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Giusy Bettoni, tocco di C.L.A.S.S.

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Sempre più marchi della moda si dichiarano “sostenibili”. Ma come fare per garantire davvero una filiera a basso impatto ambientale? Alle aziende del settore lo insegna Giusy Bettoni, fondatrice di Creativity, Lifestyle and Sustainable Synergy.

L’INTERVISTA A GIUSY BETTONI SU THE GOOD LIFE ITALIA

L’industria della moda nel suo complesso è al quarto posto nella graduatoria delle attività umane più inquinanti, dopo elettricità e climatizzazione, agricoltura e trasporto su gomma. Ciascuna di queste aree, però, contribuisce alla produzione di ciò che indossiamo, ed è per questo che se il mondo fashion attuasse una politica audace di responsabilità e trasparenza, agendo lungo tutta la complessa filiera, influenzerebbe positivamente le altre. Lo ha capito bene Giusy Bettoni, fondatrice nel 2007 di C.L.A.S.S. – Creativity, Lifestyle and Sustainable Synergy. Attraverso una ricerca costante di materiali innovativi, attività educative, di marketing e comunicazione, Bettoni sta costruendo una catena di valori per offrire soluzioni scalabili e contribuire a invertire la rotta. A partire dai designer. “Vogliamo cose belle, al passo coi tempi”, racconta la consulente milanese con l’entusiasmo di chi sa di essere un apripista. “C’è un’offerta crescente di prodotti sostenibili, ma il termine è abusato, i parametri sono tanti e confusi, e non sempre lo stile è apprezzabile.” Dietro ad una parola – prodotto – c’è un mondo: processi produttivi, tecnologie, materie prime, tinture, finissaggi, trasporti, tracciabilità, trasparenza, etica e salubrità. Agire a livello sistemico è un fatto di cultura, per questo C.L.A.S.S. pone particolare attenzione sulle aziende e su come operano, per arrivare alla qualità del singolo capo.

Operare a tutti i livelli richiede un know-how particolare, una capacità di vedere l’insieme e nel contempo il dettaglio. Da qui, l’approccio tridimensionale del lavoro di Giusy Bettoni: “Il design, inteso come qualità intrinseca, dai materiali fino all’estetica, sta alla base di tutto. Per questo preferiamo parlare di economia circolare per definire scelte innovative capaci di migliorare qualità e performance. Al binomio design-innovazione, aggiungiamo la responsabilità, per noi sono l’ABC nello sviluppo, la creazione e la comunicazione di un prodotto e di un’azienda.”
Festeggiare i 10 anni di attività a New York lo scorso 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua, con il patrocinio del Council of Fashion Designers of America (CFDA), è una conferma che la strategia è vincente e che il mercato avverte il bisogno di portarsi al passo coi tempi.
Secondo una ricerca sui Millennials effettuata da Cotton USA in Italia nel 2017, le priorità dei giovani riguardano l’etica: vogliono prodotti cruelty-free, da manodopera non sfruttata e chiedono trasparenza sulle componenti delle fibre utilizzate. Il 51% è disposto a pagare di più per abiti longevi e di qualità, e il 74% legge le etichette e vorrebbe trovarvi più informazioni.

C’è bisogno di storie credibili, ad esempio, quelle nascoste nelle trame dei tessuti.
ECOTEC è un nuovo filato che nasce dai ritagli dei processi di confezione del cotone. Racconta Bettoni: “Marchi e Fildi, l’azienda italiana di filatura, da 60 anni ha il pallino di capire come recuperare gli scarti di produzione, dove c’è sempre un 20% di materiale vergine scartato. L’azienda biellese ha vinto la sfida, e oggi, ricicla volumi importanti di materiale pre-consumer. Pensa ad un marchio globale come GAP, che, studiando il problema, ha creato una filiera che inizia in Bangladesh, dove c’è un sistema di cernita accreditato che seleziona i ritagli di cotone 100%. Il materiale arriva in Italia dove viene trasformato e torna a essere filo. Ci sono 70 colori e il campionario è disponibile in stock service senza minimi d’ordine. Non solo riutilizzi quanto già esiste, ma eviti la tintura, perché il filo è già colorato. Insieme a Marchi e Fildi abbiamo fatto un’analisi dell’LCA (life-cycle assessment) con ICEA. Paolo Foglia è andato in Bangladesh, ha fatto un’ispezione, poi è andato a Biella e ha calcolato che ECOTEC risparmia il 77,9% d’acqua, il 56,3% di emissioni CO2 e il 56,6% di energia rispetto al cotone vergine. Inoltre è stato analizzato dall’associazione Tessile Salute, che lo ha trovato idoneo al contatto con la pelle. Il servizio certificato è a disposizione di tutti i marchi che vogliono riciclare i loro ritagli attraverso la piattaforma ecotecproject.com.”
A questo materiale è stato dato un nome per distinguerlo da quello post-consumo, che è usato e costa 2 centesimi al kg. Affinché il suo valore arrivi fino al consumatore, si stanno certificando anche i marchi che ne fanno uso. La stilista americana Eileen Fisher ad esempio, sceglie ECOTEC per alcuni capi, e il suo sforzo è stato premiato da un numero spropositato di like a Waste No More, presentato durante il Salone del Mobile 2018 in collaborazione con la Trend Forecaster Li Edelkoort. Sull’onda di ECOTEC è nato Re.Verso: “Cinque aziende italiane si sono unite, due che reperiscono ritagli di cachemire e lana e tre che la trasformano,” spiega ancora Bettoni. “Il recupero avviene sia presso i manifatturieri europei sia dai cenciaioli di Prato che smistano anche capi post-consumer con una cernita attenta che garantisce un prodotto ad alto livello. Tutto è tracciato. Poi abbiamo tre aziende che trasformano le fibre in maglieria, tessuti, e filati. Anche qui abbiamo fatto l’LCA, per avere un confronto con il processo tradizionale, scoprendo che c’è un risparmio dell’89% d’acqua, 96% emissioni CO2 e 75% di energia. Re.Verso è stato lanciato insieme a Gucci, a fine 2017 quando Frida Giannini stava lasciano l’azienda. Questo non ha giovato alla comunicazione dell’iniziativa, grazie alla quale sono stati realizzati cappotti e maglie per uomo, donna, bambino. Anche Stella McCartney ha sostituito il suo cachemire con Re.Verso, e così Eileen Fisher, e Patagonia. Anche nell’elasticizzato ci sono risultati interessanti che vengono dal Giappone. Asahi Kasei ha messo a punto ROICA, un filo che parte dal recupero degli scarti industriali per giungere ad un nuovo filato di alta prestazione, con una quota di materia riciclata del 60%.”

Le etichette intelligenti, in grado di contenere tante informazioni in poco spazio, esistono già. Si tratta di usarle. Qualcuno ha incominciato, ma si stanno diffondendo più nell’agroalimentare che nella moda. Per mettere insieme i vari pezzi del puzzle, il team di C.L.A.S.S. presenta le sue selezioni di materiali innovativi agli stilisti e alle persone che avviano la catena di fornitura. Poi, offre workshop e incontri per condividere informazioni sui tessuti e per creare strategie di marketing e comunicazione. “Incontro stilisti di fama internazionale e per certi versi è una fortuna che sappiano poco di nuovi materiali, perché sono curiosi di scoprire. Quando invece parliamo di processo, entriamo in un terreno sconosciuto ai più. In Italia abbiamo ancora un’industria, fior fior di scuole, ma quando lavoro con gli studenti e chiedo ‘cos’è la sostenibilità’, viene fuori di tutto. Dedichiamo almeno il 30% del nostro tempo alle nuove generazioni, perché è necessario accompagnare chi vuole evolvere verso sistemi produttivi sostenibili. Per questo abbiamo avviato anche l’e-commerce.”

Bettoni è un’instancabile viaggiatrice, e punta ai centri nevralgici per avere un pubblico allargato. Per il trade show tessile a Parigi, Première Vision, che attrae 1,900 espositori, fa da scout per identificare aziende che hanno intrapreso un processo di innovazione da raccontare e promuove eventi informativi di Smart Creation per diffondere soluzioni.
Il suo obiettivo è di assecondare una graduale transizione dall’economia lineare, dove prendi, produci e butti via, verso quella circolare: “Alle fiere internazionali i brand chiedono “avete qualcosa di riciclato?” Non era mai successo, e questo è positivo, ma saper riconoscere i progetti autentici da quelli speculativi non è scontato. Mentre lavoriamo per fare chiarezza, teniamo d’occhio lo sviluppo della prossima generazione di materiali, dai biopolimeri ai tessuti attivi. Qualche esempio? Modern Meadow, che parte dalla fermentazione per fare pellame, Frumat, che dagli scarti della frutta estrae gli zuccheri per fare carta e pelle, Orange Fiber, prodotto dalle scorze dell’arancio. E’ un altro mondo, ancora in larga misura sperimentale, ma si sta industrializzando.”
Ci sono molte barriere da superare, ma l’importante è avviare un processo incrementale e credibile. “Sono ottimista,” conclude Bettoni, “perché l’attenzione inizia a crescere. La mia speranza è che nell’arco di dieci anni non serviremo più, saremo in un altro business model, ma in questo momento è fondamentale intendersi sugli obiettivi, su come li implementiamo e come li raccontiamo.”

Design ricostituente e piante

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Al primo Forum Mondiale sulle Foreste Urbane,

che si è tenuto a Mantova dal 28 novembre al 1 dicembre, ho avuto il piacere di moderare 2 persone che mi nutrono molto con la loro conoscenza. Paola Antonelli ha presentato Broken Nature: Takes on Human Survival, per la XXII Triennale di Milano, che dall’1 marzo 2019, animerà il capoluogo lombardo per 6 mesi. La mostra aprirà con la stanza del cambiamento, tema che ricorre in tutti i lavori della curatrice milanese, e finirà con la stanza dell’empatia e dell’amore. L’intento è di stimolare riflessioni e azioni di riparazione per stabilire un nuovo equilibrio con la natura.

Stefano Mancuso sarà il curatore della Nazione delle Piante, considerata alla stessa stregua delle altre Nazioni. Come ricorda lo scienziato, è di gran lunga la più abitata. Il 99,6% di ciò che è vivo appartiene al mondo vegetale, capace di fare la fotosintesi. Entrambi i relatori sono d’accordo che siamo avviati verso la sesta estinzione. Il ruolo del design, per Antonelli, è di aiutarci a estinguersi dignitosamente, con stile. Mancuso sorride, definendolo un approccio “dandy”. E incalza dicendo che estinguendoci dimostreremo che il nostro cervello, centrale di comando con poteri su tutto il nostro essere, non è un vantaggio dal punto di vista evolutivo. Per contro, le piante, che hanno un’intelligenza diffusa, sono molto più resilienti e adattabili.

Alla domanda: dove trovate gli stimoli più interessanti, Antonelli ha risposto: nei bambini, perché sono schietti e aperti. Mancuso, invece, ha risposto: in Giappone, perché c’è più rispetto per la natura.

Si è parlato di una necessaria integrazione tra il sapere e il sentire, ma per uomini di scienza è un terreno ancora “sospetto” e poco praticato. Mai come oggi è importante l’interdisciplinarietà.

Il potere della spazzatura

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Arthur Huang, architetto, ingegnere e CEO di Miniwiz, parla dei suoi processi e impianti per usare la risorsa più abbondate che abbiamo: la spazzatura! La macchina portatile Trashpresso, alimentata da energia solare, è stata a Milano nel Parco Sempione durante il Salone Internazionale del Mobile 2018.

PARTE I

Cristina: Oggi vi presentiamo un ingegnere che progetta impianti per la raccolta e la trasformazione dei rifiuti e pensate che ha ingegnerizzato 1200 nuovi materiali. Arthur, qual è il potere della spazzatura?

Arthur Huang: Oggi è la risorsa più abbondante. È ovunque, nei nostri oceani, nell’acqua potabile, perfino nei ghiacciai a 4.900 metri. Questa risorsa è in costante aumento e credo che dobbiamo occuparcene in modo da poter alimentare un nuovo modo di fare design e cambiare il nostro stile di vita in positivo.

Cristina: Tu te ne stai occupando. Quanti impianti avete progettato?

Arthur Huang: Abbiamo ingegnerizzato circa 1.200 nuovi processi che a loro volta, possono essere suddivisi in quattro grandi categorie di macchinari che separano e trasformano la spazzatura che buttiamo tutti i giorni, dagli imballaggi, ai bicchieri e bottiglie in plastica, fino agli scarti tessili. Attraverso i trattamenti differenziati siamo in grado di ottenere una vasta moltitudine di materiali pre-lavorati, che successivamente possono essere utilizzati in edilizia o per altre categorie di prodotto.

Cristina: Indossi alcuni dei tuoi nuovi materiali, puoi indicarmeli?

Arthur Huang: Questa giacca è monomateriale, senza collanti aggiuntivi, fatta di bottiglie di plastica. I pantaloni anche, sono fatti al 100 percento da bottiglie di plastica, ma al tatto sembrano lana. Le scarpe anche sono in PET riciclato. Perfino i bottoni, gli occhiali e il cinturino dell’orologio sono realizzati con mozziconi di sigaretta. Questo bottone è stato fatto con quattro mozziconi raccolti in Svizzera e in Italia e stiamo creando una nuova generazione di bottoni e altri accessori. Questi sono gli occhiali da sole..

Cristina: Quanta energia si consuma per depurare le tossine da questi materiali?

Arthur Huang: È molto più facile di quanto si creda, è per questo che abbiamo creato un macchinario portatile, per dimostrare in realtà quanta poca energia serva. Tutti i processi del macchinario sono alimentati dall’energia solare, l’aria e l’acqua vengono filtrate in un sistema interno chiuso. Si ha un risparmio energetico pari al 90%, rispetto alla materia vergine proveniente dai fondali oceanici, che viene prelevato sotto forma di petrolio e poi trasformato.

Cristina: Quindi non rimangono tossine nel bottone di mozziconi?

Arthur Huang: Abbiamo fatto dei test – non rimangono tossine nei mozziconi dopo il processo. La macchina cattura tutti i fumi in un sistema chiuso di ricircolo interno.

In onda 1-12-2018

PARTE II

Cristina: Leggiamo sui giornali che c’è più materia prima seconda di quella richiesta sul mercato, è una situazione critica e gli stoccaggi di queste materie vengono addirittura bruciati. Il tuo sistema e la tua strategia, come possono avere un impatto a livello globale?

Arthur Huang: Innanzitutto, la maggior parte dei nostri sistemi sono progettati per essere portatili. Credo che sia molto importante poter avvicinare la tecnologia di trasformazione il più possibile alla fonte di spazzatura. Uno dei maggiori problemi oggi del processo di riciclo è la contaminazione. Una volta che avviene, la materia perde di valore e la lavorazione diventa molto costosa e addirittura più dannosa per l’ambiente. Il vantaggio di raccogliere e trasformare i rifiuti in loco è di rendere la materia prima seconda disponibile in situ a ingegneri e designer.

Cristina: Nella tua esperienza quali sono gli anelli mancanti per poter fruire di queste competenze, intelligenza e soluzioni?

Arthur Huang: Il primo anello mancante è il processo di riciclo in sé. Bisogna sapere come separare i rifiuti. Questa è la prima questione. Di tutti i materiali da riciclo disponibili, qualsiasi sia la percentuale di raccolta, meno del 2 percento viene trasformato in un nuovo materiale. Dopo la raccolta differenziata corretta, bisogna sapere come lavorare i rifiuti. Servono tantissimi dati per avviare il processo, anche a seconda dell’utilizzo finale. Verrà utilizzato per fare scarpe? Una sedia, o un palazzo? Hanno specifiche diverse. Noi adesso stiamo lavorando anche sui dati. Stiamo avviando un database aperto a tutti con 1.200 nuovi materiali, frutto del nostro lavoro degli ultimi 15 anni, così che le istituzioni lo possano utilizzare come strumento educativo per giovani designer ed ingegneri, affinché prendano confidenza con questi processi. Stiamo cercando di rendere il sistema circolare.

Cristina: Qual’è il tuo sogno?

Arthur Huang: Il nostro sogno adesso è di costruire un aereo fatto interamente di spazzatura. Abbiamo comprato un vecchio aereo in Germania e l’abbiamo spedito a Taiwan, dove stiamo inventando o meglio, cercando un nuovo processo per costruire l’ala, fatta in PET riciclato.

In onda 8-12-2018

Fabbriche d’aria

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Il Prof. Stefano Mancuso dell’Università di Firenze, esperto di neurobiologia delle piante, ci parla di un progetto che aiuterebbe chi vive in città a respirare meglio!

Cristina: Parliamo tanto di ridurre l’inquinamento e intanto inquiniamo, mentre non c’è abbastanza attenzione sulla depurazione.

Stefano Mancuso: L’unica cosa che riesce ad eliminare l’inquinamento atmosferico sono le piante. Le piante quindi dovrebbero stare nelle città, nella quantità più alta possibile. Più ne mettiamo, meglio è. Non soltanto nei viali o nei parchi ecc, ma veramente coprire le città di piante e anche in queste condizioni potrebbe non bastare.

Cristina: Voi avete sviluppato un progetto..

Stefano Mancuso: Il progetto che abbiamo chiamato Fabbrica dell’Aria, prevede l’utilizzo di ex-edifici industriali dismessi, da trasformare in delle enormi serre. Devi immaginare un edificio come un cubo in cui all’interno ci sono tanti cilindri. Ogni cilindro è fatto di vetro o cristallo, o di un materiale trasparente, all’interno del quale ci stanno queste piante, diversi strati di piante e l’aria è costretta a passare attraverso tutti questi cilindri.

Cristina: L’aria entra inquinata ed esce..

Stefano Mancuso: E quando esce è completamente purificata. Attualmente stiamo cercando di rendere realizzabile questo progetto nella città di Prato. Prato è una città che, se non erro, dovrebbe essere intorno ai 150 o 200.000 abitanti e avrà necessità per purificare l’intera quantità di aria della città, di quattro di questi edifici. Quindi anche da un punto di vista, non solo funzionale, ma estetico, saranno dei luoghi molto belli. Non bisogna appunto immaginarli come dei depuratori, bisogna immaginarli come degli edifici che contemporaneamente sono in grado di depurare l’aria di una città, ma allo stesso tempo sono dei luoghi che si potranno vivere. Le persone dovranno entrare in questi luoghi, questi luoghi dovranno poter essere luoghi di socializzazione, quello che vuoi! Delle librerie, dei bar, dei ristoranti, di tutto. La qualità dell’aria è talmente buona che addirittura la carica batterica viene abbassata, quindi è un’aria più pura in tutti i sensi.

Cristina: Salgono le endorfine, e tutti quegli ormoni che ci fanno stare bene e quindi non solo fa bene alle città, non solo fa bene all’aria, ma fa bene anche a noi. Che meraviglia, grazie Stefano. Occhio al futuro

In onda 27-10-2018

La tecnologia satellitare che riduce gli sprechi idrici

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La media nazionale delle perdite idriche è del 39,1%. Il Responsabile Acquedotto di HERA, l’Ing. Emidio Castelli, ci spiega come la tecnologia satellitare può ridurre notevolmente questa percentuale nel nosto paese.

Cristina: La rete idrica italiana perde quasi il 40% della sua portata, oggi ci occupiamo di questo e di qualche soluzione. Voi avete circa il 10% in meno rispetto alla media nazionale di perdite nella rete idrica. Come avete conseguito questo risultato?

Emidio Castelli: Investendo e ragionando su diverse tecnologie che possono aiutare a ridurre le perdite. Dalle tecnologie di telecontrollo di porzioni di rete a sistemi acustici per individuare possibili perdite di rete sul campo e recentemente anche con l’introduzione di sistemi satellitari e monitoraggio del terreno. Si tratta di un sistema che fa un analisi spettrometrica del terreno, individuando possibili punti con presenza di acqua, correlate attraverso un algoritmo con la nostra rete acquedottistica, ci individua delle zone dove potrebbero esserci delle perdite

Cristina: Quante perdite avete identificato e riparato?

Emidio Castelli: Negli ultimi tre anni abbiamo individuato 2.400 perdite circa, e 214 di queste attraverso la tecnologia satellitare. Si tratta di perdite occulte che possono avere poca dispersione, ma prolungata nel tempo. L’attività svolta ci ha consentito di recuperare circa 750.000 metri cubi di acqua, l’equivalente di circa 450 milioni di bottiglie d’acqua.

Cristina: Sulla gestione della rete fognaria qual è la visione?

Emidio Castelli: Il servizio idrico è un servizio integrato che parte dalla potabilizzazione dell’acqua per portare l’acqua nelle case dei cittadini fino al riutilizzo delle acque da sistemi di fognatura e depurazione. Bisogna sempre più ragionare con quelli che possono essere strumenti di riutilizzo, anche diretto, delle acque e avere una visione di economia circolare della risorsa idrica.

Cristina: Diciamo che purtroppo non è né prodotta né distribuita in maniera l’acqua. Ci sono certe zone che ne hanno tantissima e altre zone che sono aride.

Emidio Castelli: È importante lavorare investendo, sia nelle interconnessioni delle reti, ovvero quello di mettere in comunicazione reti e acquedotti diversi, sia lavorare sulla realizzazione di bacini di accumulo che acconsentano di poter avere l’acqua accumulare la quando dove non ce n’è bisogno, per poterla ridistribuire quando c’è una criticità idrica.

Cristina: A partire dall’accumulo sui tetti delle case ad esempio..

Emidio Castelli: Anche a livello domestico, utilizziamo l’acqua potabile per degli usi che delle volte non sono prettamente necessari.

Cristina: Grazie. Torniamo a recuperare l’acqua come la usavano i nostri nonni e usiamola con responsabilità. Occhio al futuro

In onda 6-10-2018

Un viaggio nel futuro con Cristina Pozzi

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Vi gira la testa quando pensate agli scenari del futuro di lavoro, società e famiglia? Ecco un breve viaggio con Cristina Pozzi, autrice di 2050. Guida (fu)turistica per viaggiatori nel tempo. Cristina è anche fondatrice di Impactscool, che porta nelle scuole e università italiane percorsi di formazione per essere pronti ai grandi cambiamenti in corso.

Cristina: Quali sono i cambiamenti che ci aspettano nei prossimi anni? Cristina tu sei imprenditrice sociale e scrittrice e hai fatto un viaggio nel futuro, che cosa hai visto?

Cristina Pozzi: Sicuramente il futuro che ho visto nel 2050 è un futuro dove cambia l’ambiente in cui noi viviamo perché il nostro pianeta, ahimè, per effetto del riscaldamento globale sarà soggetto a tantissimi cambiamenti, però anche lo stesso concetto di ad esempio famiglia, potrebbe essere messo in dubbio, cambiare, evolversi, per effetto di evoluzioni della genetica. Per esempio già oggi si possono fare figli con tre genitori andando ad utilizzare il materiale genetico di tutti e tre, si fa già in Inghilterra.

Cristina: E come faremo ad aumentare le nostre capacità cognitive?

Cristina Pozzi: Potremo farlo in tanti modi, sia dal punto di vista chimico con medicine che si stanno già studiando che possono aumentare la nostra attenzione ad esempio, si anche con le cosiddette neurotecnologie che invece possono essere veri e propri impianti tecnologici o caschetti da indossare che sono in grado di aumentare la nostra creatività

Cristina: E se non sono a portata di tutti come costi?

Cristina Pozzi: Potrebbero essere a beneficio solo di alcuni. Probabilmente non vogliamo vedere una società dove solo alcune persone possono essere più intelligenti, più di successo sul lavoro o avere accesso a determinate cure, più sani. Per chi non se lo può permettere potrebbero esserci scenari dove addirittura si può ottenere una tecnologia in cambio però di essere soggetti a pubblicità, magari continue, in modo da poterlo avere gratuitamente.

Cristina: Pure cedendo i propri dati del DNA?

Cristina Pozzi: Assolutamente si, quello potrebbe diventare una vera e propria fonte di reddito, addirittura quasi uno dei tanti lavori che ci troveremo a svolgere perché molto probabilmente non svolgeremo un solo lavoro ma tanti contemporaneamente.

Cristina: E i mestieri di oggi spariranno. Quali sono quelli che secondo te rimarranno o nasceranno e saranno strategici?

Cristina Pozzi: Sicuramente trovandoci immersi in una realtà cambiata in pochissimo tempo e che facciamo fatica a comprendere, magari anche per la presenza di robot attorno a noi in qualunque situazione, la figura dello psicologo che ci può aiutare nel gestire il passaggio, sarà centrale.

Cristina: Secondo te c’è la formazione giusta per compiere questo viaggio verso il futuro?

Cristina Pozzi: Per ora no, il consiglio che do sempre è quello di imparare a essere curiosi e imparare ad imparare.

Cristina: Coniugando quindi i nostri naturali talenti e le nostre capacità intellettuali, di cuore, creative e la volontà. Occhio al futuro

In onda 29-9-2018

La pittura purificante di Airlite

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Airlite ha sviluppato una pittura che purifica l’aria e può essere utilizzata sia in interni che esterni. Neutralizza gli odori, i batteri e previene le muffe. Respinge la polvere e lo sporco e riduce l’inquinamento atmosferico.

Cristina: Non stiamo tutti meglio quando l’aria è leggera? Oggi vi raccontiamo di una tecnologia che ci consente di respirare meglio. Buongiorno Massimo, di che si tratta?

Massimo Bernardoni: È una pittura che contiene varie tecnologie. Riesce a purificare l’aria, riesce ad eliminare i batteri dalla superficie, le muffe, rimane più pulita nel tempo ed elimina anche gli odori. Noi eliminiamo gli inquinanti trasformandoli in sali, questa è una nanotecnologia, e poi ci sono altre tecnologie che non sono nano, che eliminano i batteri, le muffe ed eliminano la possibilità di sporcarsi le pareti con lo smog.

Cristina: Quindi i famosi baffi del calorifero?

Massimo Bernardoni: I famosi baffi dei caloriferi, gli angoli scuri… chiaramente nel tempo noi siamo molto più performanti.

Cristina: È completamente a base di minerali? Sono sostanze di origine petrolifera?

Massimo Bernardoni: Non abbiamo sostanze di origine petrolifera, è minerale, tant’è vero che quando si applica non ha odore.

Antonio Cianci: Con questa tecnologia dipingere una strada di 150 metri, a destra e a sinistra, equivale a piantare un bosco grande come un campo da calcio. Questo perché 12 metri riescono a ridurre l’inquinamento prodotto in un giorno da un’automobile.

Cristina: Assorbe anche particolato?

Antonio Cianci: In modo indiretto. Il particolato è generato dagli ossidi di azoto per sintesi fotochimica, noi ne abbassiamo i livelli e lo riduciamo in modo sensibilmente notevole.

Cristina: Ha anche la capacità di abbattere i consumi energetici. In che modo?

Antonio Cianci: Abbiamo la meravigliosa capacità di riflettere la componente calda della luce solare, quindi dipingendo la parete con questo prodotto si riesce a ridurre fino a 30 gradi la temperature in superficie. In questo modo minor calore passa all’interno e ho meno bisogno di usare riscaldamento o raffreddamento per condizionare la nostra stanza.

Cristina: Invece internamente avete una tecnologia che lavora quasi all’opposto? Creando una sorta di manto protettivo ma traspirante?

Antonio Cianci: La pittura è traspirante, permette quindi il passaggio di tutte le componenti senza creare ristagno e quelle brutte bolle che portano le muffe all’interno delle abitazioni, condizionando in effetti la stanza in modo naturale.

Cristina: In quanti colori esiste questa pittura?

Antonio Cianci: 180 colori. Devo dire che architettonicamente ha una resa molto bella, simile a quelle delle pitture decorative, permette anche finiture di lusso.

Cristina: Cosa succede quando metti insieme due italiani ingegnosi, uno più tecnico, l’altro più imprenditoriale, giovani nello spirito ma con esperienza? Spaccano.

In onda 5-5-2018

Enerbrain, efficientamento energico

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Enerbrain, una start-up di Torino iniziata come 4 amici al bar, oggi si occupa di soluzioni di efficientamento energetico degli edifici attraverso sensori collegati nel cloud.

Cristina: Secondo la Commissione Energia dell’Unione Europea gli edifici consumano il 40% dell’energia totale ed emettono il 36% di CO2. Quali sono i vostri rimedi e come sono nati?

La scintilla è nata qua a Torino, nel corso di un inverno molto rigido ma con temperature variabili, in cui il nostro fisico Marco, si è domandato come potesse regolare meglio il suo impianto domestico.

Cristina: Come funziona la vostra tecnologia?

Andiamo ad installare all’interno degli ambienti dove vogliamo ricreare delle condizioni di comfort, sensori di umidità, temperatura e concentrazione di CO2, quindi per la qualità dell’aria. Ne mettiamo un numero minimo necessario per poter garantire il comfort all’interno di qualsiasi tipo di ambiente. Li posizioniamo in uno o due giorni e questi vanno a parlare direttamente con degli attuatori, un’altra parte di hardware, da installare in centrale termica. I dispositivi si parlano attraverso un’applicazione o un software e ogni 5 minuti va a regolare meglio l’impianto. In questo modo si risparmia.

Cristina: Gli impianti non li cambiate, semplicemente li rendete più efficienti.

Esatto, senza interrompere il normale funzionamento di un impianto, in due giorni andiamo ad efficientare e partiamo subito con i risparmi.

Cristina: Quali sono i risultati? Sia in termini di risparmio energetico che economico.

Il risparmio economico è proporzionale al risparmio energetico, siamo arrivati ad ottenere dei risparmi di energia termica di oltre il 30%.

Cristina: Una soluzione semplice ed efficace per edifici esistenti.

In onda 17-3-2018

Quakebots, monitoraggio sismico

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Capire quanto è vulnerabile un edificio è di particolare importanza in italia essendo, il nostro, il paese più sismico d’Europa. Oggi vi parliamo di Quakebots, un nuovo sistema di rilevamento e diagnosi.

Cristina: Il sistema Quakebots è un sistema di monitoraggio sismico negli edifici che utilizza la tecnologia IoT per monitorare come l’edificio reagisce alle sollecitazioni sismiche. E da quelle sollecitazioni, utilizzando l’intelligenza artificiale, noi creiamo mappe di classificazione che possono far comprendere quali edifici possono essere più vulnerabili. Speriamo che sistemi di prevenzione come questo si diffondano rapidamente in Italia, perché ce n’è veramente tanto bisogno. Immagino che anche i microsismi stressino un edificio, è così?

Gianni Franzosi:  Si assolutamente, ma anche l’attività antropica, il traffico stradale, quello ferroviario, le metropolitane, i lavori interni che vengono fatti negli edifici. Il sistema è in grado di registrare tutte queste vibrazioni e dar un’informazione dello stress che subisce l’edificio.

Cristina: Il vostro sistema consente di capire quando è il momento di intervenire in maniera preventiva su un edificio?

Gianni Franzosi:  Esatto, il sistema serve per la prevenzione. I dati possono essere usati da ingegneri e architetti per le fasi di adeguamento sismico, ma non è soltanto questo. In Italia abbiamo 7 milioni di edifici in aree ad elevato e medio rischio sismico che sono stati costruiti prima degli anni 70.

Cristina: Nella pratica, voi cosa fate? Installate i sensori?

Gianni Franzosi:  Noi installiamo i sensori all’interno degli edifici, su un muro portante e da quel momento inizia ad utilizzare la rete wifi per comunicare informazioni al sistema in cloud. Tutti i sistemi lavorano in rete, quindi i dati che arrivano da un sistema vengono utilizzati per creare valore agli altri edifici.

Cristina: Quindi serve sia per l’individuo che per fare azioni sul territorio?

Gianni Franzosi:  Si esatto. Azioni sul territorio, ovvero comprendere come il territorio si muove, come gli edifici si muovono durante un evento sismico.

Cristina: Avete già installato un certo numero di sensori?

Gianni Franzosi:  Attualmente abbiamo quasi un centinaio di edifici sotto monitoraggio in varie regioni d’Italia, in Calabria, Umbria e altre regioni e stiamo continuando a crescere.

Cristina: Com’è nata questa storia?

Gianni Franzosi:  È nata in maniere un po’ particolare. Nel 2009 ero responsabile del servizio di supporto al 118 dell’Abruzzo. Il giorno del terremoto alle 6 del mattino, venimmo contattati che dovevano evacuare l’ospedale. Prendemmo tutto quello che avevamo in ufficio – server, postazioni – e andammo su, a L’Aquila e nell’arco di alcune ore abbiamo ricostruito una centrale 118, consentendo al servizio di operare nuovamente. Ho visto la devastazione, cos’era successo e nel mare di emozioni mi sono chiesto “quegli edifici, avranno dato dei segnali prima?”.

In onda 10-3-2018

Il green data center di EXE

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Ogni informazione generata in rete passa attraverso un data center, dove si trovano server, sistemi di archiviazione, sistemi informatici e infrastrutture di telecomunicazione. Inoltre, sono necessari impianti di controllo ambientale quali condizionamento e antincendio per garantire la sicurezza. I consumi energetici complessivi di questi centri informatici rappresentano una delle principali fonti di inquinamento del pianeta e di costo per le aziende.
In questa storia scoprirete come per abbattere l’impatto ambientale legato a tecnologie che si diffondo in rete, é necessario intervenire sull’edificio in tutte le sue parti.
Oggi Executive Service è l’unico “green” data center in sud Europa. Siamo andati a trovarli vicino a Bologna per scoprire come la tecnologia e la sostenibilità possano vivere in armonia.

CRISTINA: Sapete che 15 minuti di video in streaming online consuma la stessa energia del frigorifero di casa in 3 giorni? E che internet consuma quanto l’intera aviazione civile mondiale? Perché qualsiasi informazione che sia in tv, su un telefono,  o su internet passa per un data center. Infatti siamo nel primo green data center a zero emissioni in sud Europa, ed è in provincia di Bologna. Cosa significa un data center a zero emissioni?

Gianni Capra: Un data center a zero emissioni vuol dire che tutto il funzionamento del datacenter è basato su energia assolutamente o autoprodotta, o acquistata da un’azienda in grado di certificare la fonte rinnovabile di un certo tipo. Escludiamo ad esempio fonti rinnovabili di provenienza chippato, alghe, pellet o qualsiasi cosa che comporti combustione. Tutto ciò che alimenta i nostri server non deve causare combustione di alcun genere, quindi si escludono a priori emissioni di CO2.

Cristina: Quali sono i vantaggi per chi usa il vostra servizio?

Gianni: Riceve una certificazione reale della propria attenzione all’ambiente, in quanto la nostra certificazione di emissioni zero ci consente di emettere certificati gratuiti a tutti colori i quali portano in toto o in parte i loro schemi informativi in questo data center.

Cristina: Avete il sostegno e anche l’incoraggiamento della comunità europea.

Gianni: La comunità europea, ufficialmente ha dichiarato la propria preoccupazione nei confronti della rapida e ripida crescita dei data center, in quanto la comunità europea stessa ha individuato i data center nei massimi emettitori di CO2 nel mondo occidentale.

Cristina: E qual’è la vostra ricetta di sostenibilità in questo spazio?

Gianni: Il 50% è legno, l’intero stabile è costruito in legno. Altre scelte tecnologiche riguardano la bassa densità nei rack o armadi o scaffali, e la rinuncia totale ai dischi rigidi. Quindi tutti i nostri server utilizzano memorie allo stato solido come quelle del tuo telefonino e il raffrescamento, che per il 79% del tempo annuo è fatto con aria non condizionata.

Cristina: A che temperatura girano i vostri server?

Gianni: Noi lavoriamo fino a 29 C contro i 19-20 di un data center tradizionale.

Cristina: Grazie. Nei prossimi decenni l’intera popolazione umana sarà connessa in rete, è quindi fondamentale ridurre le emissioni dei data center. E come avete visto, è possibile.