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Caracol, design e stampa 3D

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Ogni innovazione comporta molte conseguenze. La storia che vi raccontiamo oggi offre uno squarcio sull’impatto della stampa 3D in molte filiere di manifattura. Ad esempio, la progettazione di una sedia su misura o la realizzazione di una semplice pinza, che influisce sulla performance di un braccio robotico. Il simbolo di Caracol Design Studio è una lumaca, che ha un guscio dalla struttura complessa e stratificata. Una buona metafora per rendere l’idea di quanto si nasconde dietro al design sistemico.

Cristina: Oggi vi raccontiamo del matrimonio tra due tecnologie, la robotica e la stampa 3D, o manifattura additiva. Questo consente di esplorare nuovi orizzonti progettuali. Ve lo raccontiamo attraverso casi molto pratici. Su cosa state lavorando adesso?

Paolo Cassis: In questo momento stiamo studiando un metodo per produrre delle sedie totalmente su misura ed ergonomiche per ogni persona. Stiamo cercando di fare questa applicazione tramite un’associazione di sistemi robotici e dispositivi di stampa 3D.

Cristina: E quindi come funzionerebbe? Io la sogno una sedia ergonomica fatta per me che però non mi costi una cifra improponibile.

Paolo: Si partirebbe scannerizzando, quindi prendendo nel modo più preciso possibile i dati del tuo corpo e della tua schiena per poi rielaborarli digitalmente e farli produrre con una precisione millimetrica al robot e alla stampante 3D.

Cristina: Per un costo di?

Paolo: Per un costo che si potrebbe aggirare tra i 100 e i 120 euro anche.

Cristina: Qualche altro esempio di risparmio con questo tipo di manifattura?

Paolo: Noi abbiamo prodotto questa pinza da fresa, in manifattura additiva, che è molto più leggera del pezzo che tradizionalmente è prodotto in metallo. Questa pinza viene installata proprio sui robot e ha permesso all’azienda di risparmiare sulla taglia di questo macchinario dato che il peso è minore e quindi realizzare lo stesso lavoro con un robot più piccolo. Risparmiando anche decine di migliaia di euro sul prezzo di macchinario.

Cristina: Lavorate anche con artigiani?

Paolo: Si, lavoriamo con artigiani perché crediamo che il valore della tradizione sia portare avanti anche in un ambito innovativo proprio perché è la tradizione, l’innovazione, una collaborazione benefica tra questi due approcci sia un motore del progresso nel design.

Cristina: Con rispetto per il passato, occhio al futuro.

Forge Reply – realtà virtuale

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La realtà virtuale e la realtà aumentata non sono solo strumenti per divertirsi, ma anche per formare professionisti in vari ambiti o per mostrare lo sviluppo di complessi macchinari industriali prima che vengano prodotti. Forge Reply ci ha mostrato com’è possibile. Siete pronti a stupirvi?

Realizzano applicazioni che sfruttano la realtà virtuale e la realtà aumentata che integrano apprendimento e intrattenimento per permettere a bambini e ragazzi di imparare giocando, o per rinforzare la formazione del personale all’interno di una cornice aziendale. Mettono anche le loro competenze al servizio degli istituti ospedalieri o dei centri riabilitativi che sempre più vedono nelle tecnologie AR e VR dei validi strumenti per il trattamento di diverse patologie.

RIABILITAZIONE CON REALTÀ VIRTUALE IMMERSIVA

La realtà virtuale, e in particolare la Telepresenza Immersiva Virtuale (TIV), offre un approccio innovativo per supportare il recupero funzionale delle abilità nei pazienti affetti da disturbi cognitivi nelle fasi iniziali, disturbi motori quali ictus o malattia di Parkinson, disturbi psicologici come ansia, fobie o stress.

Forge Reply ha progettato un “Cave”, una intera stanza virtuale dove si sperimenta la Telepresenza Immersiva Virtuale (TIV), dove è possibile simulare i tipici scenari in cui vengono trattati alcuni disturbi. Il Cave è un sistema integrato che permette di ricostruire una realtà vera, considerando le sollecitazioni cognitive, uditive e visive. Grazie alla visione 3D stereostopica, legata a un sistema di tracciamento della posizione, il sistema permette una corretta lettura degli spazi, dei volumi e delle distanze, dando così la netta sensazione di essere immersi all’interno della scena virtuale proiettata sugli schermi.

LA REALTÀ VIRTUALE PER LA FORMAZIONE

In ambito aziendale, hanno sviluppato una piattaforma e-learning dedicata alla formazione del personale per le operazioni di installazione e manutenzione sui quadri di media tensione. La piattaforma è composta da due moduli interattivi, uno basato su tecnologia 3D interattiva Unity 3D per uso via web, ed uno uso in realtà virtuale con visore HTC Vive. In entrambi i moduli le operazioni di manutenzione virtuali implementate riproducono fedelmente le relative procedure operative. La visualizzazione interattiva dell’oggetto in 3D, consente all’utente una precisa ed efficace comprensione del prodotto in un ambito dove l’aspetto sicurezza è di fondamentale importanza: con questo strumento, si vuole offrire la possibilità di simulare in assoluta sicurezza delle azioni potenzialmente pericolose.

Le lampade per l’agricoltura di CLed

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Tra poco sugli scaffali dei supermercati cresceranno i vegetali. Il progetto di C-Led è un passo nel futuro della filiera alimentare!

Cristina: La filiera agroalimentare ha forte impatto sulle risorse naturali che sono sempre più scarse e dunque la si sta ridisegnando. Inoltre, la popolazione mondiale sempre più si sposta dalle campagne alle città, e dunque così anche il cibo che consumiamo. Siamo venuti all’Istituto di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna perché qui si stanno facendo delle importanti ricerche. Alessandro, costa state studiando?

Alessandro Pasini: Le piante non assorbono tutta la luce ma solo determinate frequenze luminose che sono dette fotosinteticamente attive. É possibile replicare le stagioni grazie alle luci artificiali e al microclima che andiamo ad adattare in base alla pianta che vogliamo far sviluppare.

Cristina: E quindi questa è una luce estiva o invernale quella che vediamo?

Alessandro: É per i pomodori quindi tipicamente estiva e in grado di far crescere e sviluppare i pomodori anche in inverno.

Cristina: Premesso che siamo grandi sostenitori di mangiare cibi locali e di stagione, ma il vantaggio di crescere pomodori e lamponi tutto l’anno?

Alessandro: Nella cultura di oggi, l’alimentazione prevede di mangiare tutto e sempre. L’Italia è una grandissima importatrice di pomodori fuori stagione ma anche di frutti di bosco. Per cui con queste soluzioni pensiamo di portare un beneficio.

Cristina: Come mai avete quattro vasche per il basilico?

Alessandro: Stiamo testando diverse frequenze luminose che abbiamo scomposto in rosso e blu con l’idea di arrivare alla pianta che ha una dimensione maggiore e aromi maggiori. Nella parte superiore stiamo testano luci per la micropropagazione, che è il primissimo processo duplicazione delle piante e a seconda del tipo di pianta e a secondo della dimensione che si vuole raggiungere stiamo testano dei bianchi diversi.

Cristina: Qual’è la differenza tra un germoglio e microgreen?

Alessandro: I germogli nascono in acqua e hanno bisogno di un tempo tra uno e due giorni. I microgreen hanno bisogno di un substrato, quindi terra ad esempio e acqua potabile. Hanno bisogno di un tempo tra i 5 e i 10 giorni.

Cristina: Qual’è il vantaggio nutritivo di un microgreen?

Alessandro: Anche di 70 volte superiore all’ortaggio allevato in pieno campo

Cristina: Siamo in un prototipo di supermercato, dove qua c’è un’unità di crescita che usa le stesse tecnologie con le luci led. Quando vedremo questo nei supermercati?

Alessandro: Non è futuro ormai, tra poche settimane avremo questa vetrina all’interno dei primi supermercati e saremo anche in grado di controllarla digitalmente per accendere o spegnere l’illuminazione o per attivare il sistema di irrigazione che è completamente automatico.

Cristina: Sistemi di coltivazione indoor come questi hanno tanti vantaggi, ad esempio la riduzione quasi totale di sostanze chimiche additive e il risparmio pensate fino al 90% rispetto al consumo idrico in agricoltura tradizionale.

3Bee, api e tecnologia

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Cosa connette api, stampa 3D e Albert Einstein? Lo scopriamo attraverso questo progetto semplice e sostenibile, interamente ideato in casa grazie all’incontro tra biologia ed elettronica. Le api hanno un ruolo cruciale nelle nostre vite, anche se da cittadini non ce ne accorgiamo. Se ne era accorto qualcuno dalla mente molto brillante, che associava la loro scomparsa a quanto di più catastrofico per la specie umana. Ma con il preciso monitoraggio degli alveari proposto da 3Bee, gli apicoltori sono in grado di prevenire malattie e decimazioni, mentre i ricercatori possono avanzare nei loro studi.

Cristina: Ogni anno da più di un decennio muore una media del 30% della popolazione di api in Europa e Nord America. D’estate poi si riproducono ma il numero complessivo delle famiglie è in continua diminuzione. E questo è un problema grave che minaccia la sopravvivenza di tutte le speciviventi inclusa la nostra. Siamo venuti a Como per incontrare due ragazzi che stanno affrontando il problema. Buongiorno ragazzi, come è nato e come si è sviluppato il vostro progetto?

Niccolò Calandri: Il nostro progetto nasce dall’unione dell’elettronica con la biologia. Io sono ingegnere elettronico e, assieme a Riccardo che è biologo, abbiamo realizzato questo prodottodirettamente in casa. Il prodotto è totalmente costruito nei nostri laboratori casalinghi, lo stampiamo in 3D, lo assembliamo in casa e lo portiamo direttamente sulle nostre arnie.

Riccardo Balzaretti: Un dispositivo che ci permette di monitorare le api in tempo reale, quindi di sapere tutto ciò che avviene all’interno dell’alveare e anche all’esterno.

Cristina: Quali sono i dati che monitorate?

Riccardo Balzaretti: Principalmente lo stato di salute delle api che può venire ricavato attraverso l’utilizzo di sensori per la temperatura, l’umidità, intensità dell’aspetto sonoro e il peso. Una volta messo il dispositivo all’interno se sei vuole si attacca l’alimentazione solare che serve per la ricarica della batteria del dispositivo che di per sé può durare mesi grazie al pannello che la rende pressoché infinita.

Cristina: Quindi voi generate una mole di big data?

Riccardo Balzaretti: Esatto, generiamo una mole molto grossa di big data che poi possono essere utilizzati per far ricerca diretta da ricercatori e università, ma anche da privati che vogliono semplicemente sapere qual è lo stato di salute degli alveari nella zona e ovviamente da apicoltori.

Cristina: Quanti apicoltori ci sono in Italia?

Riccardo Balzaretti: Circa 100 mila, di cui 10 mila sono professionisti. Abbiamo studiato e ricercato anche una soluzione per una delle malattie che è una piaga in apicoltura che si chiama varroa che è un piccolo parassita, acaro dell’ape. Si tratta di un telaino termico. L’idea non è nuova, ma stiamo cercando di ottimizzarla, ed è una soluzione che non prevede chimica.

Cristina: Se le api dovessero scomparire, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita. Questa frase è attribuita a Albert Einstein, non è certo che l’abbia detto, ma il ragionamento è verosimile e far riflettere. Occhio al futuro.

Alghe: da surplus a risorsa

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A parte quando le troviamo arrotolate intorno al sushi, le alghe tendono a non piacerci. Ci infastidiscono quando nuotiamo e si ammassano sulle rive. Un gruppo di ragazzi brillanti di Taranto sta trasformando un’apparente rifiuto in risorsain collaborazione con il CNR. La soluzione di South Agro è di impiegare le macro-alghe come biostimolanti in agricoltura. Ecco come.

Cristina: Capita sempre più a bagnanti e natanti di essere infastiditi non solo dalla plastica ma anche delle alghe che proliferano nel Mediterraneo. Alcune di queste però sono una grande risorsa. In che modo diventano risorsa? Siamo nel Mar Piccolo di Taranto per parlarvi di un progetto che è stato sviluppato assieme al CNR.

Antonella Petrocelli: Noi ci occupiamo di alghe da circa 30 anni, abbiamo iniziato usandole come indicatori ambientali. Ora stiamo dragando a circa 8 metri di profondità con una rete che raccoglie sul fondo tutto ciò che incontra.

Cristina: E con questa alga sana che cosa fate?

Antonella Petrocelli: Otteniamo dei biostimolanti da utilizzare in agricoltura.

Cristina: Andiamo a vedere che cosa succede nella seconda fase, quella di trasformazione e vi racconteremo questo prodotto che proprietà ha.

Valentino Russo: In questo laboratorio la nostra startup in collaborazione con il CNR trasforma le alghe in prodotti biostimolanti utili per l’agricoltura in quanto permettono di esaltare la qualità dei suoli, migliorare la resistenza agli stress climatici ed avere piante più sane e più forti. Queste sostanze possono essere impiegate in agricoltura o negli orti di casa propria.

Cristina: Quindi è un tonificante per la terra?

Valentino Russo: Esattamente.

Cristina: Sappiamo che c’è sempre più uso di fertilizzanti, le terre sono sempre più povere. Quindi questo permette di dosare meglio.

Valentino Russo: Proprio così. L’utilizzo di un prodotto biostimolante permette una diminuzione dell’utilizzo dei fertilizzanti chimici tradizionali.

Cristina: Il processo come avviene? Come viene trasformata l’alga secca della varietà che abbiamo visto prima?

Valentino Russo: Viene macinata, poi attraverso un processo in via di brevettazione diventa un prodotto biostimolante.

Cristina: E’ la prima operazione fatta con alghe 100% italiane?

Valentino Russo: Si 100% del Mar Mediterraneo che sono assolutamente sottoutilizzate rispetto alle fantastiche caratteristiche che possiedono.

Cristina: La materia prima è abbondante e locale, il processo di trasformazione è a basso impatto, il prodotto è ecocompatibile. I protagonisti di questa storia sono giovani e stanno lanciando una campagna di crowdfunding, se volete sostenerli. Occhio al futuro.

“I vostri computer non sono sicuri”

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Marc Goodman è tra i più grandi esperti al mondo di sicurezza. Stratega globale, Futurologo dell’FBI, consulente dell’Interpol e docente di legge ed etica alla Singularity University, dove abbiamo assistito a una sua lezione al cardiopalmo. Il suo intervento è un concentrato di suspense, più avvincente di un thriller, ma quando realizzi che non sei al cinema, e che stai sentendo dalla massima autorità in materia che nessun computer è inviolabile, che si possono piratare i pacemaker e le serrature delle celle dei penitenziari, che Facebook viene hackerata 600.000 volte al giorno, ti si gela il sangue. «Siamo abituati a leggere notizie come queste sui giornali, ma in mezzo a tante altre, non ci danno l’idea della vastità del fenomeno. Non ci rendiamo conto che i cyber crimini stanno diventando sistemici», spiega. Ogni giorno tutti noi pompiamo in rete uno tsunami di informazioni, una marea continua di dati che possono essere usati a nostro vantaggio, ma anche contro di noi. Internet è fonte di immense opportunità, ma anche di rischi che è di importanza vitale conoscere. Goodman ha fondato un’organizzazione chiamata Future Crimes che riunisce un panel di futurologi impegnati a studiare e discutere gli effetti del progresso scientifico e tecnologico sul crimine, la legislazione e gli ordinamenti giudiziari a livello planetario. Future Crimesè anche il titolo del suo nuovo libro, definito «un tour nel mondo sommerso del web», un portolano da usare per navigare ad occhi aperti, e per impostare la rotta al sicuro dai pirati e dai virus sempre più agguerriti.

GOODMAN: Qualche settimana fa abbiamo arrestato un assassino in Florida. Aveva ucciso la sua coinquilina. Doveva nascondere il corpo e non sapeva come fare. Allora ha preso il suo IPhone e a chiesto a Siri: “Siri, qual è il posto ideale per sbarazzarsi di un cadavere?” E Siri gli ha risposto dicendogli che lo poteva buttare in un fiume, o in una discarica, oppure seppellire in un cimitero. La polizia, che già sospettava di lui, ha deciso di controllare il suo telefono e, a seguito di un’analisi forense, ha trovato le domande fatte a Siri e lo ha incastrato. Ogni singolo computer può essere hackerato. Non è mai stato costruito un computer inviolabile. Abbiamo bisogno di sistemi più sicuri e io penso che un metodo valido sia un modello simile a quello della salute pubblica. Potremmo usare l’epidemiologia per occuparci dei virus del computer. Trattiamoli come se fossero una malattia, isoliamoli! ci sono crimini cibernetici stupefacenti e il mio lavoro è quello di verificare quanto siano avanzati i criminali che li commettono. Oggi si occupano di tecnologie elettroniche, conoscono benissimo la robotica, l’intelligenza artificiale, la genetica, le armi biologiche… hanno esperti per ogni area, insomma. In passato, se qualcuno commetteva un crimine, se ad esempio rapinava la Banca d’Italia a Roma, La polizia era certa di alcuni dati di fatto: sapeva che il criminale era a Roma e che la banca era a Roma. Vittima e criminale si trovavano insomma nella stessa città e sarebbero stati Carabinieri o Polizia di Stato ad occuparsi delle indagini. Il criminale avrebbe lasciato tracce di DNA. Erano cose certe. Oggi lo stesso criminale può rapinare la Banca d’Italia da un qualsiasi paese dell’Africa. La può rapinare da Mosca. Il nostro sistema è messo a dura prova da questo, poiché la leggi sono nazionali, per la maggior parte. Abbiamo alcune leggi internazionali ma il problema dei crimini informatici è esclusivamente internazionale. Un criminale può spostarsi in cinque paesi diversi mettendoci non più di cinque minuti. Gli basta hackerare un computer per ogni paese. Quando un criminale si trova a Roma e la polizia pure è facile procedere. Ma se hai un poliziotto a Roma e il tuo criminale è in Ucraina o a Buenos Aires, Spesso non c’è il budget per mandare l’agente in giro per il mondo. Ci sono comunque organizzazioni che se ne occupano. In Europa esiste L’Europol all’Aia, che coordina il crimine in tutta Europa e nel resto del mondo c’è l’Interpol, che si occupa di tutti i continenti. 190 paesi uniti insieme per concentrarsi sul crimine internazionale… Ma il problema è un budget limitatissimo. Il budget dell’Interpol è di circa 75 milioni di euro all’anno. Quello della sola Polizia di New York è di 4 miliardi di euro! Un’idea valida sarebbe quella di creare un corpo di riservisti internazionali online. Questi poliziotti speciali sarebbero addestrati, faremmo un completo controllo dei loro precedenti, e gli daremmo le autorizzazioni di sicurezza necessarie a rinforzare il corpo di polizia, con il loro lavoro di volontariato. Quando facciamo una ricerca su internet vediamo solo una minima parte della rete.

CRISTINA: Quali sono le proporzioni?

G: La maggior parte della gente, quando fa una ricerca su Google è convinta di accedere all’intera rete, ma non è così. Sotto alla parte visibile c’è il cosiddetto “Dark Web” e il “Deep Web” che sono parecchio più grandi. In proporzione sono grandi 500 volte la parte visibile! Il Web di superficie è grande più o meno 19 terabytes, mentre il Dark Web 7500 tera! Nel “Dark Web” ci sono parecchi database e altre informazioni di sicurezza nascoste, ma è lì che si organizza tutto il crimine informatico. Pensa alle misure di sicurezza negli aeroporti, ad esempio. Dopo l’11 Settembre cosa abbiamo fatto? I terroristi hanno usato molta creatività per trasformare aerei in bombe e compiere attacchi terroristici. Noi non abbiamo la stessa creatività dei criminali. a essere onesti, quello che vediamo negli aeroporti è il cosiddetto “teatro della sicurezza”. Sono controlli che servono a farci sentire più protetti, Ma in realtà non sono molto sofisticati. Il governo americano ha compiuto un studio: hanno fatto il conto di quante pistole erano state trovate ai controlli degli aeroporti Americani ed hanno calcolato il costo delle spese di sicurezza. È venuto fuori che per ogni pistola sono stati spesi 40 milioni di dollari! Devo fare invece i miei complimenti All’Unione Europea, perché le loro leggi sulla privacy sono probabilmente le più solide al mondo mentre quelle negli Stati Uniti sono le più deboli. Per fare un esempio, i principali paesi del mondo hanno un commissariato nazionale sulla privacy. Gli Stati Uniti no.

C: Lei ha collaborato spesso con l’Italia. Qual’è la sua esperienza con la nostra polizia nazionale?

G: Ho lavorato con vari enti. Con la Polizia di Stato e con la Polizia Postale e delle Comunicazioni. Fanno un ottimo lavoro, veramente. Hanno esperti riconosciuti a livello internazionale, viaggiano per il mondo e hanno lanciato una serie di indagini davvero notevoli. Ad esempio sono i pionieri nell’ideazione di una forza di polizia virtuale. La Polizia di Stato ha un sito online, è possibile accedere e visitare una stazione di polizia virtuale con avatar. Nessun paese è perfetto, per carità, ma l’Italia ha fatto un ottimo lavoro.

La lana Sarda che ripulisce il mare dagli idrocarburi

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Vedere una spugna assorbire un liquido ci affascina. Ora immaginate che la spugna sia ricavata da scarti industriali, addirittura rifiuti speciali, e il liquido in questione sia acqua di mare inquinata da idrocarburi. Ma non finisce qui perché la spugna contiene anche dei microrganismi in grado di digerire gli oli restituendo acqua pulita. Da questa intuizione speciale dell’imprenditrice della blue economy Daniela Ducato nasce Geolana. Il diportista attento la troverà in molti porti e anche nelle sentine.

Cristina: Circa 150 milioni di persone vivono sulle coste del Mar Mediterraneo, scaricando in acqua rifiuti di ogni genere, da quelli industriali a quelli civili. Pensate che secondo le Nazioni Unite sono 100/150 mila tonnellate solo gli idrocarburi. Per fortuna c’è ci si occupa di questo con soluzioni innovative. Buongiorno Daniela, cos’è questo?

Daniela Ducato: E’ un tessuto di lana di pecora realizzato in industria con il pelo corto e che diventerebbe un rifiuto speciale smaltito a caro prezzo ambientale ed economico e invece noi lo trasformiamo in risorsa speciale.

Cristina: E lo vediamo lì?

Daniela Ducato: Esatto e non è decorativo. È un tessile che è stato creato a doc per catturare velocemente molti inquinanti, soprattutto gli oli e gli idrocarburi petrolchimici. E fatto in modo speciale per acchiappare, e quindi per ospitare, tutti quei microrganismi utili che sono in acqua e che hanno il compito di metabolizzare e digerire questi inquinanti restituendoci acqua pulita.

Cristina: Un kilo di lana quanto assorbe?

Daniela Ducato: Tra i 10 e i 14 kili quindi immaginiamo quanto può essere utile e importante creare una gestione sostenibile e responsabile dei porticcioli turistici con un elemento rinnovabile che finito di vivere ritorna a essere mare fecondo.

Cristina: La vostra soluzione si sta diffondendo facilmente nei porti e nei mari?

Daniela Ducato: Sì, per una volta non abbiamo il problema della burocrazia intricata, anzi c’è stata anche una velocità nelle pratiche. Siamo contenti di questa facilità e di questa consapevolezza anche nelle amministrazioni pubbliche. Chi naviga sa che anche in sentina, nel vano motore, si accumulano tanti inquinanti: oli, idrocarburi… Noi abbiamo trovato una soluzione mangia petrolioanche per questa problematica. Come vedete qui ci sono già diversi assorbitori, alcuni sono stati impregnati e stanno biodegradando gli idrocarburi, l’altro è appena stato messo e inizierà tra poco il suo lavoro di biodegradazione.

Cristina: Daniela, spieghi perché questa l’abbiamo al collo?

Daniela Ducato: L’abbiamo al collo e per fortuna non in mare, perché altrimenti vorrebbe dire un piccolo disastro: un grande versamento in mare. Serve proprio per gestire i versamenti visibili e inquinanti. E’ fatto sempre di lana, con un interno di sughero che consente il galleggiamento.

Cristina: La materia prima, la lavorazione e l’innovazione tecnologica sono al 100% sarde, speriamo che questa soluzione si sparga a macchia d’olio. Occhio al futuro!

Greenrail, la traversa ferroviaria verde

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È dal 1800 che i treni si muovono invariabilmente su strada ferrata, ma oggi si presentano scenari nuovi. Siamo andati a scoprirne uno. Greenrail ha creato una traversa ferroviaria che produce energia elettrica e funge da piattaforma per la trasmissione di dati. Davvero innovativo il guscio esterno, ricavato da plastica riciclata e da vecchi pneumatici, che troppo spesso vengono bruciati producendo una miscela tossica. Non da ultimo, questa traversa migliora la qualità della vita di tutti coloro che vivono in prossimità di binari, riducendo vibrazioni e rumore del 50% rispetto alla classica traversa in calcestruzzo.

CRISTINA: Ogni anno in Italia vengono eliminate 350 mila tonnellate di pneumatici, solo il 30% da vita a cose nuove. E dei 2.1 milioni di tonnellate di plastica se ne ricicla solo il 25%. Per aumentare questa quota servono idee e oggi ve ne raccontiamo una. Di che cosa si tratta?

GIOVANNI MARIA DELISI: Greenrail è una traversa ferroviaria che abbiamo progettato e brevettato in 120 paesi nel mondo. E’ composta da un’anima in calcestruzzo e da una struttura esterna in un mix di plastica e pneumatico riciclato. Si pone sul mercato con l’obiettivo di sostituire l’attuale standard delle traverse ferroviarie che è rappresentato dalle traversine in calcestruzzo. Porta dei vantaggi economici, tecnici e  ambientali, perché ogni kilometro di linea ferroviaria contribuisce a recuperare 35 tonnellate di plastica e pneumatici fuori uso. Riusciamo ad abbattere le vibrazioni e la rumorosità del traffico ferroviario fino al 50% rispetto al nostro competiror e fino al 50% dei costi ciclici di manutenzione della linea ferroviaria. Integra pannelli fotovoltaici e sistemi per la telecomunicazione e trasmissione dati di sicurezza e di diagnostica. L’Italia è un mercato già consolidato nel settore ferroviario, ma c’è comunque un mercato ciclico della manutenzione che comporta un consumo di circa 1.200.000 fino a 2 milioni di traverse l’anno esclusivamente per il mantenimento delle linee. In alcuni paesi recuperiamo le materie prime direttamente, in altri trasferiamo il know-how italiano nel processo di raccolta del pneumatico fuori uso e plastica. Grazie alla rete di partner che abbiamo messo in moto, tra cui il Politecnico di Milano, che è il nostro principale partner di ricerca con il quale abbiamo sviluppato il prodotto, riusciamo a trasferire il know-how per consentire a quel paese di adeguarsi agli standard europei. L’Italia è forse il paese più burocratico con cui abbiamo a che fare, in molti paesi che sono ancora chiamati sottosviluppati abbiamo invece una capacità d’ingresso superiore.

CRISTINA: Questo è l’unico progetto italiano che è stato selezionato per il padiglione delle best practices, ossia le migliori pratiche dal punto di vista ambientale e tecnologico, al prossimo expo ad Astana in Kazakistan. L’innovazione non è solo nel prodotto ma in tutta la filiera. Occhio al futuro.