Skip to main content
Category

ecology

Alghe: da surplus a risorsa

By ecology, sdg 12, sdg 13, sdg 14, sdg 15, sdg 2, sdg 9

A parte quando le troviamo arrotolate intorno al sushi, le alghe tendono a non piacerci. Ci infastidiscono quando nuotiamo e si ammassano sulle rive. Un gruppo di ragazzi brillanti di Taranto sta trasformando un’apparente rifiuto in risorsain collaborazione con il CNR. La soluzione di South Agro è di impiegare le macro-alghe come biostimolanti in agricoltura. Ecco come.

Cristina: Capita sempre più a bagnanti e natanti di essere infastiditi non solo dalla plastica ma anche delle alghe che proliferano nel Mediterraneo. Alcune di queste però sono una grande risorsa. In che modo diventano risorsa? Siamo nel Mar Piccolo di Taranto per parlarvi di un progetto che è stato sviluppato assieme al CNR.

Antonella Petrocelli: Noi ci occupiamo di alghe da circa 30 anni, abbiamo iniziato usandole come indicatori ambientali. Ora stiamo dragando a circa 8 metri di profondità con una rete che raccoglie sul fondo tutto ciò che incontra.

Cristina: E con questa alga sana che cosa fate?

Antonella Petrocelli: Otteniamo dei biostimolanti da utilizzare in agricoltura.

Cristina: Andiamo a vedere che cosa succede nella seconda fase, quella di trasformazione e vi racconteremo questo prodotto che proprietà ha.

Valentino Russo: In questo laboratorio la nostra startup in collaborazione con il CNR trasforma le alghe in prodotti biostimolanti utili per l’agricoltura in quanto permettono di esaltare la qualità dei suoli, migliorare la resistenza agli stress climatici ed avere piante più sane e più forti. Queste sostanze possono essere impiegate in agricoltura o negli orti di casa propria.

Cristina: Quindi è un tonificante per la terra?

Valentino Russo: Esattamente.

Cristina: Sappiamo che c’è sempre più uso di fertilizzanti, le terre sono sempre più povere. Quindi questo permette di dosare meglio.

Valentino Russo: Proprio così. L’utilizzo di un prodotto biostimolante permette una diminuzione dell’utilizzo dei fertilizzanti chimici tradizionali.

Cristina: Il processo come avviene? Come viene trasformata l’alga secca della varietà che abbiamo visto prima?

Valentino Russo: Viene macinata, poi attraverso un processo in via di brevettazione diventa un prodotto biostimolante.

Cristina: E’ la prima operazione fatta con alghe 100% italiane?

Valentino Russo: Si 100% del Mar Mediterraneo che sono assolutamente sottoutilizzate rispetto alle fantastiche caratteristiche che possiedono.

Cristina: La materia prima è abbondante e locale, il processo di trasformazione è a basso impatto, il prodotto è ecocompatibile. I protagonisti di questa storia sono giovani e stanno lanciando una campagna di crowdfunding, se volete sostenerli. Occhio al futuro.

Greg Maryniak e il “numero magico”

By ecology

Gregg Maryniak è un esperto di energie a livello mondiale. Ci parla di un “numero magico”, ovvero di un indice delle Nazioni Unite che mette in rapporto il benessere delle persone con la quantità di energia prodotta da una società. La sfida per il futuro è di continuare a produrre quella quantità senza distruggere il pianeta. Dalla Singularity University, Gregg ci racconta futuri scenari per lo stoccaggio dell’energia e lancia la sfida globale ai vari concorsi di idee per trovare soluzioni efficaci, che garantiscano un futuro più “luminoso”… in tutti i sensi.

CRISTINA: Come crede che risolveremo il problema dell’energia a livello globale?

MARYNIAK: La più grande sfida è quella di procurarci abbastanza energia da vivere bene. C’è un indice delle Nazioni Unite, che mette in rapporto il benessere delle persone con la quantità di energia. Sotto una certa soglia non ci può essere prosperità. La sfida è di produrre quella quantità di energia senza distruggere la biosfera. Purtroppo il 93% dell’energia utilizzabile nel mondo è generata da un processo di combustione. Tra il 2005 e il 2010 la Cina ha raddoppiato la produzione di energia elettrica. Qualunque strategia adottino Europa e Stati Uniti, se India e Cina continueranno a crescere non riusciremo mai a contrastarli. Ci si chiede, al contrario, quanto manchi al raddoppio delle emissioni di carbonio, e si parla di una dozzina di anni. Di conseguenza, l’aspetto più importante per il futuro delle energie è lo stoccaggio. Quando “piove” energia dal cielo, come possiamo catturarla per poi distribuirla di notte o quando non soffia il vento? Quando si parla di stoccaggio, la maggior parte della gente pensa alle batterie. Ma le batterie sono costose. Quelle piccole che usiamo nei giocattoli e negli attrezzi portatili, costano circa mille volte di più rispetto alla corrente erogata dalle prese elettriche. Occorre una via di mezzo e ci sono già delle tecnologie interessanti a disposizione. Alcune sono di natura elettrochimica, quindi sembrano pile ma funzionano in modo radicalmente diverso. Col tempo stiamo inoltre facendo progressi, nello stoccare energia termica e vediamo, in paesi soleggiati come Spagna e Italia, impianti che catturano l’energia termica e il calore del sole. Ci sono infine nuove tecniche per comprimere l’aria quando l’energia costa poco, come durante la notte e per decomprimerla poi di giorno, attraverso l’uso di turbine. Quando si pensa al problema dell’energia, la domanda ricorrente è: “Come si può generare o convertire energia?” Ma non è il vero problema! L’anello debole della questione è lo stoccaggio. I concorsi a premio sono un potente strumento per stimolare lo sviluppo di nuove tecnologie. Se squadre di esperti da tutto il mondo potessero esprimersi e trovare valide soluzioni, dall’altra parte ci sarebbero industrie, governi, organizzazioni pronti ad adottarle. Ho fiducia che attraverso le competizioni arriveremo a forti innovazioni e il fatto è che non ci sono certezze finché non ci si prova… Quindi proviamoci!

Lasciati guidare – Intervista a Deepak Chopra

By ecology

Deepak Chopra sta iniettando pace nel mondo attraverso cicli di meditazioni guidate. In Italia è appena arrivato quello nuovo: il potere delle energie vitali.

Lei da molti anni connette l’antica conoscenza dei Veda alle tecnologie avanzate che studiano i meccanismi del cervello umano. In che modo ha potuto misurare e valutare gli effetti positivi della meditazione?

Valutiamo i benefici per la mente e per il corpo attraverso la crescita del benessere personale. Per esempio, siamo in grado di vedere marker metabolici e ormonali associati alla diminuzione delle infiammazioni nel corpo dopo la meditazione. Possiamo anche misurare l’aumento della telomerasi, enzima che preserva la lunghezza dei telomeri, strutture che supportano la salute delle nostre cellule.

Quali sono le regole d’oro per trarre massimo beneficio dalla meditazione?

La base per godere al massimo dei benefici della meditazione non è di forzare o spingere la mente concentrandosi sui pensieri o resistendoli. La meditazione è un’opportunità per la mente di essere presente e consapevole della sua stessa natura. Come dico sempre, non è un modo per chetare la mente, bensì un modo per entrare nella quiete che è già li. Per una meditazione riuscita dobbiamo semplicemente seguire la pratica con totale agio.

Come sta crescendo la massa critica attraverso le sue meditazioni guidate?

La partecipazione ai 21 giorni di meditazione è cresciuta rapidamente negli ultimi anni. A oggi più di 4 milioni di persone nel mondo vi hanno preso parte, scoprendole online, sui social media e attraverso il passa parola.

Quale area del mondo partecipa di più?

Attualmente il Nord America, ma sta crescendo la partecipazione in tutti i paesi di lingua inglese, nell’Europa Occidentale, in Australia e Nuova Zelanda.

Intervista a Severn Suzuki

By ecology, features

Avevo appena messo il piede in casa, al rientro da un lungo viaggio di lavoro, e mia figlia Elena mi è corsa incontro con il computer in mano: “Mamma, devi vedere subito questo video”. Avrei voluto dire “aspetta…” ma aveva già schiacciato play. Al primo frame ho riconosciuto il volto.  Non potevo dire a Elena che conoscevo il contenuto della sua scoperta. Mi sono appoggiata allo schienale e ho ascoltato un discorso sentito tante volte.

“…perdere il mio futuro non è come perdere un’elezione o alcuni punti sul mercato azionario…”

Il mio sguardo scivolava dal volto della bambina a quello della mia ragazza.

“…sono qui per parlare a nome dei bambini che muoiono di fame…”

Sentivo la morsa allo stomaco, e ancora ora, mentre scrivo, respiro profondamente per sciogliere l’emozione.

“…ho paura di respirare l’aria perché non so che sostanze chimiche contiene….”

Reprimere un piccolo umile pianto di sincera costernazione, sarebbe stato come levare le spalle, arrendermi.

“…quando avevate la mia età – chiede la piccola Severn, rivolgendosi ai capi di stato delle 105 nazioni presenti – dovevate preoccuparvi di queste cose?…”

Dopo quei pochi, intensi minuti, il silenzio è stato un atto di spontanea riverenza.

E ora? Dopo anni di scelte – tre figli, ai quali ho promesso di fare del mio meglio per crescerli sani, sereni e forti, una nuova carriera per divulgare un messaggio di speranza a chi ama la vita e la vuole proteggere, cosa mi lasciava questo messaggio?

“Chissà dov’è oggi….”

“Ha trentatré anni”, risponde mia figlia, che ha già fatto i conti.

Severn è cresciuta in una famiglia di ambientalisti – suo padre è David Suzuki, scienziato, divulgatore e autore di 52 libri, sua madre è scrittrice. Severn ha due lauree, in Biologia a Yale e in Etno botanica alla University of Victoria in Canada. Da un anno è diventata madre.

Grazie al web, sono riuscita a raggiungerla e a raccogliere questa intervista – una parte è stata pubblicata su Sette del Corriere della Sera.

Il suo discorso del 1992 sembra scritto ieri. Come reagisce a questo?

C’è solo una frase che data il mio discorso: la nostra famiglia umana di 5 miliardi. Oggi mi stupisco ancora del fatto che non siamo riusciti a invertire la rotta. Al tempo avevo 12 anni, e pensavo che, catturando l’attenzione dei leader del mondo, essi avrebbero usato il loro potere per cambiare il corso dell’umanità. Ho creduto che avrebbero pensato ai loro figli prima di prendere decisioni importanti. Ero un’idealista.

 

Come fa a mantenere uno spirito positivo?

Se apriamo la mente e il cuore verso I problemi che affliggono gli ecosistemi e i popoli dall’altra parte del globo, è facile deprimersi. Più vado avanti più mi accorgo che non me lo posso permettere. Mettere in pratica la visione che abbiamo del mondo, sostenendo e promuovendo lo sviluppo della società alla quale aspiriamo, è importante quanto battersi contro l’ingiustizia e il danno che stiamo arrecando alle future generazioni. Se crediamo in un mondo bello, dobbiamo cercare di renderlo concreto in ogni modo possibile. Trovare la gioia è la sfida più grande, ed è una ricerca che m’ispira e mi rafforza. Significa prendere il tempo per coltivare e preparare cibo buono, significa costruire uno spirito comunitario, ricordandoci che ciò che è bene per la qualità della nostra vita fa bene anche all’ambiente. Mi ispira la forza degli altri. Sulla mia scrivania ho una frase del Dalai Lama, “Non ti arrendere mai”. Mi ricorda quali sfide e ingiustizie abbia affrontato il popolo tibetano, mi aiuta ad apprezzare tutto ciò che ho e ciò che sono libera di fare. Siamo potenti nella misura in cui ci crediamo.

 

Dove vede i cambiamenti più tangibili?

A livello locale. E’ lì che possiamo agire e vedere i risultati. Il globale è la somma del locale. Abbiamo bisogno che i governi locali e centrali sostengano i cambiamenti in atto nelle comunità. Possono farlo fissando standard di risparmio energetico, creando reti di trasporto più efficienti, incentivando i comportamenti che tutelano l’ambiente. Non è giusto che sia così difficile fare la cosa giusta; al momento le nostre società favoriscono scelte facili a basso costo che sono terribilmente dannose per l’umanità e per il pianeta.

Dei tanti progetti nei quali è impegnata, quali le permettono di raggiungere in modo efficace i suoi obiettivi?

Buona domanda. Tutti I progetti e le campagne alle quali ho lavorato mi hanno insegnato molto. Ho conosciuto persone incredibili, e continuo a imparare. E’ stato un privilegio lavorare con il Sloth Club Japan, un gruppo di visionari che hanno come missione di rallentare il Giappone. Credono profondamente nei valori del movimento Slow Food, nato in Italia, ma trasferiscono I principi “slow” a ogni aspetto del quotidiano. Credono che stiamo correndo troppo, a danno nostro e del Pianeta. Quando sono stata in Giappone, mi hanno organizzato conferenze straordinarie – sanno mobilitare la gente e diffondere messaggi con grande efficienza. Al momento sto lavorando con un gruppo di giovani alla campagna “We Canada” per portare I nostri politici a mostrare un’autentica leadership alla Earth Summit di Rio nel 2012. E’ un gruppo di persone ispirate e piene di energia, e mi colpisce per la capacità di fare rete, di esprimere al meglio il potenziale  dei social media. Abbiamo strumenti potenti per comunicare e fare rete, dobbiamo solo rendercene conto.

 

Chiaramente il cambiamento arriva dal basso – lo vediamo in Egitto, Tunisia, in Siria. Il mondo cerca disperatamente di cambiare. Vede all’orizzonte leader capaci di condurre l’umanità sulla giusta rotta?

Il 50% della popolazione mondiale è giovane. Pensiamoci. C’è grande potenziale per una rivoluzione. Purtroppo i giovani non sono attratti dalla politica – hanno eletto Barack Obama, ma da allora non sono più andati a votare, e questo è un trend mondiale. I giovani devono prendere coscienza del potere che hanno in cabina elettorale. Dalla conferenza di Rio del 1992, 19 anni fa, mi sono impegnata nelle piazze, in TV, come scrittrice, e mi sono laureata, ma l’azione più potente resta ancora il mio discorso da dodicenne. Perché? Credo che abbia a che fare con ciò che al mondo, oggi come allora, necessita maggiormente: la voce dei giovani, la loro verità. I giovani, che hanno tutto da perdere, hanno un messaggio potente da consegnare a chi vive come se il futuro non li riguardasse. Occorre che prendano la parola e sfidino i leader del mondo ad affrontare l’ingiustizia intergenerazionale. Il cambiamento climatico è una condanna per i giovani di oggi, creata dalle generazioni passate e presenti. Nel corso della storia, gli umani hanno agito pensando al futuro, alla sopravvivenza della specie, e le tecniche di sopravvivenza più basilari oggi sono state gettate al vento, a danno dei nostri figli.

 

Dei tanti veicoli che diffondono il suo lavoro: l’editoria, il web, la radio, la TV e le conferenze, qual’è il più efficace per innescare il cambiamento?

E’ difficile misurare quanto riusciamo ad agire sulla coscienza collettiva. Cambiare il modo in cui le persone pensano e agiscono è un lavoro informe, amorfo. I media sono strumenti per parlare alle persone, e ce ne sono un’infinità, oggi, ma ciò che trasforma veramente è l’esperienza. Fare. Se la gente è testimone di un problema, se visita un luogo naturale minacciato, è più prona ad agire. Dobbiamo uscire, vedere, conoscere. Se conosciamo Ia natura, ci batteremo per lei.

 

Una vita sostenibile è fatta da un insieme di scelte, gesti, abitudini umili e semplici per chi le mette in pratica, ma per tanti, troppi, sono una soglia da superare. Chi sono I suoi modelli e come affronta la sfida di promuovere ciò che sembra tanto ovvio?

Su libri e riviste leggiamo spesso: “soluzioni facili per essere sostenibili”. Ma la transizione verso stili di vita sostenibili non è facile per molti, anche quando ha senso per la salute, per le comunità e per la qualità della vita. Portare la nostra società a promuovere e mettere in pratica stili di vita sostenibili non è semplice e nemmeno facile, ed è la grande sfida per i divulgatori – facilitare la transizione. Occorre il sostegno dei governi, per ridurre l’inquinamento, gestire l’uso dell’acqua e dell’energia, per incentivare i giusti comportamenti. Un punto di riferimento per me è Thomas Friedman. Il suo ultimo libro Il mondo è piatto è una fonte esauriente di informazioni provocatorie e d’ispirazione sulla sfida che affrontiamo.

Sulla sua fan page di facebook c’è un messaggio commovente di una ragazzina italiana di dodici anni che dice: “fino a quando ho visto il tuo discorso del 1992, pensavo che i problemi ambientali di cui sento parlare fossero recenti. Lei è diventata mamma da poco tempo – non è preoccupata per il mondo che suo figlio erediterà?”

Mio figlio ha un anno. Devo credere che erediterà un mondo che merita di essere vissuto. Ho imparato da mia madre che possiamo arrabbiarci, essere tristi, ma non dobbiamo mai perdere la fiducia. Il nostro pianeta è bellissimo, ed è onorando tanta bellezza che saremo spronati a batterci affinché non venga distrutta. Dobbiamo attingere alla nostra forza emotiva, in qualità di figli, genitori, zii, nonni, e connetterci con le sfide globali che stiamo affrontando. Dobbiamo batterci per la giustizia.

 

Lei, in qualità di biologa e ambientalista, interpreta i recenti disastri naturali, da Katrina agli tsunami, come un “campanello d’allarme” che la natura cerca di dare all’uomo?

Quando l’urragano Katrina colpì New Orleans pensai: “il mondo occidentale dovrà svegliarsi e affrontare I cambiamenti climatici.” Verrebbe da pensare che anche la possibilità più remota che l’uomo abbia contribuito a un disastro di tale portata, avrebbe fatto riflettere gli americani. Di fatto, il “campanello d’allarme” non ha inciso in maniera significativa sulla legislazione riguardo ai cambiamenti climatici. Mi chiedo cosa occorre per svegliare l’umanità. Molti parlano di “giustizia climatica” o “razzismo ambientale”, alludendo al fatto che i più poveri sopportano maggiormente gli impatti sociali del degrado ambientale. La società è palesemente ingiusta? Il pensiero mi fa venire i brividi e minaccia la mia fiducia che le persone abbiano un innato senso di giustizia, a favore dei più deboli. La devastazione causata dagli tsunami serve come promemoria per tutti noi, ci ricorda Il crudo potere del mondo naturale, che merita rispetto.

 

In qualità di biologa e etno-biologa, quali sono I fatti che la preoccupano maggiormente e che richiedono azioni immediate?

Andando per mare e per terra con gli anziani nativi, mi ha sconvolto scoprire che le risorse alimentari alle quali attingevano da bambini oggi sono contaminati. In diverse aree che abbiamo visitato, molti cibi non sono più commestibili a causa dell’inquinamento. Non mi aspettavo un dato simile, e mi ha rattristato molto. C’è un bagaglio prezioso nel sapere degli anziani. In passato non sono stati raccolti molti dati di riferimento per quanto riguarda la salute degli ecosistemi prima dello sviluppo esponenziale degli ultimi decenni, ed è così che la memoria degli anziani diventa basilare.

Quali sono i sentimenti suoi e della sua famiglia riguardo all’energia nucleare?

Ho sempre pensato all’energia nucleare come a un patto con il diavolo.

 

Come calcola la sua impronta ecologica?

Ci sono diversi siti per farlo online; ridurre il proprio impatto è un esercizio importante per capire come vivere in modo più ecologico.

 

Dove vive?

Sull’arcipelago di Haida Gwaii . “Isole delle persone”, a nord ovest dalla costa del Canada.

 

In questi giorni lei è in Europa. Perché?

Sto visitando mia sorella che studia in Inghilterra, e approfittiamo dell’occasione per presentare mio figlio ai suoi parenti britannici.

 

A cosa sta lavorando ora?

Alla salvaguardia dell’idioma Haida, che oggi è parlato solo da un gruzzolo di anziani. E’ la lingua di mio marito e ora di mio figlio, e vogliamo mantenerla viva. Questo sarà possibile grazie agli anziani dai quali la stiamo imparando. Sto anche lavorando alla campagna We CANada in vista del summit di Rio nel 2012. Il governo canadese sta lasciando una pessima eredità ambientale – sono imbarazzata. Sono portavoce del gruppo canadese “Girls in action” per promuovere autostima e opportunità positive per giovani donne, e sono presidente di consiglio della David Suzuki Foundation (la fondazione del padre, ndr).

Il mestiere più importante che svolgo ora è di crescere un bimbo sano e forte.

I funghi di Mogu

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 13

La natura continua a sorprenderci – e quando a decifrare i suoi segreti sono menti aperte e creative, succedono cose molto interessanti. Come quella che vi raccontiamo oggi. Mogu (precedentemente Mycoplastha una storia che parte dalle radici dei funghi e finisce nelle nostre case.

CRISTINA: I cicli naturali si basano sulla trasformazione, la materia organica quando muore diventa cibo per il nuovo che nasce. Una nuova famiglia di materiali si ispira a questo principio. Buongiorno Maurizio, chi sono i genitori di questa famiglia che andremo a scoprire?

MAURIZIO MONTALTI: I capostipiti di questo processo sono due, da un lato abbiamo i funghi. In questo caso stiamo osservando un fungo che è commestibile, stiamo osservando quelli che si mettono anche in tavola, ma il nostro reale protagonista è la radice, il corpo radicale dei funghi, ovvero il micelio. Il micelio che osserviamo crescere sull’altro genitore, ovvero gli scarti. Scarti agricoli, scarti industriali, dalla filiera agroindustriale o del settore manifatturiero, in questo caso ad esempio diversi tipi di paglia. Questo è il luogo in cui avviene il processo di incontro tra fungo e scarto. Vediamo alcuni dei nostri collaboratori operare e disporre un materiale che è già stato fatto crescere precedentemente in alcuni stampi che daranno vita a un prodotto finito.

CRISTINA: E dopo questa fase cosa avviene?

MAURIZIO MONTALTI: Successivamente il prodotto viene fatto uscire dallo stampo e come step successivo si termina il processo di colonizzazione per altri 3-4 giorni. Una volta che questo processo è arrivato al termine e si è raggiunto il risultato desiderato, questo prodotto semi-finito viene processato meccanicamente. Il fugo è responsabile per la degradazione di tali materie naturalie allo stesso tempo agisce come colla naturale creando un’unica materia compatta.

CRISTINA: Quali prodotti state coltivando?

MAURIZIO MONTALTI: Piastrelle, pavimenti resilienti, piuttosto che elementi fonoassorbenti caratterizzati da alte performance di tipo tecnico.

CRISTINA: Questa, ad esempio, è una parete fonoassorbente, tattilmente straordinaria: molto morbida e bellissima da vedere. È stata progettata assieme al Politecnico di Milano. Queste sono bellissime da vedere e ancora una volta da toccare, potrebbero diventare piastrelle. Mentre queste sono già piastrelle. Il vantaggio della ricerca di questi giovani startupper è che unisce la componente estetica, funzionale ed ecologica, perché sono prodotti 100% fatti dalla natura e che potranno tornare in natura. Occhio al futuro.

La lana Sarda che ripulisce il mare dagli idrocarburi

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 14, sdg 3, sdg 9

Vedere una spugna assorbire un liquido ci affascina. Ora immaginate che la spugna sia ricavata da scarti industriali, addirittura rifiuti speciali, e il liquido in questione sia acqua di mare inquinata da idrocarburi. Ma non finisce qui perché la spugna contiene anche dei microrganismi in grado di digerire gli oli restituendo acqua pulita. Da questa intuizione speciale dell’imprenditrice della blue economy Daniela Ducato nasce Geolana. Il diportista attento la troverà in molti porti e anche nelle sentine.

Cristina: Circa 150 milioni di persone vivono sulle coste del Mar Mediterraneo, scaricando in acqua rifiuti di ogni genere, da quelli industriali a quelli civili. Pensate che secondo le Nazioni Unite sono 100/150 mila tonnellate solo gli idrocarburi. Per fortuna c’è ci si occupa di questo con soluzioni innovative. Buongiorno Daniela, cos’è questo?

Daniela Ducato: E’ un tessuto di lana di pecora realizzato in industria con il pelo corto e che diventerebbe un rifiuto speciale smaltito a caro prezzo ambientale ed economico e invece noi lo trasformiamo in risorsa speciale.

Cristina: E lo vediamo lì?

Daniela Ducato: Esatto e non è decorativo. È un tessile che è stato creato a doc per catturare velocemente molti inquinanti, soprattutto gli oli e gli idrocarburi petrolchimici. E fatto in modo speciale per acchiappare, e quindi per ospitare, tutti quei microrganismi utili che sono in acqua e che hanno il compito di metabolizzare e digerire questi inquinanti restituendoci acqua pulita.

Cristina: Un kilo di lana quanto assorbe?

Daniela Ducato: Tra i 10 e i 14 kili quindi immaginiamo quanto può essere utile e importante creare una gestione sostenibile e responsabile dei porticcioli turistici con un elemento rinnovabile che finito di vivere ritorna a essere mare fecondo.

Cristina: La vostra soluzione si sta diffondendo facilmente nei porti e nei mari?

Daniela Ducato: Sì, per una volta non abbiamo il problema della burocrazia intricata, anzi c’è stata anche una velocità nelle pratiche. Siamo contenti di questa facilità e di questa consapevolezza anche nelle amministrazioni pubbliche. Chi naviga sa che anche in sentina, nel vano motore, si accumulano tanti inquinanti: oli, idrocarburi… Noi abbiamo trovato una soluzione mangia petrolioanche per questa problematica. Come vedete qui ci sono già diversi assorbitori, alcuni sono stati impregnati e stanno biodegradando gli idrocarburi, l’altro è appena stato messo e inizierà tra poco il suo lavoro di biodegradazione.

Cristina: Daniela, spieghi perché questa l’abbiamo al collo?

Daniela Ducato: L’abbiamo al collo e per fortuna non in mare, perché altrimenti vorrebbe dire un piccolo disastro: un grande versamento in mare. Serve proprio per gestire i versamenti visibili e inquinanti. E’ fatto sempre di lana, con un interno di sughero che consente il galleggiamento.

Cristina: La materia prima, la lavorazione e l’innovazione tecnologica sono al 100% sarde, speriamo che questa soluzione si sparga a macchia d’olio. Occhio al futuro!

La filiera sostenibile di Edizero

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 13

I materiali usati nel settore edilizio sono spesso poco sostenibili o addirittura tossici e spesso vengono importati da molto lontano. Allo stesso tempo tonnellate di cibo vengo gettate ogni giorno. Con un unico progetto innovativo chiamato EDIZERO, l’imprenditrice seriale Daniela Ducato offre una soluzione a entrambi in problemi in Sardegna. Gli scarti del cibo locale vengono utilizzati nei modi più sorprendenti.

CRISTINA: La filiera agroalimentare italiana produce un’eccedenza di 5 milioni e mezzo di tonnellate, di cui viene recuperato meno del 10%. Sappiamo però che dal cibo si può ricavare di tutto. Daniela è un’imprenditrice che sta facendo conoscere la sua regione nel mondo perché attiva filiere etiche e di eccellenza e ora siamo a Baradili, il comune più piccolo della Sardegna, in una falegnameria perché Daniela ci racconterà che cosa sono questi prodotti. Questo per esempio sembra caramello.

DANIELA DUCATO: Invece è un estratto dall’olio di oliva. Abbiamo anche altri estratti al pomodoro, ai carciofi, alla birra, al melograno, con tante tipologie di frutta e di fiori e sono tutte sotto lavorazioni oppure prodotti scaduti o invenduti delle filiere del cibo. Vengono utilizzati in edilizia, in questo caso siamo in una falegnameria dove vengono usati, ad esempio, per il trattamento dei parquet.

CRISTINA: Questo sembrerebbe un compensato, invece dicci che cos’è?

DANIELA DUCATO: Invece è fatto di terra cruda compressa con paglie che derivano dalle sotto lavorazioni del cibo.

CRISTINA: E poi mi raccontavi che ci sono degli scarti di lavorazione che sono addirittura considerati rifiuti speciali.

DANIELA DUCATO: Sono rifiuti speciali e li trasformiamo in risorse speciali. Ad esempio, le sotto lavorazioni del vitivinicolo, come i raspi, le vinacce o della frutta come i melograni perché contengono alte quantità di tannini per cui non possono avere il processo di compost che hanno altri vegetali.

CRISTINA: E di questa bellissima culla cosa mi dici?

DANIELA DUCATO: Qui abbiamo una protezione naturale fatta con l’estratto dell’olio di oliva.

CRISTINA: Fantastico. Adesso Daniela vuole portarci in cantiere.

MARCO CAU: Questa è un’abitazione caratteristica del nostro territorio. E’ una casa che è stata realizzata nella prima metà dell’800. Come isolante è stato utilizzato un tessuto di natura animale, quindi una lana per coibentare l’abitazione. Sono stati utilizzati dei panelli sempre con fine isolante a base di terra che ripropongono una tradizione tipica della Sardegna che è quella della terra cruda. Infine le finiture a base di calce sono state completate con delle pitture di origine alimentare che hanno come effetto cromatico un colore molto simile a quelle delle pietre che sono state usate per la costruzione dell’abitazione.

CRISTINA: Questa casa che è ancora in ristrutturazione viene recuperata da una filiera intelligenteperché coniuga innovazione e tradizione. Occhio al futuro.

Greenrail, la traversa ferroviaria verde

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 9, technology

È dal 1800 che i treni si muovono invariabilmente su strada ferrata, ma oggi si presentano scenari nuovi. Siamo andati a scoprirne uno. Greenrail ha creato una traversa ferroviaria che produce energia elettrica e funge da piattaforma per la trasmissione di dati. Davvero innovativo il guscio esterno, ricavato da plastica riciclata e da vecchi pneumatici, che troppo spesso vengono bruciati producendo una miscela tossica. Non da ultimo, questa traversa migliora la qualità della vita di tutti coloro che vivono in prossimità di binari, riducendo vibrazioni e rumore del 50% rispetto alla classica traversa in calcestruzzo.

CRISTINA: Ogni anno in Italia vengono eliminate 350 mila tonnellate di pneumatici, solo il 30% da vita a cose nuove. E dei 2.1 milioni di tonnellate di plastica se ne ricicla solo il 25%. Per aumentare questa quota servono idee e oggi ve ne raccontiamo una. Di che cosa si tratta?

GIOVANNI MARIA DELISI: Greenrail è una traversa ferroviaria che abbiamo progettato e brevettato in 120 paesi nel mondo. E’ composta da un’anima in calcestruzzo e da una struttura esterna in un mix di plastica e pneumatico riciclato. Si pone sul mercato con l’obiettivo di sostituire l’attuale standard delle traverse ferroviarie che è rappresentato dalle traversine in calcestruzzo. Porta dei vantaggi economici, tecnici e  ambientali, perché ogni kilometro di linea ferroviaria contribuisce a recuperare 35 tonnellate di plastica e pneumatici fuori uso. Riusciamo ad abbattere le vibrazioni e la rumorosità del traffico ferroviario fino al 50% rispetto al nostro competiror e fino al 50% dei costi ciclici di manutenzione della linea ferroviaria. Integra pannelli fotovoltaici e sistemi per la telecomunicazione e trasmissione dati di sicurezza e di diagnostica. L’Italia è un mercato già consolidato nel settore ferroviario, ma c’è comunque un mercato ciclico della manutenzione che comporta un consumo di circa 1.200.000 fino a 2 milioni di traverse l’anno esclusivamente per il mantenimento delle linee. In alcuni paesi recuperiamo le materie prime direttamente, in altri trasferiamo il know-how italiano nel processo di raccolta del pneumatico fuori uso e plastica. Grazie alla rete di partner che abbiamo messo in moto, tra cui il Politecnico di Milano, che è il nostro principale partner di ricerca con il quale abbiamo sviluppato il prodotto, riusciamo a trasferire il know-how per consentire a quel paese di adeguarsi agli standard europei. L’Italia è forse il paese più burocratico con cui abbiamo a che fare, in molti paesi che sono ancora chiamati sottosviluppati abbiamo invece una capacità d’ingresso superiore.

CRISTINA: Questo è l’unico progetto italiano che è stato selezionato per il padiglione delle best practices, ossia le migliori pratiche dal punto di vista ambientale e tecnologico, al prossimo expo ad Astana in Kazakistan. L’innovazione non è solo nel prodotto ma in tutta la filiera. Occhio al futuro.

OrangeFiber e la moda delle arance

By ecology, sdg 12, technology

Qualche giorno fa stavo preparando una spremuta di arance e mi sono resa conto di quanto spazio portino via gli scarti degli agrumi rispetto ad altri rifiuti organici. Composto in giardino e quelle scorze ci mettono molto di più a decomporsi. Nel sud Italia è tradizione preparare le scorze candite o ricoprirle di cioccolato, ma anche se dessi libero sfogo alla mia creatività in cucina, non ho raccolto le arance dall’albero e non voglio correre il rischio di assumere altri pesticidi. Quando mi hanno raccontato dell’idea di una giovane siciliana, ho deciso di condividere la sua storia ispiratrice. La Sicilia, terra di cannoli, è anche centro di innovazione. Grazie a una professoressa che ha ascoltato l’idea di Adriana Santonocito e ha creduto in lei, quello che sembrava impossibile ora è realtà. Oggi con Orange Fiber gli scarti delle arance sono alla moda.

CRISTINA: Due ragazze siciliane, studentesse, si incontrano a Milano. Nasce un’idea che sembra una follia e invece…

ADRIANA SANTONOCITO: E invece è reale. Abbiamo inventato il primo tessuto al mondo ricavato dagli agrumi. È partito tutto dalla mia tesi alla fine del mio percorso di studi in moda a Milano. Grazie alle mie professoresse sono riuscita a entrare in contatto con una professoressa del laboratorio di chimica del Politecnico di Milano. Si sono innamorate di questa idea all’inizio un po’ folle. Non è una cosa che capita tutti giorni. Poi abbiamo testato la fattibilità all’interno del Politecnico e si poteva fare. Abbiamo depositato il primo brevetto italiano, dopodiché è stata fondata la società. All’inizio eravamo noi due, poi ci hanno aiutato tre business angels che sono i nostri attuali soci e infine abbiamo anche ricevuto un aiuto da parte di Trentino Sviluppo.

CRISTINA: L’arancia come diventa un filato?

ENRICA ARENA: L’arancia entra in un impianto di spremitura: viene fatto il succo e tutto quello che resta entra nel nostro impianto pilota da cui viene estratta una cellulosa adatta alla filatura che viene poi filata, trasformata in tessuto e venduta ai brand di moda che ne realizzano capi e collezioni.

CRISTINA: Che tipi di capi si possono fare con la fibra di arancia e quando saranno disponibili?

ENRICA ARENA: Potenzialmente possiamo fare moltissime tipologie di tessuto unendo la nostra fibra d’arancia ad altre fibre. Qui per esempio è stata utilizzata con il cotone, qui con il jersey e qui con la seta quindi con delle applicazioni completamente diverse. Quello che abbiamo realizzato sarà disponibile prima dell’estate 2017.

CRISTINA: Tutto questo senza togliere cibo dalla bocca di nessuno. Sognare, un atto di coraggio necessario più che mai, occhio al futuro!

Insetti edibili

By ecology, sdg 13, sdg 15, sdg 2, sdg 3

Cristina: L’insostenibilità sociale ed ambientale delle filiere alimentari globali che passano per lo sfruttamento di allevatori e pescatori o la contaminazione dei cibi, non solo turba le nostre coscienze, minaccia la nostra salute. Presto saremo 9 miliardi, e non avremo abbastanza cibo di qualità per nutrire tutti. Inoltre di questo passo stiamo seriamente mettendo a rischio anche il nostro pianeta. Nella follia surreale del nostro tempo 800 milioni persone muoiono di fame e noi diamo i pesci ai polli e la soia alle vacche. Che futuro ci attende?

Marco Ceriani: Beh ci attende un futuro diverso. Dal punto di vista alimentare dovremmo portare un po’ più di chiarezza, tornare con un po’ più di natura e soprattutto accorciare la catena alimentare. Gli insetti sono indicati dalla FAO come le proteine del futuro, anche se poi sono le proteine del nostro passato.

Cristina: Quali sono i vantaggi dal punto di vista nutrizionale e ambientale?

Marco: I vantaggi sono tanti, gli insetti sono piccoli, consumano poco, emettono poco in termini di CO2, e quindi sono una buona idea sicuramente come mangime per gli animali perché sono un cibo naturale. Ma sono anche una buona idea per noi perché noi abbiamo sbagliato animali, quelle che tu hai citato prima sono cattivi convertitori. L’insetto converte molto meglio, siamo al rapporto di quasi un kg di mangime per un kg di insetto quindi abbiamo trovato un qualcosa che può nutrire realmente tutte le persone che il mondo ospiterà. Abbiamo un mondo solo.

Cristina: Contro il rapporto di 8 a 1 per una vacca ad esempio.

Marco: Assolutamente si, ma anche un consumo di acqua molto minore, di suolo, di energia. Emissioni di CO2 molto basse. Noi dovremmo stare sotto ai 2 gradi di aumento di temperatura, ma questo è quasi impossibile farlo visto che l’agricoltura dovrebbe aumentare del 70% per mantenere i nostri 9 miliardi di persone.

Cristina: In molti paesi però gli insetti si mangiano.

Marco: Assolutamente si, 50 paesi al mondo, 2 miliardi di persone. A questi vanno aggiunti molto paesi europei e il Nord America, che si sono aggiunti di recente, quindi potremmo dire che un terso del mondo lo sta facendo. La FAO ha fatto un sondaggio   ed è andata a chiedere nel mondo, a chi mangia insetti, perché li mangiano e la risposta è stata del 70% perché sono buoni.

Cristina: Mi hai molto incuriosita, questi immagino siano prodotti alimentari. Ho una farina, dei chips, e questo?

Marco: Questo è il panseta, è un panettone ecosostenibile perché è fatto con il baco da seta, lo scarto di lavorazione del filato.

Cristina: Posso? Me lo offri?

Marco: No, assolutamente, perché siamo in Italia ed è vietato. Potrei fartelo assaggiare in Francia, Belgio, Olanda, ma non qui.

Cristina: Siamo in uno dei parchi tecnologici di ricerca avanzata, proprio sulla filiera di allevamento dell’insetto e non lo posiamo dare neppure agli animali. Non resta che annusarlo, è anche buono.