il che vale anche per i pesci, per esempio, anche se non tutti lo sanno». Ovvio che le buone pratiche per essere seguite non devono complicare troppo la vita alle persone: «Ecco perché i Gas, gruppi solidali d’acquisto, si moltiplicano così velocemente».

E poi? «Poi bisogna uscire dalla mentalità dell’usa e getta, iniziare a scegliere i prodotti non solo per il contenuto, ma anche per il contenitore, che costa e inquina: se ognuno di noi si ricordasse di uscire di casa con una busta di tela in borsa si eviterebbero i sacchetti di plastica al supermercato come le buste di carta nei negozi di abbigliamento». Di certo c’è tanto da fare tra le mura di casa, visto che il 57% dell’energia che consumiamo per riscaldare e illuminare gli ambienti in cui viviamo è sprecata: colpa della scarsa coibentazione delle abitazioni, delle cattive abitudini, dei termosifoni accesi anche quando non servirebbero. «Non ci si deve arrendere, bisogna farlo presente nelle riunioni di condominio, vigilare perché la manutenzione sia corretta e l’uso delle caldaie adeguato alle esigenze, spingere perché il costo venga ripartito non in base ai millesimi ma ai consumi effettivi».

Ancora, i trasporti: «Se io vado a meno di 130 all’ora in autostrada, oltre a salvare i punti della patente risparmio benzina. Se poi controllo la pressione delle gomme, il risparmio è ancora più consistente». E lo sarebbe ancora di più se io decidessi di lasciare la macchina a casa e spostarmi a piedi o con i mezzi pubblici..

Intervista di Rossana Linguini. Pubblicato su GENTE – novembre 2009

Intervista – Diva e Dona

By rassegna

Tre libri e una rubrica a “Striscia la notizia.” per diffondere un messaggio ecologista, mai attuale come ora: «In natura ogni cosa è collegata. Tutto torna indietro… anche i rifiuti». Una sensibilità che è cresciuta «insieme con i miei figli; per educarli con l’esempio a una eco-condotta»

 

«I bambini devono sentirsi i custodi di questo pianeta». Cristina Gabetti ne è convinta. «Solo loro possono convertire i genitori a un comportamento ecosostenibile». E proprio ai piccoli lettori l’inviata della rubrica Occhio allo Spreco in onda ogni sabato a Striscia la notizia ha dedicato Tondo come il mondo – Manuale per Bambini amici della Terra (Librì Progetti Educativi) illustrato da Piero Corva. Il libro viene distribuito gratuitamente, dietro richiesta, a 50mila alunni di III, IV, V primaria. L’iniziativa fa parte di un progetto di educazione ambientale voluto da Nino Tronchetti Provera, presidente di Fondo Ambienta, che verrà portato avanti durante tutto l’anno scolastico. Esperimenti, laboratori, test, quiz e un concorso per vincere eco-premi come biciclette in materiali rinnovabili, modellini di veicoli solari e, per la scuola vincitrice, una stufa a eco pellet provvista di combustibile. L’autrice al Festival della Mente di Sarzana ha presentato il libro, durante una caccia al tesoro, a un attentissimo pubblico under 10 anni.

Tondo come il mondo. Perché questo titolo?
«Tutto in natura è interconnesso, muore e rinasce. Ogni cosa è collegata. Tutto si svolge in modo rotondo, tutto torna indietro… Anche i rifiuti».

Come è nata la sua sensibilità per l’ambiente?
«Gradualmente, man mano che cresceva la mia famiglia. Ho tre figli: Pietro, 16 anni, Elena 13, Gregorio 8. Con la nascita del primo ho capito che avrei dovuto viaggiare più dentro me stessa e meno nel mondo a caccia di notizie. Con la seconda ho iniziato a praticare yoga e ho approfondito il viaggio interiore iniziato. Con il terzo ho mutato in azione ciò che avevo maturato. Voglio lasciare ai miei figli un mondo gradevole e vivibile».

Come educare i bambini a una “Eco condotta”?
«Con l’esempio: il miglior insegnamento è la perseveranza. Ho sempre cercato di portare all’attenzione le cose nel giusto contesto e non come nozione diretta. Se uso materiali di riciclo, lo sottolineo. Se al mare vedo aumentare la spazzatura, faccio notare che il design ecosostenibile è necessario».

Perché sprechiamo tanto?
«Buttiamo molto perché sovente siamo di fretta e non pensiamo agli effetti disastrosi che le nostre scelte distratte creano. Ricicliamo in base a quello che vediamo fare gli altri, purtroppo in questo siamo animali da branco. Se viviamo in una città pulita, questa resterà tale. Se invece camminiamo in una strada zeppa di rifiuti, questi aumenteranno sempre di più. Arginare gli sprechi è un processo creativo e divertente. Le regole sono semplici e le applicazioni infinite. Dopo averlo fatto ci sentiamo più leggeri, come quando si fa una buona dieta».

Che cosa non butta mai?
«Soffro quando vedo buttare l’acqua. Al ristorante se non riesco a finire la bottiglia, ho sempre con me la borraccia nella borsa e la travaso. Ho nel cuore immagini di bambini come i nostri, che vivono a chilometri da qui, che non hanno nemmeno l’acqua per berne un sorso o per sciacquarsi se si sbucciano un ginocchio».

Come è nata la sua rubrica “Occhio allo spreco” a Striscia?
«È un’esperienza che mi gratifica il cuore. In chi mi riconosce per strada leggo sempre uno sguardo di simpatia. Chi mi avvicina per un autografo spesso chiede anche un consiglio. C’è bisogno di semplicità e di informazioni facilmente applicabili. Così è nata la rubrica. Risponde a una missione».

Sua mamma era americana, lei è cresciuta fra L’America e l’Italia. Quale di questi due Paesi spreca di più?
«Gli americani vincono sicuramente l’Oscar degli spreconi e non se ne accorgono, ma nelle pubbliche amministrazioni c’è più attenzione all’ambiente che da noi. C’è un senso civico maggiore; in Italia abbiamo un margine di spreco da arginare. Sono pochi i comuni “virtuosi” che hanno iniziato un processo di alleggerimento e risparmio. Ma, quando si inizia, si è così gratificati che si continua».

Intervista di Grazie Lissi. Pubblicato su Diva e Donna –  ottobre 2010

Intervista – Vanity Fair

By rassegna

Vivere in modo più eco-compatibile? Si puo, si deve, e non è un privilegio per pochi. La figlia dell’ex presidente della Fiat ne è convinta. E, in un libro, spiega come. A cominciare da un parto con 32 ore di travaglio.

«Che ne dice di cominciare con un succo da Juicy Naam? Usano frutta e verdura biologica per lo più coltivata sul posto». Cristina gabetti, 46 anni, è in vacanza a East Hampton, nella stessa casa dove i genitori la portavano a respirare aria di mare quando vivevano a New York, «la città dove sono cresciuta fino a 9 anni, prima di trasferirmi a Torino, e dove, dopo la laurea a Yale, ho lavorato per un paio di anni in un’agenzia di pubblicità».
Negli Hamptons torna ogni estate, anche se da molti anni si è stabilita definitivamente in Italia, a Milano. «In questo periodo ci riuniamo tutti qui, tre generazioni insieme, mio padre Gianluigi (grande amico della familia Agnelli, ex vicepresidente della Fiat e tuttora, a 84 anni, presidente della Giovanni Agnelli e C. Sapaz, ndr), mio fratello Alessandro, mia cognata, i miei due nipotini di 2 e 4 anni, mio marito (Paolo Martinoni, velista ed esperto di comunicazione, ndr) e i nostri tre figli». Ovvero: Pietro, il più grande, di quattordici anni, Elena, di undici, e Gregorio, di sei.
Intanto abbiamo ordinato un succo Venus: anguria, lime e ginger. Costa 10 dollari. «Decisamente caro, ma da quando personaggi come Calvin Klein e Steven Spielberg hanno preso casa qui, i prezzi sono aumentati in modo incredibile. Quando me lo preparo da sola spendo meno di un terzo», dice Cristina.
Anche se ne hanno tutta l’aria, non sono solo chiacchiere fra donne. Cristina Gabetti ha scritto un libro che esce il 3 settembre, Tentativi di eco condotta (Rizzoli), nel quale attraverso gli errori di nove tipologie umane (dal distratto all’indifferente, dal viziato all’ingordo) fornisce consigli per vivere in modo più sostenibile. Con indicazioni pratiche e informazioni su come evitare danni all’ambiente e a se stessi. Per esempio, scegliendo con attenzione e buon senso ciò che si mangia, si beve e si indossa.
Dopo aver lavorato a lungo come giornalista televisiva (a Mediaset e per il canale satellitare Abitare) e poi come freelance per giornali e riviste, questo è il suo primo libro. Almeno in italia. Nel 1987, un editore americano le aveva pubblicato un volume sul packaging design.
Ma se nel primo libro celebrava l’estetica delle confezioni dei prodotti, nel secondo ci spiega che dobbiamo farne un uso attento per non inquinare.
Cristina Gabetti all’ecologia è arrivata in un modo molto particolare. Si potrebbe dire che la sua è un’ecologia spirituale.

Che, infatti, comincia dallo yoga.
«Sì, perché un conto è conoscere, un conto è sentire l’interconnessione tra noi e la natura. Tutto è iniziato con le trentadue ore di travaglio del mio primo parto, dovute al fatto che al corso di respirazione avevo riso tutto il tempo come una cretina, guardando mio marito che emetteva suoni buffi. Quando rimasi incinta la seconda volta, pensai che fosse meglio correre ai ripari e presi lezioni di respirazione con un’insegnante di yoga. Elena è nata in mezzo a canti e mantra, e lo stupore dei medici che pensavano si trattasse di uno strano rituale musulmano. In realtà usavamo la voce per ridurre la percezione del dolore. È incredible quanto funzioni: quella volta il travaglio fu molto più breve e meno doloroso. E alla terza gravidanza mi ero così specializzata che il parto è durato solo venti minuti».

E il passaggio all’ambientalismo?
«Quando inizi a sentire che il tuo destino non è separato da quello che  hai intorno, le altre persone, gli alberi, i fiumi, è naturale provare più rispetto per la natura. Gli elementi che compongono il pianeta sono gli stessi che abbiamo nel nostro corpo. A cominciare dall’acqua».
Di cui parla molto nel suo libro.
«Ogni volta che vedo in che modo viene sprecata mi metterei a piangere pensando che, in altri Paesi, ne basterebbero pochi litri per salvare una vita. Per non parlare delle migliaia di chilometri che facciamo percorrere all’acqua minerale. L’altro giorno ho fulminato con lo sguardo un’amica che aveva comprato una bottiglia importata dalle isole Fiji».
Le persone che frequenta non condividono le sue idee?
«Dipende. Quando spengo le luci a casa degli amici, non sempre il mio gesto viene apprezzato».
Mentre in familia la appoggiano?
«Gregorio è ancora nell’età che tutto quello che fa mamma è giusto. Mentre Pietro ed Elena ogni tanto mi prendono in giro. “Hai fatto la doccia?” ho chiesto l’altro giorno a mia figlia. E lei, che non ne aveva voglia, mi ha risposto: “Ma, mamma, non dici sempre che bisogna risparmiare l’acqua?”. Quanto a mio marito, a forza di chiudergli il rubinetto quando alla sera ci laviamo i denti insieme, ha imparato a farlo anche da solo».

Parliamo e, intanto, abbiamo raggiunto il ristorante Estia’s. Cristina lo ha scelto perché il titolare, Colin, è uno dei duecento soci di una fattoria biologica nei dintorni. La gestisce un agricoltore poeta, lunga barba bianca e viso rosso per il sole, che sembra uscito da  un’illustrazione dell’Ottocento. Ogni estate, decine di ragazzi vengono qui a lavorare nei campi come volontari. «È da questa fattoria che arrivano le verdure delle nostre omelette. Mentre le pesche dei pancake hanno fatto ancora meno strada: giusto pochi metri, visto che sono state raccolte nel giardino dietro il ristorante». Colin spiega che chi coltiva e vende localmente i propri prodotti può usufruire di sgravi fiscali, non a caso nel giro di pochi chilometri si possono trovare parecchi mercatini che vendono prodotti esclusivamente local. E questa definizione, in America, oggi conta di più del marchio organic (biologico) che, dice Cristina, «sta diventando uno slogan usato dalle grandi aziende. Comprare prodotti locali è più ecologico perché non serve trasporto e quindi non si inquina l’ambiente per farli arrivare nelle nostre case». A proposito di orti e verdura, racconta anche che a Murazzano (il paese, in provincia di Cuneo, di cui è originaria la sua famiglia) sta finendo di ristrutturare un vecchio casale «Usiamo materiali naturali, abbiamo installato pannelli solari per l’acqua calda e cisterne per raccogliere l’acqua piovana da usare per gli scarichi e l’irrigazione. E ho anche applicato qualche principio feng shui.»

Per esempio?
«Prima che venissero posati i pavimenti, abbiamo posizionato un piccolo oggetto prezioso al centro della casa. Con mio marito e i bambini ci siamo messi in cerchio tenendoci per mano, ognuno pensando a quello che di bello avrebbe voluto fare nella nuova casa».
Che oggetto era?
«Un ditale d’oro che apparteneva a mia suocera. Era molto brava nei lavori manuali ed era una grande amante della natura, con un pollice verde straordinario. Mi piacerebbe riuscire a coltivare un mio orto».
Yoga, alimenti biologici, bioarchitettura, feng shui: ha messo in conto che chi legge il suo libro può pensare: «Roba che solo i ricchi possono permettersi»? 
«Lo yoga lo insegnano anche nei parchi pubblici di Milano. E mio padre ancora ieri ha fatto il giro della casa per spegnere le luci. Non è nato ricco, e ha conosciuto i sacrifici del la guerra. Nel mio libro ci sono consigli alla portata di tutti».
A volte non è solo un problema di soldi, ma anche di tempo. 
«Le citerò ancora mio padre, che è sempre stato un gran lavoratore e che mi ha insegnato che per le cose importanti il tempo lo trovi sempre. Credo che la difesa dell’ambiente sia decisamente una priorità».
Ammetterà, comunque, che lei non è la classica ambientalista. In Italia, quando si parla di ecologia, si pensa alla sinistra. 
«E vero. Da noi questa causa è stata portata avanti soprattutto dalla sinistra, ma credo che non sia necessario dare un colore politico alla difesa dell’ambiente. In America l’ecologia è meno politicizzata che da noi».
Mi spieghi.
«Intanto, negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone in genere le grandi le associazioni ambientaliste sono apolitiche. Inoltre, vivere in modo più sostenibile è considerato cool e nei negozi è più facile trovare capi di abbigliamento ecologici. Spesso si tratta di marchi legati all’immagine di un personaggio noto, soprattutto del mondo pop».
E secondo lei funziona?
«Se fai qualcosa di buono, anche inconsapevolmente, va bene lo stesso. Ed è possibile che ciò che oggi hai fatto per moda, domani diventi una scelta più meditata. Milioni di persone stanno lottando per un mondo migliore e quando questa moltitudine sarà abbastanza vasta da fare massa critica, il cambiamento arriverà. È in questo che dobbiamo confidare, in una richiesta che arriva dal basso».
Un leader carismatico non serve?
«Aiuterebbe, ma in Italia abbiamo pochi eco-eroi. Mi piace Jovanotti perché ci crede e si vede. Beppe Grillo con il suo blog fa un buon lavoro, divulgando notizie utili. Ma credo che, se non si fosse schierato politicamente, lo avrebbero seguito più persone»

Mentre Cristina parlava, abbiamo fatto un salto in un mercato di prodotti locali e biologici, e un giro alla fattoria. In auto, ha raccontato i suoi incontri con gli sciamani, i libri che ha letto e le ricerche su Internet da cui è nato il libro, continuando a ribadire come tutto per lei sia  connesso, e come fare qualcosa di buono per l’ambiente significhi sentirsi meglio. Poi, arrivati sulla spiaggia, si è tolta le scarpe e si è messa a correre nell’acqua.

Lei, in effetti, sembra in perfetta forma.
«Ho pensato che un sottotitolo del mio libro potrebbe essere: “Per una sostenibile leggerezza dell’essere”. Perché, se sei sostenibile, ti senti anche più leggero».

 

Intervista di Enrica Brocardo e foto di Basso Cannarsa. Pubblicato su Vanity Fair Italia –  10.09.2008

La transizione ecologica del Ministro Cingolani

By ecology, sdg 1, sdg 10, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 14, sdg 15, sdg 16, sdg 17, sdg 2, sdg 3, sdg 4, sdg 5, sdg 6, sdg 7, sdg 8, sdg 9

Insieme al Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani abbiamo immaginato come sarà il mondo nel 2040 quando suo figlio piccolo avrà 30 anni. Cingolani ci aiuta a capire perché è necessario agire ora per mettere a frutto tutta la conoscenza che abbiamo. Siete pronti a fare la vostra parte per facilitare una transizione che, per la natura stessa del termine, dev’essere graduale? 

Cristina: Come sarà la transizione dal mondo che abbiamo a quello che vogliamo? Siamo venuti a Genova per chiederlo direttamente al Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani, fisico, ricercatore e padre di 3 figli. Buongiorno Ministro. Nel 2040 mancheranno 10 anni all’obiettivo zero emissioni del 2050 e suo figlio piccolo avrà 30 anni – come sarà il mondo?

Ministro Cingolani: Se avremo fatto un buon lavoro adesso potrà essere molto più pulito di com’è ora e soprattutto dovremo avere molta meno anidride carbonica in atmosfera e probabilmente cominceremo limitare e mitigare gli effetti del riscaldamento globale. Il problema è che dobbiamo incominciare da domani a installare tutta l’energia rinnovabile che ci serve, dobbiamo arrivare al 72% dell’elettricità prodotta in maniera rinnovabile al 2030, quindi 10 anni prima della data che mi dice lei e devo dire che questo un po’ mi preoccupa. Il problema in questo momento paradossalmente non sono né le risorse né le tecnologie, ne le grandi aziende che possono installare questi grandi impianti, soprattutto in Italia dove ci sono competenze enormi. In questo momento il fattore più limitante è quello burocratico. La catena di permessi per impiantare delle centrali fotovoltaiche, eoliche, insomma rinnovabili, è talmente lenta che noi rischiamo che nel tempo della durata del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che è 5 anni, questi vengano rilasciati con molto ritardo. Bisogno semplificare innanzitutto l’aspetto normativo e l’aspetto autorizzativo perché c’è urgenza, non si può più perdere un giorno.

Cristina: Immaginiamo ancora un attimo quel mondo nel 2040.

Ministro Cingolani: Mobilità intelligente, più a misura d’uomo, più verde. Si spera di aver recuperato un po’ di biodiversità, e soprattutto una grande consapevolezza da parte di quelli che in quel momento saranno gli adulti, cioè di quelli che oggi sono i bambini.

Cristina: Inevitabile la domanda sui sussidi alle fonti fossili. A che punto siamo e qual è secondo lei la giusta destinazione?

Ministro Cingolani: È un argomento delicatissimo, la sostenibilità purtroppo è un compromesso fra istanze diverse, noi dobbiamo mitigare al più presto i danni che abbiamo fatto all’ambiente ma allo stesso tempo dobbiamo consentire alla gente di vivere e lavorare e purtroppo questo dipende anche dalle situazioni contingenti, non usciamo da un periodo particolarmente florido e felice. Certamente vanno ridotti il prima possibile, casomai riducendoli si riesce a reinvestire una parte di queste riduzioni in qualcosa che aiuti la creazioni di nuovi posti di lavoro, anche a ricondizionare le attrezzature e i mezzi, per esempio dei trasportatori. Bisogna avere una grande equidistanza perché se si ideologizza il problema facciamo danno ai lavoratori, se trascuriamo il problema facciamo un danno all’ambiente, quindi dobbiamo tutti riflettere su come riorganizzare i nostri costumi i nostri stili di vita sapendo che non c’è nulla di gratis.

Cristina: Grazie Ministro.

Ministro Cingolani: Grazie a voi e buona fortuna a tutti.

Cristina: La transizione ecologica del nostro paese deve adempiere a tutti e 17 gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Un occhio al presente e occhio al futuro!

In onda il 12-6-2021

e-concept, mobilità elettrica a Venezia

By ecology, sdg 11, sdg 13, sdg 3, sdg 7, sdg 9, technology

Avreste mai immaginato che Venezia è in cima alle classifiche per concentrazione di polveri sottili nell’aria? Vi siete mai chiesti se inquina di più un motore stradale o marino? Insieme a Francesco Pannoli e Claudio Iannelli di e-concept rispondiamo a questi quesiti raccontando la loro iniziativa che contribuirebbe a salvaguardare il delicato ecosistema della Serenissima.

Mentre una serie di mecenati e celebrities quali Mick Jagger, Francis Ford Coppola si rivolgono alle autorità nazionali e locali con un “decalogo per Venezia”  richiedendo che si tuteli l’integrità fisica e culturale della città lagunare con uno statuto speciale, il 5 giugno, giornata mondiale dell’ambiente, sono tornate in laguna le grandi navi. Ogni soluzione nel nostro paese rischia di incepparsi nei meandri delle burocrazie, però, più che mai occorre insistere con le buone soluzioni. E cercare di snellire in ogni modo possibile la loro implementazione. Questa è una che merita.

Cristina: Sappiamo che le emissioni delle auto sono regolamentate dalle classi dell’UE. Per le imbarcazioni, che a Venezia assolvono a tutti i bisogni, non ci sono norme corrispettive. Eppure un motore marino ha un impatto molto superiore ad un suo omologo stradale. Secondo lo studio di Legambiente lo scorso anno, Venezia è seconda a Torino per concentrazioni di polveri sottili e questo è imputabile in parte ai mezzi di trasporto. C’è chi sta studiando un’alternativa. Buongiorno Claudio, raccontaci dell’infrastruttura che state creando. 

Claudio Iannelli: Venezia è la città simbolo per il trasporto nautico in quanto sia i privati che il pubblico si muove attraverso le imbarcazioni, abbiamo individuato nella palina di ormeggio nautico l’elemento nella quale integrare la tecnologia necessaria per la ricarica. Crediamo che sia il primo passaggio fondamentale per consentire lo switch che sta avvenendo anche negli altri settori di trasporto verso l’elettrico, in quanto l’elettrico è privo di emissioni nocive sia chimiche che fisiche.

Cristina: Questo ovviamente se vi fornite di energia rinnovabile.

Claudio Iannelli: Si, l’energia che erogano le paline è tutta da fonte rinnovabile certificata. La richiesta di questo tipo di energia motiva le utility a produrne e a immetterne in rete sempre di più. È un percorso virtuoso.

Cristina: Francesco qual è a situazione oggi a livello di emissioni a Venezia?

Francesco Pannoli: Si stima che a Venezia durante una giornata a regime si brucino circa 50.000 litri di combustili di cui l’80% diesel e il 20% benzina verde.

Cristina: Quindi insomma è una forte motivazione a fare questa transizione.

Francesco Pannoli: Si, contando che in laguna ci sono circa 40.000 imbarcazioni.

Cristina: Di cui quante Claudio sono elettriche?

Claudio Iannelli: Allo stato attuale non più di qualche decina, una trentina. Chiaramente è in funzione del fatto che non esiste una infrastruttura di ricarica e l’utente medio non si affaccia a questo tipo di opportunità. Per questo che vogliamo creare una prima rete in modo che il processo si avvii.

Cristina: Qual è il piano di decarbonizzazione di Venezia?

Francesco Pannoli: Il 30 aprile del 2020 il comune ha firmato il patto globale dei sindaci e questo chiaramente è una prima cosa perché la riduzione del 40% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e poi la totale decarbonizzazione entro il 2050. Sta intraprendendo altri progetti molto interessanti come stanziare dei fondi per l’elettrificazione dei mezzi pubblici o delle barche che si occupano della raccolta e del compattamento dei rifiuti quindi ci sono tutte le buone intenzioni per andare verso quella direzione. Ciò non toglie che il cambiamento del settore nautico non è facile.

Cristina: Grazie in bocca al lupo. Questa soluzione adempie agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 3 salute e benessere, 7 energia pulita e accessibile, 9 industria innovazione e infrastruttura, 11 città e comunità sostenibili, 13 agire per il clima.

In onda il 8-6-2021

Francesca Santoro e il Decennio del Mare

By ecology, sdg 14

Chi segue regolarmente Occhio al futuro sa che siamo nel decennio dell’azione per fare progressi sull’Agenda 2030. Ma nel quadro macro dei 17 obiettivi c’è il mondo, e questo è anche il Decennio del Mare. 

Anche per le giornate mondiali c’è una confluenza di temi. Il 5 giugno è dedicata  all’ambiente, ma è anche la giornata per sensibilizzarci sui danni della sovra-pesca e della pesca illegale. Siamo andati a Venezia per incontrare Francesca Santoro, coordinatrice dell’IOC, la Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO che promuove molte iniziative. Non bastasse, l’8 giugno è la giornata mondiale degli oceani! Scoprite quanti strumenti abbiamo a disposizione  per conoscere meglio gli ecosistemi marini e per capire come possiamo fare la nostra parte per salvaguardarli, a partire dalle nostre scelte d’acquisto. Tanto che abbiamo chiuso il nostro bellissimo incontro andando insieme al mercato ittico di Rialto.

Cristina: Gli ecosistemi marini sono sempre più fragili – sono in pericolo e hanno bisogno della nostra attenzione. Per questo l’ONU ha istituito il Decennio del Mare. Siamo venuti a Venezia per incontrare Francesca Santoro dell’Unesco per capire come navigarlo. Francesca buongiorno, dicci cosa dobbiamo sapere di fondamentale riguardo al nostro rapporto con gli oceani?

Francesca Santoro: Una delle cose più semplici che facciamo ovvero respirare lo dobbiamo all’oceano. Nell’oceano si produce dal 50-80% dell’ossigeno che esiste in atmosfera.

Cristina: Quali sono gli obiettivi chiave del vostro programma e come li raggiungerete?

Francesca Santoro: L’obiettivo è informare tutti sull’importanza dell’oceano per il nostro pianeta e lo facciamo attraverso degli strumenti molto pratici. Prima di tutto ci rivolgiamo alle scuole, abbiamo prodotto un manuale per gli insegnanti che contiene  delle lezioni pratiche da svolgere in classe. Poi abbiamo sviluppato una serie di corsi online per i giornalisti per insegnargli come parlare di questi temi ma anche per chi prende le decisioni. Anche gli imprenditori devono imparare che se vogliono essere parte della soluzione devono comprendere che è tutto interconnesso su questo pianeta.

Cristina: Quindi se vogliamo continuare a mangiare pesce dobbiamo sapere come comprarlo, andiamo al mercato?

Francesca Santoro: Molto volentieri!

Cristina: Francesca tu come fai qua?

Francesca Santoro: Prima di tutto guardo la provenienza e la stagionalità perché questo è importante, le persone non sanno che nel mare ci sono le stagioni. Vediamo anche che c’è una mappa.

Cristina: L’italia è zona FAO 37.

Francesca Santoro: Qui siamo in Adriatico ed è il mare più pescoso del Mediterraneo, possiamo decisamente affidarci a quello che troviamo in questa zona. Ciao, oggi mi racconti cosa mi daresti? Mi raccomando locale e di stagione.

Pescatore: Allora oggi ti proporrei una bella ombrina pescata. Pescata qui in laguna come vedi con la canna, gallinella sempre nostrana o conosciuta anche come lucerna oppure c’è lo scorfano pescato all’amo. Qui tutto pesce vivo. Oppure le seppie locali che adesso è stagione. Seppie vive di laguna. Ci sono clienti che vengono da anni e si fidano ciecamente di noi perché oramai sanno che cosa gli diamo quindi ci chiedono “che cosa posso mangiare oggi” e noi proponiamo di solito sempre del giorno o del momento.

Francesca Santoro: Grazie mille. Buon lavoro!

Cristina: Il Decennio del Mare tocca l’SDG 14 vita sott’acqua, ma anche tutti gli altri Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Conversazioni come queste possono aiutarci a fare le migliori scelte non solo per il nostro palato ma anche per il nostro futuro. Questo Decennio del Mare navighiamolo tutti insieme. Occhio al futuro

In onda il 5-6-2021

Api, sentinelle di biodiversità

By ecology, sdg 1, sdg 10, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 14, sdg 15, sdg 16, sdg 17, sdg 2, sdg 3, sdg 4, sdg 5, sdg 6, sdg 7, sdg 8, sdg 9

Occupandomi di sviluppo sostenibile da qualche decennio e concentrandomi su soluzioni alle nostre più grandi sfide, di tanto in tanto mi illudo che questioni trattate più volte abbiano avuto nel tempo un’evoluzione positiva. Credo nella capacità della nostra specie di evolvere verso una co-esistenza rispettosa dei sistemi vitali che ci regalano la vita, ma parlando con Andrea, l’apicoltore dal quale compro sempre il miele, che mi ha presentato Luca e Marco. Grazie a questi ragazzi dedicati appassionati e competenti, ho scoperto che gli impollinatori sono più minacciati che mai. È nata così la storia di questa settimana, e ho avuto conferma di quanto ci sia ancora da fare.
Se conoscete coltivatori di nocciole inoltrate per favore questo servizio. Dialogare con le persone dalle quali acquistiamo prodotti è fondamentale per avere un quadro più realistico dell’impatto di ogni nostra scelta.

Cristina: Oggi è la giornata mondiale della biodiversità, e l’ONU vuole portare la nostra attenzione sulla complessa dinamica che regola la vita sulla terra. La biodiversità è il nostro più grande tesoro e monitorare la sua salute è complicato. Siamo nel Cuneese per incontrare Luca, apicoltore. Luca perché le api sono le più preziose sentinelle di biodiversità?

Luca Bosco: Perché tutto ciò che arriva nell’alveare raccolto dalle api è il frutto di una sinergia tra diverse forme di vita e quindi è frutto della biodiversità dell’ambiente.

Cristina: Le vostre osservazioni cosa vi dicono?

Luca Bosco: Che la situazione delle api, e in generale degli impollinatori, è gravissima. Vediamo molto spesso episodi di morie, avvelenamenti, sui nostri alveari. Purtroppo ritroviamo nelle matrici degli alveari sia gli insetticidi che i fungicidi, sia i diserbanti. Un diserbante in particolare, la molecola glifosato, è particolarmente seria perché il ritrovamento, soprattutto nella matrice miele del nido, miele in maturazione, è un indizio preciso. La molecola che viene irrorata qui può finire ovunque, la ritroviamo nell’acqua, nell’aria, nel suolo quasi per forza perché viene irrorata sul suolo e la ritroviamo anche nel polline delle piante, nel nettare delle piante. Questo è un chiaro indizio che i filtri naturali dell’ecosistema in qualche modo si stanno degradando.

Cristina: Luca quali sono le coltivazioni che vengono più irrorate di queste sostanze ?

Luca Bosco: Qua siamo in zona di viticoltura e di corilicoltura, quindi vite e nocciolo. In questi anni grazie anche al lavoro dell’associazione degli apicoltori, i viticoltori hanno imparato a utilizzare i fitofarmaci in modo oculato, quindi senza dare un problema diretto e grave agli impollinatori. Per quanto riguarda il nocciolo invece il discorso è tutto da fare perché è una coltura nuova e in questo momento le pratiche agronomiche messe in campo lasciano parecchio a desiderare. Sono fonte di avvelenamento diretto, sono in qualche modo anche la causa di quel ritrovamento sistematico all’interno delle matrici degli alveari, soprattutto in questa zona ovviamente. A chi coltiva nocciolo si può rivolgere un appello a, in qualche modo, seguire la strada già intrapresa dai viticoltori.

Cristina: Luca state per fare delle campionature, che frequenza hanno e a cosa servono?

Luca Bosco: Hanno frequenza mensile e servono per andare a indagare l’eventuale presenza di molecole chimiche. L’esperienza ci dice che molto probabilmente ci saranno perché negli anni passati, la loro presenza è stata purtroppo molto assidua. Sappiamo che queste molecole sono dannose per l’ape, anche per la loro capacità – in qualche modo singolare – quella di depurare le matrici ambientali assorbendo nei loro corpi le molecole chimiche, a loro discapito ovviamente, ma andando a preservare soprattutto il miele. Il miele, in qualche modo, è sempre risultato pulito.

Cristina: È fenomenale. Questi dati li incrociate con altri?

Luca Bosco: Questi dati li incrociamo con altri monitoraggi che vengono effettuati nella zona, in particolare modo con quelli effettuati sul fiume Tanaro, che potete vedere proprio qui vicino, e i due monitoraggi confermano la stessa cosa, la presenza ubiquitaria delle molecole chimiche.

Cristina: Grazie Luca. Questa storia tocca tutti e 17 gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. E noi che cosa possiamo fare? Dialogare il più possibile con apicoltori, capire le criticità del nostro territorio e proteggerlo in ogni modo possibile. Conviene a tutti. Occhio al futuro

In onda il 22-5-2021