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Econyl, il filato di nylon rigenerato

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L’industria tessile nel suo insieme è tra i più grandi inquinatori. Però, c’è chi sta invertendo questo impatto da negativo a positivo: Aquafil, con il suo filato Econyl, produce fibre da rifiuti scarti e nuovi materiali attraverso azioni concrete di rispetto per l’economia la società e l’ambiente, lungo tutta la filiera.

Cristina: Sappiamo che l’industria tessile nel suo insieme è tra i più grandi inquinatori. Però, c’è chi sta invertendo l’impatto da negativo a positivo producendo fibre tessili da scarti, rifiuti e nuovi materiali. In quest’azienda le fabbriche sono alimentate al 100% da energie rinnovabili, si usa acqua a ciclo chiuso in ogni fase di lavorazione. Sono stati avviati protocolli ambientali lungo tutta la filiera, e attivati progetti educativi in azienda per i dipendenti e nelle scuole. Si fa ricerca su nuovi materiali da biomassa, ogni anno si riducono le emissioni di gas serra, si promuovono programmi per la tutela dei mari e per tutti i prodotti si fa l’analisi del ciclo di vita. Queste azioni, nel loro insieme, adempiono alle indicazioni di ben 8 dei 17 SDG – gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU! Per ogni 10.000 tonnellate di materia prima da processo di riciclo si risparmiano 70.000 barili di petrolio e l’equivalente di 57.100 tonnellate di CO2.
Oggi vi mostriamo come vengono trasformate le reti da pesca, insieme ad altri rifiuti di nylon. Nel 2018 sono stati recuperati 78 tonnellate da ONG che operano in tutta Europa. Una volta pulite, le reti vengono trasformate chimicamente, poi il liquido diventa polimero, e il polimero si trasforma in filo. Il risultato è che sempre più filati derivano da un processo di rigenerazione. Per diventare tappeti, occhiali, borse, abiti, costumi da bagno.
Dottor Bonazzi, si può immaginare di rispondere alla richiesta di mercato di nylon solo con materiali di recupero e di riciclo?

Giulio Bonazzi: No, purtroppo no, neanche si potesse recuperare tutto il nylon, non sarebbe mai sufficiente per garantire le necessità future. Oltre a ciò è importante capire che riciclare ha un suo impatto ambientale, noi cerchiamo di farlo al meglio, ma è importante capire come si ricicla e come ridurre al massimo l’impatto durante il ciclo.

Cristina: Che cosa significa per lei innovare? Come cittadino e come imprenditore?

Giulio Bonazzi: Innovare per me significa smettere qualcosa di vecchio per fare qualcosa di nuovo. Ad esempio bisogna ricordarsi che prima di riciclare bisogna ridurre le materie prime, riusare e poi riciclare.

Cristina: Avete già pronta una nuova famiglia di materiali?

Giulio Bonazzi: Si l’abbiamo, vogliamo produrre il nylon da fonti rinnovabili ossia da biomasse, anzi abbiamo già prodotto i primi chili.

Cristina: Che differenza c’è tra il filo derivato dal petrolio, da riciclo e da biomassa?

Giulio Bonazzi: Nessuna, i tre prodotti sono perfettamente identici ma fa una grande differenza per l’ambiente. È un bell’esempio di economia circolare.

Cristina: Grazie Dottor Bonazzi. Occhio al futuro!

In onda il 18-1-2020

Quanto inquina la tua crema solare?

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La crema solare che utilizziamo si sta accumulando in mare con conseguenze disastrose. Si stima che una media di 10.000 tonnellate di protezione solare venga rilasciata da bagnanti, subacquei e snorkelers e un ulteriore inquinamento della protezione solare danneggia le aree costiere a causa delle acque reflue che alla fine sfociano nei mari.

Organismi sensibili come pesci giovani e invertebrati e fino al 10% delle barriere coralline del mondo potrebbe essere minacciato da sostanze chimiche, in particolare 4, presenti nei comuni filtri solari, e anche bassissime concentrazioni sono pericolose: una singola goccia per 6,5 piscine olimpioniche!

Questi sono quelli da cercare ed evitare:
L’ossibenzone (Benzophenone-3, BP-3) è presente in oltre 3500 marchi di creme solari in tutto il mondo. È un filtro chimico che interrompe la riproduzione dei coralli, provoca lo sbiancamento e danneggia il suo DNA.
Il butylparaben, il conservante più comune, provoca anche lo sbiancamento.
L’ottinoxato (etilesilmetossicinnamato) è un altro agente filtrante che ha dimostrato di causare lo sbiancamento dei coralli.
La canfora 4-metilbenzilidene (4MBC) è un’altra sostanza chimica da evitare. È consentito in Europa e in Canada, non negli Stati Uniti o in Giappone.

L’Haereticus Environmental Laboratory ricerca gli effetti dei filtri solari e di altri ingredienti per la cura personale sulle barriere coralline e su altri ecosistemi e animali selvatici. Il loro elenco di ingredienti che considerano inquinanti ambientali comprende:

Qualsiasi forma di sfera o perline di microplastica.
Eventuali nanoparticelle come ossido di zinco o biossido di titanio. Questi però sono ingredienti amichevoli quando non nano.
Oxybenzone
Octinoxate
Canfora di 4-metilbenzilidene
Octocrylene
Acido para-aminobenzoico (PABA)
Methylparaben
Ethylparaben
Propylparaben
Butylparaben
Benzilparaben
Triclosan

Questa è una certificazioni da cercare se vuoi proteggere la tua pelle e gli ecosistemi marini: Protect Land + Sea 

effecorta, negozio sfuso

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Nel 2009 per Occhio allo Spreco, eravamo andati a Capannori, in provincia di Lucca, per raccontare una realtà pioniera – il negozio Effecorta, che vendeva prodotti locali e sfusi, ossia privi di imballaggi. Nei 10 anni trascorsi da allora, Effecorta ha aperto a Milano nel quartiere di Affori e abbiamo deciso di buttarci l’occhio.

Renato Plati, uno dei fondatori di Effecorta, dice che l’interesse al suo modello è tanto, le richieste sono addirittura quasi quotidiane e arrivano da tutta Italia. La filiera corta è importante, è nel nome stesso. Facilitano quello che è l’incontro tra il produttore e il consumatore alla ricerca un prodotto genuino e locale – il loro fulcro è l’acquisto diretto dai produttori, selezionati nel raggio di 70 km dal negozio. Alcuni prodotti, come l’olio e gli agrumi, arrivano dal centro e sud Italia, ma mantengono un rapporto diretto con chi li produce. Per Renato, filiera corta significa un solo passaggio dal produttore al consumatore finale.

“Al tempo del servizio abbiamo raggiunto oltre 400 contatti” ci racconta, “e abbiamo organizzato tanti seminari per cui le persone venivano, e potevano informasi sul modello. Pochi sono riusciti a trasformare l’idea in un negozio vero e proprio, la maggioranza si sono scontrate con la realtà economica. Quando ragioniamo su una configurazione di un negozio di 100-120 metri suggeriamo sempre un budget minimo dagli 80-100.000 euro, per far fronte a quelli che possono essere gli imprevisti dei primi anni. La possibilità di avere accesso al credito costituisce un fattore determinante per lo sviluppo e riteniamo che esistano molti bandi sia a livello regionale, che europeo e ci auspichiamo che venga fuori qualcosa anche per noi per quello che potrebbe essere lo spostamento in una zona più centrale, in uno o più punti. A Milano potremmo tranquillamente aprire in ogni zona. Un contributo all’affitto sarebbe ottimale perché è una delle voci spesa più pesanti.”

Speriamo presto di vedere negozi così in ogni quartiere.

Bellezza coerente

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Come avere cura del nostro corpo e della pelle senza danneggiare il pianeta?

Non è facile. Recentemente mi sono fidata della reputazione di un brand che usavo tempo fa e ho acquistato alcune creme per il viso. Poi ho guardato l'inci.

  • Il biossido di titanio è utitlizzato come filtro protettivo per i raggi UVB. Ci sono studi che dimostrano che nanoparticelle >35 nm di biossido di titanio non rivestito possono essere dannose per gli animali marini. Le dimensioni estremamente ridotte di queste particelle generano uno stress ossidativo sotto la luce UV, potenzialmente causando danni cellulari ad organismi sensibili come coralli, pesci giovani e invertebrati.
  • La paraffina liquida è un olio incolore e inodore, che ha origini minerali ed è composto da un mix di idrocarburi C15-C40 ottenuti dalla distillazione del petrolio. Quando utilizzata sulla cute forma un film lipidico. Per via della loro natura oleosa, però, i prodotti contenenti paraffina impediscono un’adeguata traspirazione.

Nel 2010 avevo intervistato l’eco-dermatologa Riccarda Serri, che aveva fondato con Pucci Romano l’associazione SkinEco, con il desiderio di fare luce sull’impatto ambientale e l’interazione con la pelle dei prodotti cosmetici comunemente usati. La normativa europea vigente non considera ancora la biodegradabilità delle sostanze utilizzate nei cosmetici, e solo in Europa, ogni giorno, vengono immesse nell’ambiente 5.100 tonnellate di prodotti cosmetici consumati. Purtroppo Riccarda non è più con noi ma resta il suo prezioso insegnamento, che mi sono ripassata, scoprendo che quando avrò finito le confezioni dei prodotti che ho acquistato, tornerò a cercare unguenti privi di sostanze indicate da Riccarda.

Ecco un estratto dal mio libro Occhio allo Spreco

Dottoressa Serri, quali sono gli ingredienti più comuni per i quali merita avere un occhio di riguardo?

Petrolatum e paraffina sono derivati dal petrolio, la natura non è in grado di digerirli e per la pelle c’è di meglio. La vaselina, usata molto nei prodotti per l’infanzia, è occlusiva e disturba la microbiologia cutanea; il silicone, e tutti gli ingredienti che terminano in –oni e –ani, non nutrono la pelle bensì danno bellezza al prodotto.”
Una goccia di fondotinta addensato col silicone sul lavandino è molto difficile da pulire. Così è per il viso, e a causa dell’uso crescente di sostanze che mimano nel prodotto le caratteristiche che si vorrebbero trasferire alla pelle: l’effetto liscio, vellutato e morbido, è aumentata anche l’offerta di prodotti esfolianti, maschere, gommage.
“L’ultimo strato della nostra pelle è composta da corneoliti, o cellule senza nucleo. Vengono chiamate cellule morte, ma morte non sono, in quanto svolgono un’importante funzione metabolica e, conclude Serri, “ci consigliano di pulire la pelle come se fosse ceramica di Capodimonte, poi serve lo scrub per la pulizia a fondo. A quel punto la pelle si irrita e occorre la crema restitutiva. S’innesca così un ciclo vizioso”.

Cosa preferire?

“E’ meglio un unico detergente, delicato ma efficace, da togliere con una salvietta di puro cotone imbevuta d’acqua tiepida. Esistono anche panni in microfibra per il viso che puliscono senza detergenti.”

E cosa evitare?

“Disinfettanti quali Triclosan, molto dannosi per l’ambiente, che penetrano negli strati più profondi dell’epidermide e sono stati addirittura trovati nel latte materno. Il motto di una cosmesi sana per la pelle e per l’ambiente è: QB, quanto basta, e di qualità, come per l’alimentazione.”

Nel fare ricerca di prodotti che usano meno plastica (o non la usano proprio) ho trovato una maggiore coerenza con il contenuto. Ad esempio, sto provando un dentifricio in pastiglie, confezionato nel vetro e l’esperienza è molto interessante. E un altro in pasta a base di olio di cocco. Invece, un altro marchio al quale sono fedele, che produce un dentifricio senza ingredienti minacciosi quali coloranti, conservanti, disinfettanti e SLS fluoro, viene distribuito in un tubo di plastica ma vorrei sapere di che polimero è per capire se è riciclabile.

Se cerchiamo prodotti naturali non possiamo fidarci degli slogan sulla confezione – ma alla crema fantastica in plastica ci sono alternative?

Per maggiori informazioni sulle sostanze chimiche da evitare, è utile consultare il sito della direttiva REACH. Non è necessario diventare “paranoici ambientali” ma è importante essere informati. Nel giugno 2007 il Parlamento Europeo ha deliberato la direttiva REACH (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals) con l’obiettivo di studiare meglio i materiali altamente sospetti e regolamentarne l’uso. Si stima che in circolazione ce ne siano circa 900 altamente preoccupanti e REACH ne sta identificando altre 600 pericolose. Sulla base di studi e prelievi si stima che in media ogni essere umano abbia dentro al corpo diverse centinaia di sostanze chimiche dannose per l’organismo.
Attualmente è molto costoso introdurre nuove sostanze sul mercato, per questo le industrie preferiscono usare quelle già esistenti che però non sono mai state adeguatamente testate. Le cavie siamo noi.

Nel 1981 le sostanze chimiche in uso erano 100.106 e da quella data ne sono state introdotte solo 4.300 di cui, si sospetta, il 70% contiene almeno un ingrediente malsano.

Elencate nella categoria 1 e 2 dell’indice REACH sono le sostanze abbreviate come CMR: cancerogene, mutagene (danneggiano i geni) e tossiche per il sistema riproduttivo.
“Altamente pericolose” sono anche le sostanze “persistenti”, quelle “tossiche bio-accumulative” (PBT) e quelle “molto persistenti” e “molto bio-accumulative” (vPvBs).
Molto preoccupanti sono anche gli inibitori ormonali (interferenti endocrini), ritenuti responsabili di varie alterazioni ormonali come i tumori ormono-dipendenti (mammella, prostata, utero), infertilità, pubertà o menopausa precoci, malformazioni fetali ed ermafroditismo (sia negli uomini che negli animali).

Per approfondire gli effetti dei prodotti sul corpo: EWG.org e safecosmetics.org
C’è una nuova app che si chiama Thinkdirty che proverò.

Grey Panthers, il portale della “grey age”

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In un mondo sempre più digitalizzato, cittadini di tutte le età sono chiamati a risolvere burocrazie online, c’è chi ha pensato alle fasce d’età nate nell’era analogica. Grey Panthers è un’iniziativa fenomenale, che mette i giovani al servizio delle generazioni più avanzate.

Cristina: In un mondo sempre più digitalizzato dove persone di tutte le età sono chiamate a risolvere questioni burocratiche online, c’è chi ha pensato alla fascia di età più avanzata, nata nell’era analogica. Non è facile per chi è anziano adattarsi al progresso. Qui a Milano è nata un’iniziativa fenomenale che mette i giovani al servizio delle generazioni più avanzate. Dottoressa Paesano, ci racconti di Grey Panthers.

Vitalba Paesano: Grey Panthers, intanto, è un giornale che si rivolge ai senior. Siamo il portale della “grey age”, abbiamo un pubblico che grazie solo al passaparola sta raggiungendo una massa critica interessante perché possiamo, con orgoglio, dire che siamo 84,000.

Cristina: E mette insieme nonni e nipoti o i figli e genitori, attorno ad un processo educativo necessario. Probabilmente funziona da tutte e due le parti.

Vitalba Paesano: Abbiamo accolto molto volentieri un progetto, oramai quattro anni fa, di Assolombarda che permetteva di fare l’alternanza scuola lavoro per i giovani. Noi l’abbiamo fatto con gli studenti dell’Istituto Molinari e si sono trasformati loro stessi in professori e sui banchi di scuola sono andati i senior e a fare i professori erano i ragazzi.

Cristina: Christian, che cosa ti da quest’esperienza di insegnante?

Christian Garcia: Posso sentirmi utile alle persone che hanno necessità.

Cristina: Se tu dici agli amici “vado a lavorare da Grey Panthers”, ti guardano un po’ strano oppure..

Christian: Chi conosce il progetto mi ringrazia anche perché può darsi che quella persona che aiuto sia suo nonno.

Laura Bolgeri: L’aiuto che mi da Christian, ad esempio gli chiedo come navigare per fare delle ricerche oppure come contattare una persona, è essenziale.

Diana Banfi: L’anno scorso, mi sono messa alla pari con mio nipote di 12 anni, l’ho aiutato in tutte le ricerche per le tesine dei suoi esami di terza media. Mi ha portato in regalo una pianta di rosmarino dicendo che “è merito anche tuo se ho preso questo voto”

Vitalba Paesano:  Però non ci bastava, perché una volta finiti i corsi avevamo anche il sospetto che qualche senior si dimenticasse quello che aveva imparato. Quindi, da due anni, abbiamo aperto uno sportello digitale, che è aperto 24 ore, quindi sempre. In questo sportello digitale, i nostri lettori possono formulare domande sui loro dubbi, le loro incertezze, su quello che pensavano di sapere e hanno scoperto che non se lo ricordano e cosa via e ricevono entro 24 ore una risposta.

Cristina: In futuro che cosa vuole fare? Quali sono i suoi prossimi passi?

Vitalba Paesano: Pensiamo, ad esempio, alle domande che il pubblico dei senior si pone nei confronti della digitalizzazione di questo paese, quindi i rapporti con la pubblica amministrazione, i rapporti con la sanità digitale. Quindi la qualità di vita dei senior passerà sempre di più attraverso il digitale, questo lo  diciamo da 10 anni. Oggi incominciano a capirli tutto, i senior ce lo chiedono e quindi vogliamo continuare in questa operazione di digitalizzazione del nostro paese.

Cristina: Complimenti e buona fortuna! Il 35% della popolazione italiana ha più di 65 anni. 5 punti al di sopra della media europea. Gli anziani sono una risorsa da valorizzare. Occhio al futuro!

In onda 8-6-2019

Federico Faggin, la scienza della consapevolezza

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È tra i padri del microprocessore e del touch pad. Oggi, con la Fondazione Federico ed Elvia Faggin, indaga la natura della coscienza cercando di estendere il metodo scientifico per esplorare la mente.

Federico Faggin, fisico, inventore e imprenditore, è nato a Vicenza il 1° dicembre 1941, si laurea in fisica summa cum laude nel 1965 all’Università di Padova e dal 1968 risiede in California. Quell’anno, alla Fairchild sviluppa la tecnologia MOS con porta di silicio, che consente la fabbricazione dei primi microprocessori e delle memorie EPROM e DRAM, cuore della digitalizzazione dell’informazione. Diventa poi capo-progetto e designer dei primi microprocessori Intel (4004, 8008, 4040 e 8080). Nel 1974 co-fonda e dirige la Zilog, dove progetta il microprocessore Z80. Nel 1986 Faggin co-fonda e dirige Synaptics, che sviluppa i primi touch pad e touch screen. Il 19 ottobre 2010 Faggin riceve dal presidente Barack Obama la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione per l’invenzione del microprocessore e l’anno dopo fonda la Federico ed Elvia Faggin Foundation, dedicata allo studio scientifico della coscienza.

L’INTERVISTA A FEDERICO FAGGIN SU THE GOOD LIFE ITALIA 

Lo sfondo della Basilica Palladiana, in piazza dei Signori a Vicenza, non potrebbe essere più adatto. L’armonia delle forme, la cadenza regolare di archi e aperture laterali, le campate di ampiezze variabili, creano un insieme che è più potente delle singole parti. Anche la carriera di Federico Faggin è una somma di parti, un lavoro di squadra che il fisico vicentino ha concertato esercitando le virtù del leader naturale.

È stato infatti grazie ad una sinergia delle menti giuste che Faggin ha fatto nascere, nel 1971, l’Intel 4004, il primo microprocessore e una vera rivoluzione per l’informatica. Un oggetto che, a guardarlo, ha anche lui una sua armonia: i circuiti integrati creano un pattern, ed è la giusta disposizione di queste parti a garantire la potenza dell’insieme.

Federico Faggin ha 77 anni e una lunga carriera alle spalle, ma non smette di guardare avanti e oggi studia la natura della coscienza. Già nel 1986 fonda Synaptics con lo scopo di sviluppare computer capaci di auto-apprendere attraverso strutture di reti neurali. Un’intuizione che anticipava di 30 anni le ricerche nel campo dell’intelligenza artificiale. Dalla fisica Faggin ha imparato che esiste solo un mondo oggettivo fatto di materia, energia, spazio e tempo. «Se la coscienza è una proprietà del cervello, mi dicevo, deve essere possibile riuscire a fare un computer consapevole» racconta con lo sguardo intenso di un uomo che non finirà mai di indagare. «Avevo un comitato scientifico di neuroscienziati molto validi e la domanda che ponevo loro era “Qual è la differenza tra consapevolezza e cervello?” Loro rispondevano “la consapevolezza è un fenomeno del cervello”». In altre parole, non c’è differenza.

Faggin vuole capire meglio e intraprende da allora un lungo e appassionante percorso. Mette a confronto e armonizza la sua mente scientifica con l’intuizione e il suo dialogo interiore con la fenomenologia del mondo esteriore. Una ricerca di cui è parte integrante Elvia Faggin, moglie e compagna di una vita.

Nel 1992 Synaptics sviluppa un’altra invenzione destinata a cambiare il nostro modo di rapportarci alle tecnologie: il touch pad. «È nato da una sciocchezza» racconta. «Una piccola rottura di scatole. Ero nel consiglio di amministrazione di Logitech, che produceva trackball (le palline usate al posto del mouse sui primi laptop, ndr). Ma ogni paio di giorni dovevo aprirlo e pulirlo perché il grasso delle mani lubrificava la pallina. In quel periodo avevo un piccolo gruppo di ricerca e lanciai la proposta di cercare un’alternativa alla trackball ricorrendo a elettroniche a stato solido. In un paio di mesi, abbiamo inventato il touch pad che sostituì i trackball, e anche il touch screen, per il quale non esisteva ancora una piattaforma».

La rivoluzione della mente

Faggin rivoluzionerà il mondo della scienza come ha fatto con quello dell’informatica? «Il mio obbiettivo è capire, non rivoluzionare» risponde con ferma umiltà. «Dopo anni di ricerche ho vissuto un’esperienza che ha ribaltato la mia prospettiva. Era il 1990. Avevo quasi 50 anni e ho avuto un’esperienza percettiva spontanea, non indotta e brevissima, in cui mi sono sentito simultaneamente il mondo e l’osservatore del mondo. Un evento fondamentalmente diverso da quelli ordinari, in cui ci sentiamo separati dagli altri. È stata una rivelazione profonda. Ho capito che dovevo esplorare la mia consapevolezza in prima persona. Io non so se lei sia consapevole, né lei sa se lo sono io. Non possiamo provarlo scientificamente, e questo è parte del problema».

Faggin si affida allora a una psicologa transpersonale, non per rimuovere traumi, ma per capire i processi della mente e aprirsi a idee nuove. Studia, approfondisce, vive altre esperienze. «Dopo quella prima ne ho avute molte altre, come risposta a quello che cercavo. E continua a essere così. Faccio un sogno e mi sveglio con un’idea. So che sono guidato. Come sarebbe possibile, altrimenti? Non è
possibile che ci arrivi da solo. Noi siamo guidati». Il suo candore è illuminante.

Faggin ha trovato nel Diamond Approach, fondato da A. H. Almaas il metodo per indagare le molteplici dimensioni del potenziale umano attraverso un percorso che integra psicologia e spiritualità.

Ritiri, lezioni e meditazioni, studio e pratica segnano 10 anni della vita di Faggin. Finché, nel 2008, capisce come restituire al mondo ciò che, fino a quel punto, era stato un processo personale. Cede ai giapponesi la sua ultima società, Foveon, che produce sensori per l’acquisizione di immagini. Esce dai consigli d’amministrazione di cui era membro e nel 2009 decide che vanno finanziate le ricerche sulla consapevolezza, partendo dall’ipotesi che essa sia una proprietà fondamentale della natura. Conosce studiosi in gamba che la pensano come lui, ma non trovano fondi. Perché la premessa è che la consapevolezza è solo una funzione del cervello. Per questo nel 2011 nasce la Fondazione Federico ed Elvia Faggin. «È stato Federico a volere il mio nome nella Fondazione. Non ho nessun ruolo nell’originare idee, ma quando si sveglia di notte con delle idee, mi sveglio con lui e ne parliamo. In questo senso sono molto partecipe» racconta Elvia. «Spazio e tempo sono due ossessioni di Federico: durante le nostre conversazioni cerca di incastrare i pezzi del puzzle nel suo modello filosofico-scientifico».
«La nostra dinamica Ying-Yang riflette le polarità alla base della
vita» conferma Faggin. Nella sua nuova visione, l’ambito fenomenologico, cioè lo studio dei fenomeni anche scientifici, deve unire l’aspetto intuitivo, femminile, con il maschile, razionale. La ricerca di Faggin si è spinta molto lontano dall’idea di creare un “computer consapevole”.

«La scienza e la spiritualità devono trovare un’armonia che oggi non c’è. Sono considerati due campi separati, coesistono ma non si riconoscono. Così riduciamo da un lato la nostra umanità a una macchina, e dall’altro coltiviamo un senso di superiorità riguardo alla scienza e alla materia. Dobbiamo andare oltre, se vogliamo scoprire la natura della realtà».

Un altro modo di vedere

Lo scienziato Faggin ha dunque sviluppato un diverso modo di osservare il mondo e i suoi fenomeni. «Io non posso osservare direttamente il mondo interiore di un’altra persona. Devo cercare di capirlo interpretandone i segni: le parole, il comportamento, l’insieme dell’aspetto fisico. La nostra coscienza, però, che assumo esista prima dello spazio-tempo, può percepire gli altri come se stesso». Può sembrare strano, ma, come spiega Faggin, è lo stesso tipo di contraddizione che sta alla base della fisica quantistica. «Il qubit, cioè il bit quantistico è sia zero che uno. È allo stesso tempo vero e falso. Ciò deriva dal fatto che la realtà è olistica. Non esiste una parte distinguibile dall’altra. La fisica classica è riduzionista e le sue parti sono separate e identificabili. La meccanica quantistica è olistica, e le sue parti sono i campi quantici. Questi sono identificabili, ma inseparabili: sono “parti intero”, cioè gli aspetti identificabili di un universo indivisibile. Nel modello che sto mettendo a punto, il campo quantico è solo l’aspetto fisico di una entità più vasta che chiamo “unità di consapevolezza”. L’unità di consapevolezza è un sé cosciente con un aspetto interno semantico e un aspetto esterno simbolico. I due aspetti si riflettono l’un l’altro. Come le due facce di una stessa medaglia».

La ricerca di Faggin si è spinta molto lontano dall’idea di un “computer consapevole” capace di programmarsi da solo mimando il processo decisionale dell’uomo. Oggi Faggin è giunto alla conclusione che quel tipo di calcolatore non si può progettare. «Come faccio a tradurre quello che provo in segnali elettrici o biochimici che sia, e viceversa? Percepiamo la realtà attraverso sensazioni e sentimenti, emozioni e pensieri. Che non hanno niente a che vedere con i segnali elettrici». Non è una resa della scienza: solo la conclusione che il vero “computer” da studiare è dentro di noi.

Italia Che Cambia

By ecology, sdg 17

Daniel Tarozzi, fondatore di Italia Che Cambia e fellow della rete Ashoka, ha raccontato il viaggio in camper che lo ha portato a conoscere, e mappare, gli agenti di cambiamento dal sud al nord dell’Italia.

Cristina: Mentre l’Italia fatica a fare sistema, per fortuna ci sono giovani che s’impegnano a contrastare questo problema. Daniel si muove su e giù per il nostro paese in camper, per cercare talenti da valorizzare e mapparli. Daniel, com’è nato questo tuo mestiere?

Daniel Tarozzi: Guarda tutto è nato da un viaggio lungo quasi un anno alla ricerca di persona che si assumevano la responsabilità della propria vita senza aspettare che qualcuno lo faccia al loro posto. Nel 2012 sono partito in questo camper, con l’idea di andare in giro per l’Italia, pensando di stare in giro per poche settimane. In realtà ho scoperto centinaia, migliaia di esperienze concrete di cambiamento in tutte le regioni italiane. Quello che doveva essere un viaggio finalizzato a scrivere un libro è diventato un progetto di racconto di questa Italia Che Cambia che va avanti da oltre 7 anni. Pensa che solo nel mio primo viaggio ne incontrai oltre 450, sulla nostra mappa ci sono 2.000 progetti mappati ma sono molte, molte di più quelle che costellano il nostro paese.

Cristina: Che metodologia seguite?

Daniel Tarozzi: Ci arrivano segnalazioni, il passaparola che è straordinario, ogni persona che incontro mi segnala altri 5-10 progetti, ovviamente il web siamo prevalentemente sul digitale, abbiamo i nostri canali social e il nostro sito. Da questa esperienza sono concrete, non sono solo astratte, progetti che funzionano e che negli anni migliorano.

Cristina: Che visione avete dell’Italia nel 2040?

Daniel Tarozzi: Abbiamo raccolto oltre 500 azioni che possiamo realizzare tutti, a partire da oggi, per cambiare l’ambiente, per cambiare l’economia, per creare lavoro, senza aspettare nessun governo, azioni che possiamo fare adesso.

Cristina: In che modo si creano collaborazioni tra le realtà che mappate?

Daniel Tarozzi: Il nostro lavoro è un lavoro sull’immaginario, la prima cosa che cerchiamo di fare è di proporre esempi positivi ispirandoci un po’ allo slogan “vietato non copiare”. La prima connessione che siamo riusciti a creare è quella tra la domanda di cambiamento e l’offerta di cambiamento, ovvero sono un cittadino, un professionista, una persona insoddisfatta, voglio andare a vivere fuori città, creare lavoro, voglio fare qualcosa nella mia vita. Vado a trovare chi lo ha già fatto e poi cerco person con cui farlo anch’io, per cui si ci sono tanti borghi abbandonati che si stanno ripopolando. Ci sono tantissimi altri che stanno creando progetti agricoli, ma anche imprenditoriali, digitali, fab lab. Quindi natura, città, davvero un’Italia in fermento e straordinaria in tutti i campi.

Cristina: C’è una Regione che meglio di altre fa sistema?

Daniel Tarozzi: Per fare qualche esempio concreto da nord a sud mi vengono in mente ad esempio, circuiti di monete complementari in Sardegna che stanno mettendo l’economia in circolo davvero facendo girare milioni di euro di economia che non avrebbe girato senza questo strumento. Oppure ancora dei piccoli produttori che in Sicilia si sono messi a cooperare con i cosiddetti competitor, cooperando insieme vendendo ai gruppo di acquisto del centro-nord hanno visto tutti aumentare i fatturati. La cooperazione che vince contro la competizione. E ancora, tantissimi giovani, c’è questa tema dell’agricoltura. L’agricoltura, quella che davvero valorizza i nostri prodotti. è in una crescita incredibile, quindi quando si parla di crisi bisogna stare attenti. C’è la crisi di un mondo, di un settore. Io racconto l’Italia dal 2012 e in questi anni di crisi piena c’è tutta un’Italia, che senza mai negare le difficoltà perché saremmo utopici, che sta realizzando progetti che funzionano anche a livello economico.

Cristina: Sembrerà tanto banale ma viviamo in un paese meraviglioso, facciamolo funzionare meglio. Occhio al futuro

In onda 11-5-2019

L’impronta idrica del cibo

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Avete mai pensato alla quantità di acqua che consumate in un giorno? Non solo l’acqua che bevete o che utilizzate in casa. Anche il cibo che mangiamo ha un’impronta idrica, si chiama acqua virtuale e spesso rappresenta più della metà del nostro consumo idrico giornaliero.
Durante l’esposizione di Broken Nature a La Triennale di Milano, ci sarà un Wonderwater Café con un menù interamente tradotto in termini di impronta idrica per ogni piatto!

Cristina: Molti di noi sono bravi a non sprecare acqua in casa, ma raramente sappiamo quanta ne consumiamo in maniera indiretta, ad esempio l’acqua che serve per produrre il nostro cibo. Wonderwater Café è un progetto itinerante che giunge al ristorante della Triennale di Milano durante l’esposizione di Broken Nature. Frutto di una collaborazione tra scienziati e designer, si traduce in un menù che illustra l’impronta idrica di ogni piatto.

Jane Withers: Non abbiamo idea delle quantità di acqua che servono per produrre il cibo. Noi mostriamo le differenze tra: fagioli coltivati in Kenya, dove irrigare le piante può voler dire sottrarre risorse idriche dalle comunità locali, e verdure stagionali e locali, irrigate con acqua piovana. Capiamo il valore dell’acqua quando, ad esempio, durante la siccità in California due anni fa, i prezzi delle mandorle sono andati alle stelle. Noi mostriamo questi sistemi idrici invisibili.

Cristina: Lei trova che i fatti scientifici debbano essere adattati per raggiungere un grande pubblico?

Jane Withers: Si, penso di sì. Noi traduciamo i dati in un linguaggio che le persone possano capire. Penso che trovare sul tavolo, al ristorante, mentre stai scegliendo cosa fare, un menu che indichi l’impronta idrica di ogni piatto, faccia la differenza. Quanto influisce sulla scelta? Se leggendo vedo che per fare la pizza marinara ha consumato 290 litri e quella con la salsiccia piccante 960 litri? Sono numeri impressionanti.

Cristina: Il primo WonderWater cafè risale al 2011. In pochi anni, insieme al progetto è cresciuta la consapevolezza del problema.

Jane Withers: I nostri partner accademici del King’s College di Londra, hanno lavorato per capire ogni ingrediente: da dove è venuto, dov’è stato acquistato e così via. Adesso sembra esserci più trasparenza, ma penso che sia interessante quanto nel 2011, sembrava tutto molto astratto, mentre ora c’è un crescente senso di urgenza. Ci stiamo rendendo conto che una delle cose più importanti che possiamo fare è di passare da una dieta carnivora ad una vegetariana o “flexitariana” – più consapevole. Le differenze sono importanti:  più di 5000 litri al giorno per una dieta a base di carne contro 2600 litri. Sono differenze palpabili. C’è crescente interesse e consapevolezza.

Cristina: Le informazioni ci sono, la gente ha sempre più voglia di sapere cosa consuma e che impatto ha. Quindi se siete ristoratori se comunque portate, al mondo, cibo in un qualche modo, offrite questa opportunità di conoscenza perché è molto importante. Occhio al futuro!

In onda 4-5-2019

Stefano Mancuso e l’intelligenza diffusa delle piante

By ecology, sdg 15

Prof. Stefano Mancuso, autore e Direttore del LINV – International Laboratory of Plant Neurobiology, parla dell’intelligenza del regno vegetale – un modello a rete. Internet ne è un esempio!

Cristina: Sovente pensiamo che per il successo dobbiamo scalare una vetta, diventare il capo di qualche cosa per avere influenza, ma il mondo vegetale ci insegna ben altro. Ci insegna che l’intelligenza si può diffondere a macchia d’olio e perché? In che modo?

Stefano Mancuso: Tutto quello che hai detto è vero, perché noi ci ispiriamo al modello animale. È fatto con un cervello che governa degli organi, quando noi replichiamo questo modello nelle nostre organizzazioni, quindi c’è un capo e poi una gerarchia sotto, nasce una burocrazia che serve a trasportare gli ordini. Il modello vegetale, paradossalmente, è molto più moderno rispetto a quello animale perché è un modello a rete, diffuso. La pianta, in altre parole, distribuisce sull’intero corpo funzioni che gli animali concentrano negli organi. Immaginiamo un’organizzazione di questo tipo, queste organizzazioni molto moderne, internet stesso è fatta in questa maniera, non ha un comando centrale o le monete elettroniche di cui si parla tanto oggi. Il bitcoin e tutte queste cose sono organizzazioni decentralizzate e come tali funzionano benissimo.

Cristina: E quali saranno gli sviluppi strategici che potranno beneficiare di questo modello?

Stefano Mancuso: Potremmo costruire qualunque tipo di organizzazione ispirandoci al mondo vegetale. C’è una multinazionale americana che si chiama Morningstar che funziona a questa maniera, cioè non ha manager. È completamente distribuita e funziona benissimo. Il modo con cui abbiamo guardato alla società, nella nostra storia, non è l’unico. Il 99% della vita di questo pianeta utilizza un sistema diverso.

Cristina: Perché ha senso imitare delle creature viventi che apparentemente sono ferme?

Stefano Mancuso: Le piante vedono, le piante sentono, le piante dormono, le piante sono in grado di comunicare, di avere relazioni sociali.

Cristina: In che modo possiamo imitare il comportamento delle piante?

Stefano Mancuso: Le piante producono risorse, gli animali le consumano, quindi imitiamo le piante nel produrre e consumare la minor quantità di risorse possibili. Trasformiamo le nostre organizzazioni, non è scritto da nessuna parte che per forza debbano essere piramidali. Trasformiamole in distribuite e ne trarremmo dei vantaggi in pochissimo tempo.

Cristina: Sta a noi decidere se vogliamo comportarci come animali o come piante. Occhio al futuro

In onda 27-4-2019

Broken Nature – la Triennale di Paola Antonelli

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Paola Antonelli è la più grande fonte d’ispirazione per colmare il divario tra ciò che sappiamo e come viviamo. Broken Nature presenta una moltitudine di idee e soluzioni per diventare cittadini rigenerativi del nostro bel Pianeta. La speranza è che visitiate la Triennale tante volte, ma per chi non verrà a Milano entro l’1 settembre, brokennature.org è una fonte da consultare (anche per chi visiterà la mostra!). Grazie Paola per la tua visione e per la tenacia.

Cristina: Siamo alla Triennale di Milano, Broken Nature, un mostra internazionale e interdisciplinare che durerà fino al 1 di Settembre, che indaga il nostro rapporto con i sistemi naturali, la società umana, con il modo di vivere, produrre e consumare. É curata da una grande italiana, Paola Antonelli, che per l’occasione  è stata prestata dal MoMA di New York.  L’essenza di Broken Nature, cosa vuoi che gli spettatori si portino a casa?

Paola Antonelli: Vorrei che si portassero a casa il fatto che per essere responsabili, per vivere in modo sostenibile, per attivare questo atteggiamento ricostituente, non bisogna sacrificare l’estetica o il piacere, la sensualità o l’eleganza.

Cristina: Spesso gli individui si sentono troppo piccoli per poter avere un impatto. Tu come la vedi?

Paola: Non la vedo così, perché non possiamo contare soltanto sui governi, le istituzioni e arrenderci al nostro destino. Abbiamo un potere enorme che proviene anche dai social media, una persona poi diventa un gruppo, una tribù, una comunità e dopo di che se i governi vogliono avere qualsiasi efficacia devono seguire anche quello che vuole il pubblico.

Cristina: Qual’è il tempo ideale da trascorrere in questa mostra per tornare a casa veramente più nutriti?

Paola: Direi che almeno tre quarti d’ora, un’ora ce li devi mettere. Spero che tanti bambini vengano e che siano ispirati perché alla fin fine il design tra una quarantina di anni andrà come la fisica, ci sarà il design teorico e quello applicato e si trasmetteranno conoscenze a vicenda.

Cristina: E l’aspetto sociale come lo hai declinato?

Paola: Per esempio […] pensò a questo recupero di mais di speci che erano andate perdute e poi usare le barbe e la parte esterna della pannocchia per fare un’intarsio. Anche semplicemente quest’attività che il design può fare per recuperare cultura materiale che si è persa, c’è un grandissimo esempio anche di come si può utilizzare la comunità.

Cristina: Come definisci il designer del XXI secolo?

Paola: Tantissime possibilità di espressione. Per cominciare ci sono i mobili, ovviamente ci sono le auto, ci sono anche i materiali. Ci sono dei designer che progettano scenari o cercano di mostrarci quali potrebbero essere le conseguenze future delle nostre scelte di oggi. Ci sono designer di interfacce che sono per esempio lo schermo e l’interazione del bancomat. Ci sono designer che fanno bio-design, quindi si occupano anche di organismi viventi o progettano con organismi viventi. Neri Oxman e Mediated Matter Group stanno ispirando una generazione di designer che imparano a lavorare con la natura per fare oggetti ed edifici che crescono invece di essere disegnati dall’esterno. Skylar sta lavorando il governo delle Maldive per fermare l’erosione delle spiagge. Stanno tutti lavorando e avendo un grande impatto. Sono molto fiera di tutti.

Cristina: Grazie Paola. Non perdete Broken Nature.

In onda 6-4-2019