Skip to main content
Tag

triennale

L’impronta idrica del cibo

By ecology, sdg 13, sdg 14, sdg 15, sdg 2, sdg 3

Avete mai pensato alla quantità di acqua che consumate in un giorno? Non solo l’acqua che bevete o che utilizzate in casa. Anche il cibo che mangiamo ha un’impronta idrica, si chiama acqua virtuale e spesso rappresenta più della metà del nostro consumo idrico giornaliero.
Durante l’esposizione di Broken Nature a La Triennale di Milano, ci sarà un Wonderwater Café con un menù interamente tradotto in termini di impronta idrica per ogni piatto!

Cristina: Molti di noi sono bravi a non sprecare acqua in casa, ma raramente sappiamo quanta ne consumiamo in maniera indiretta, ad esempio l’acqua che serve per produrre il nostro cibo. Wonderwater Café è un progetto itinerante che giunge al ristorante della Triennale di Milano durante l’esposizione di Broken Nature. Frutto di una collaborazione tra scienziati e designer, si traduce in un menù che illustra l’impronta idrica di ogni piatto.

Jane Withers: Non abbiamo idea delle quantità di acqua che servono per produrre il cibo. Noi mostriamo le differenze tra: fagioli coltivati in Kenya, dove irrigare le piante può voler dire sottrarre risorse idriche dalle comunità locali, e verdure stagionali e locali, irrigate con acqua piovana. Capiamo il valore dell’acqua quando, ad esempio, durante la siccità in California due anni fa, i prezzi delle mandorle sono andati alle stelle. Noi mostriamo questi sistemi idrici invisibili.

Cristina: Lei trova che i fatti scientifici debbano essere adattati per raggiungere un grande pubblico?

Jane Withers: Si, penso di sì. Noi traduciamo i dati in un linguaggio che le persone possano capire. Penso che trovare sul tavolo, al ristorante, mentre stai scegliendo cosa fare, un menu che indichi l’impronta idrica di ogni piatto, faccia la differenza. Quanto influisce sulla scelta? Se leggendo vedo che per fare la pizza marinara ha consumato 290 litri e quella con la salsiccia piccante 960 litri? Sono numeri impressionanti.

Cristina: Il primo WonderWater cafè risale al 2011. In pochi anni, insieme al progetto è cresciuta la consapevolezza del problema.

Jane Withers: I nostri partner accademici del King’s College di Londra, hanno lavorato per capire ogni ingrediente: da dove è venuto, dov’è stato acquistato e così via. Adesso sembra esserci più trasparenza, ma penso che sia interessante quanto nel 2011, sembrava tutto molto astratto, mentre ora c’è un crescente senso di urgenza. Ci stiamo rendendo conto che una delle cose più importanti che possiamo fare è di passare da una dieta carnivora ad una vegetariana o “flexitariana” – più consapevole. Le differenze sono importanti:  più di 5000 litri al giorno per una dieta a base di carne contro 2600 litri. Sono differenze palpabili. C’è crescente interesse e consapevolezza.

Cristina: Le informazioni ci sono, la gente ha sempre più voglia di sapere cosa consuma e che impatto ha. Quindi se siete ristoratori se comunque portate, al mondo, cibo in un qualche modo, offrite questa opportunità di conoscenza perché è molto importante. Occhio al futuro!

In onda 4-5-2019

Broken Nature – la Triennale di Paola Antonelli

By ecology, sdg 1, sdg 10, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 14, sdg 15, sdg 16, sdg 17, sdg 2, sdg 3, sdg 4, sdg 5, sdg 6, sdg 7, sdg 8, sdg 9

Paola Antonelli è la più grande fonte d’ispirazione per colmare il divario tra ciò che sappiamo e come viviamo. Broken Nature presenta una moltitudine di idee e soluzioni per diventare cittadini rigenerativi del nostro bel Pianeta. La speranza è che visitiate la Triennale tante volte, ma per chi non verrà a Milano entro l’1 settembre, brokennature.org è una fonte da consultare (anche per chi visiterà la mostra!). Grazie Paola per la tua visione e per la tenacia.

Cristina: Siamo alla Triennale di Milano, Broken Nature, un mostra internazionale e interdisciplinare che durerà fino al 1 di Settembre, che indaga il nostro rapporto con i sistemi naturali, la società umana, con il modo di vivere, produrre e consumare. É curata da una grande italiana, Paola Antonelli, che per l’occasione  è stata prestata dal MoMA di New York.  L’essenza di Broken Nature, cosa vuoi che gli spettatori si portino a casa?

Paola Antonelli: Vorrei che si portassero a casa il fatto che per essere responsabili, per vivere in modo sostenibile, per attivare questo atteggiamento ricostituente, non bisogna sacrificare l’estetica o il piacere, la sensualità o l’eleganza.

Cristina: Spesso gli individui si sentono troppo piccoli per poter avere un impatto. Tu come la vedi?

Paola: Non la vedo così, perché non possiamo contare soltanto sui governi, le istituzioni e arrenderci al nostro destino. Abbiamo un potere enorme che proviene anche dai social media, una persona poi diventa un gruppo, una tribù, una comunità e dopo di che se i governi vogliono avere qualsiasi efficacia devono seguire anche quello che vuole il pubblico.

Cristina: Qual’è il tempo ideale da trascorrere in questa mostra per tornare a casa veramente più nutriti?

Paola: Direi che almeno tre quarti d’ora, un’ora ce li devi mettere. Spero che tanti bambini vengano e che siano ispirati perché alla fin fine il design tra una quarantina di anni andrà come la fisica, ci sarà il design teorico e quello applicato e si trasmetteranno conoscenze a vicenda.

Cristina: E l’aspetto sociale come lo hai declinato?

Paola: Per esempio […] pensò a questo recupero di mais di speci che erano andate perdute e poi usare le barbe e la parte esterna della pannocchia per fare un’intarsio. Anche semplicemente quest’attività che il design può fare per recuperare cultura materiale che si è persa, c’è un grandissimo esempio anche di come si può utilizzare la comunità.

Cristina: Come definisci il designer del XXI secolo?

Paola: Tantissime possibilità di espressione. Per cominciare ci sono i mobili, ovviamente ci sono le auto, ci sono anche i materiali. Ci sono dei designer che progettano scenari o cercano di mostrarci quali potrebbero essere le conseguenze future delle nostre scelte di oggi. Ci sono designer di interfacce che sono per esempio lo schermo e l’interazione del bancomat. Ci sono designer che fanno bio-design, quindi si occupano anche di organismi viventi o progettano con organismi viventi. Neri Oxman e Mediated Matter Group stanno ispirando una generazione di designer che imparano a lavorare con la natura per fare oggetti ed edifici che crescono invece di essere disegnati dall’esterno. Skylar sta lavorando il governo delle Maldive per fermare l’erosione delle spiagge. Stanno tutti lavorando e avendo un grande impatto. Sono molto fiera di tutti.

Cristina: Grazie Paola. Non perdete Broken Nature.

In onda 6-4-2019

Paola Antonelli, Dal MoMA alla Casa Bianca

By features

È stato un onore sondare nella mente fervida ed elastica di Paola Antonelli, raccontare la sua bellissima traiettoria umana e professionale.

Ecco un profilo a tutto tondo della donna che  è stata ospite a La Casa Bianca da Barack e Michelle Obama con il Premier Matteo Renzi e una delegazione scelta per dialogare attorno alle soluzioni possibili per vincere sfide globali quali cambiamento climatico e migrazione.

L’INTERVISTA A PAOLA ANTONELLI SU THE GOOD LIFE ITALIA 

Tanti bimbi sognano di fare l’astronauta da grande, ma quanti scrivono alla NASA per chiedere come fare? A 13 anni, con la prima carie, Paola Antonelli sa che non potrà volare nello spazio. Alla sua lettera avevano risposto dicendo: continua a fare la brava, abbi cura di te, e soprattutto dei denti (le otturazioni del tempo rischiavano di esplodere con il cambio di pressione). Con i piedi per terra, e con la mente curiosa e aperta, varcherà terreni inesplorati. Figlia degli anni Settanta, anni di piombo e di appassionate battaglie, inquietudine e rabbia diventano stimoli intellettuali che plasmano il suo carattere. “Sto meglio quando ci sono problemi, quando c’è da protestare”, racconta. “Sento di avere una funzione.” Dietro al volto sorridente e lo sguardo svelto, arde un desiderio inestinguibile di rompere barriere, allargare confini e significati del design, mettere in relazione. Paola Antonelli, senior curator di Archtettura e Design e direttore di Ricerca e Sviluppo al MoMA – Museum of Modern Art di New York, sradica preconcetti e getta ponti tra i diversi saperi. Approdata 22 anni fa al prestigioso museo rispondendo a un annuncio, ama provocare con le mostre che cura nelle gallerie e online e con gli incontri che organizza invitando i più autorevoli esponenti dei diversi saperi a confrontarsi. Perché design non è più solo una bella sedia, è un crocevia in cui confluiscono tecnologia, economia, scienza e creatività.

Ci incontriamo a New York, la mia città natale, la sua adottiva. E’ domenica, io sto partendo e lei è appena arrivata da un tour europeo, a conclusione di un periodo sabbatico. Ultima tappa, Copenhagen, invitata da INDEX per il lancio del primo fondo al mondo di venture capital che investirà 40 milioni di Euro nel “design che migliora la vita delle persone”. La collaborazione tra INDEX, organizzazione che ispira, educa e coinvolge persone a disegnare soluzioni per le sfide globali, con la casa di investimenti Dansk OTC, è un passo importante. Paola Antonelli, con un intervento definito illuminante, illustra come il design stia creando valore nel mondo. E lo fa spiegando le nuove tassonometrie, ossia le classificazioni dei temi, non più per argomento, ma per oggetto, bisogno, o emozione. Una lettura trasversale attorno a esperienze quotidiane, dai problemi sociali, ambientali, politici e di salute che toccano tutti noi. “E’ una soddisfazione facilitare conversazioni tra persone con esperienze e punti di vista diversi”, racconta Paola con una punta d’orgoglio. “Basta avviare il processo poi il resto accade da solo.”
Prima della Scandinavia, è stata in Svizzera, a Davos, dove da 10 anni partecipa al Word Economic Forum come esperta di design e cultural leader: “Ci confrontiamo tutto l’anno, poi, durante l’evento si lavora sodo.” Il tema, la Quarta Rivoluzione Industriale, è pane per i suoi denti. “Quest’anno ho avuto 7 ruoli diversi. Ho parlato del bio-design, quello che usa materia organica per costruire spazi e oggetti, ho moderato una presentazione sulle tecnologie digitali per la preservazione e la disseminazione dell’arte e ho animato una cena sul futuro del cibo. A Davos sono un cervello da sfruttare e conosco sempre persone straordinarie.” La galleria di personaggi è fantastica, un mix di culture, di politici, magnati, artisti, scienziati. Conosce il suo mito Fabiola Giannotti, presidente del CERN, partecipa a interventi illuminanti, come quella di Jennifer Doudna, fondatrice di Krispr, sulle nuove prospettive di cura del cancro con le terapie geniche, prova esperienze trasformanti, come quella di Realtà Virtuale di Clouds Over Sidra, girato nel campo profughi di Za’atari in Giordania dove quasi 100.000 siriani soprattutto bambini, sognano di tornare a casa.
Il viaggio a ritroso nel periodo sabbatico di Paola ci porta a Harvard, dove il semestre scorso ha insegnato States of Design presso la Graduate School of Architecture, un’indagine sui nuovi significati, le confluenze, le ambiguità e le convergenze del design. “Alla fine del corso ho cercato di distillare il lavoro in una “teoria del tutto” per il design,” spiega Antonelli. “La chiave sta nella fluidità, nel non avere idee precostituite, bensì essere capaci di adattarsi alle circostanze. Con gli studenti sono maturati concetti e idee. Ora la sfida è di trasformarli in applicazioni pratiche.”
Antonelli frequenta designer, economisti, ricercatori e imprenditori, si ciba di conoscenza ai massimi livelli del sapere, elabora e porta tutto al nostro livello, al rapporto che abbiamo con le cose. E arriviamo al luglio 2015. MIT Media Lab (di cui è membro dell’advisory board ) la invita a progettare il primo summer summit. Lei struttura il suo seminario attorno a 4 oggetti, anziché per materia. La bistecca, il bitcoin, il mattone e il telefono diventano chiave d’indagine nel nostro tempo, toccando ogni aspetto dell’esperienza umana; Knotty Objects, oggetti annodati in un groviglio di significati. “Ho capito, facendo presentazioni sul design del futuro, che il modo migliore per diventare fluidi è di cambiare le tassonomie. Creare convergenze tra le cose, in orizzontale, non in verticale. Questo approccio sta crescendo anche in accademie e musei, quale il Science Gallery di Dublino, dove le sezioni espositive ed educative sono intersecate e raggruppate attorno a esperienze invece che epoche o specialità.”
Sempre più la tentacolare, Antonelli raduna persone di paesi e ambienti diversi, stupita ogni volta dalla magia che si crea. Alla domanda su quale impatto abbia avuto il suo seminario all’MIT racconta: “Hanno deciso di reclutare 3 persone che si occupino di design e sono stata invitata a parlare a tutti i presidi delle facoltà di MIT sull’importanza del design.” La sua voce è in levare, gli occhi brillano. Paola Antonelli apre sentieri, indaga. Segue con passione il lavoro della ricercatrice Neri Oxman, architetto. La sua intuizione è geniale: cooptare la natura per costruire. Nel Padiglione della Seta, per esempio, i bachi diventano operai, creando un bio feedback che consente al progetto di avanzare sia concettualmente sia costruttivamente.
Stravolgere le regole di forma e significati è una pratica che Antonelli allena al MoMA sin dagli inizi. Per la sua prima mostra, Mutant Materials in Contemporary Design, del 1995, vuole un sito web. “Nessuno sapeva cosa rispondermi, o chi dovesse autorizzarlo,” ricorda. “Mi diedero $340 che usai per andare alla School of Visual Arts dove imparai a scrivere codici. Il sito me lo sono fatto io.” Da quel seme nasce il primo sito del Museum of Modern Art.
La tempra forgiata dai passi laterali che Antonelli deve compiere per far avanzare le sue idee, la porta, nel 2005 a curare la prima grande mostra di design nel nuovo MoMA di Roshio Taniguchi: SAFE: design takes on risk. 300 prototipi e oggetti per proteggere il corpo e la mente in situazioni di emergenza, pericolose o stressanti. “Un design che va mano nella mano con i nostri bisogni, offrendo sicurezza senza sacrificare innovazione e invenzione”. Mine Cafron, la sfera antimina di bambù, abbastanza leggera per rotolare nel vento e abbastanza pesante per far esplodere le mine, è un pezzo icona per descrivere quel design in cui si fondono senso, equilibrio e bellezza.
Con Design and the Elastic Mind, nel 2008 Antonelli esplora la mutazione dell’oggetto e il cambiamento di comportamenti e bisogni umani causati dalle tecnologie.
Definita molto strana dal New York Times, la mostra crea stupore e disagio anche alla curatrice, quando Victimless Coat un piccolo cappotto confezionato in tempo reale da cellule staminali di topi, inizia a crescere esponenzialmente. Per evitare che si deformi, sono costretti a spegnere l’incubatrice in cui è esposto. In cui vive! Uccidere il cappotto cambia così il significato dell’opera. Anche le cellule possono essere vittime.
Per sottolineare quanto il design del XXI secolo si sviluppi sempre più attorno all’interazione tra noi e le cose, sia in forma materica, che subliminale e de-materializzata, Antonelli porta al MoMA Talk to Me: Design and the Communication between People and Objects (2011) “Comunico dunque sono è l’identità del nostro tempo e delle nostre cose, scrive nel compendio alla mostra, “Oggetti e sistemi, un tempo erano pregni di eleganza formale ed efficiente funzionalità, ora devono avere anche una personalità.” Ecco che design è anche messaggio, scritto, disegnato, multimediale e multiforme. Nel museo entrano processi e sistemi, come software, quali Pitch Initiatives, una piattaforma interattiva per raccogliere e mostrare il flusso di donazioni alla campagna di Barak Obama nel 2008. Questo potente esempio di communication design visualizza il fenomeno più sorprendente della campagna: il 90% dei contributi erano da piccoli donatori. Oppure Antiwargame, videogioco online dove, nel ruolo di Presidente degli Stati Uniti, devi combattere il terrorismo senza perdere popolarità. Il design è nel sistema di elaborazione dati, nel linguaggio, e nell’interazione coi nostri cervelli e i nostri valori.
Nella meravigliosa impalcatura mentale di Paola Anotnelli, ogni idea resta e si sviluppa nel tempo. Sarà pubblicato a breve un suo saggio Do Humans Dream of Robotic Seals? Gli umani sognano foche robotiche? La curiosità di indagare meglio la comunicazione uomo-oggetto la porta in Giappone (sempre durante il suo sabbatico!) da Maholo Uchida,curatrice del Miriakan, il museo nazionale di scienze nuove e innovazione a Tokyo. Due donne appassionate di tech e design, attraversano la Uncanny Valley quel campo in cui si studia l’interazione uomo-robot. L’attrazione diventa repulsione quando riconosciamo l’artificiale troppo simile a noi, ma ciò accade a livelli diversi, secondo le culture. Quella giapponese abbraccia più spontaneamente la robotica, mentre noi occidentali, scrive Antonelli nel saggio, “preferiamo interfacce funzionali e addomesticabili, che siamo certi, resteranno al loro posto. Vogliamo imparare da loro, ma vogliamo essere serviti.”
Il twitter name di Paola Antonelli è curiousoctopus, e non potrebbe essere più azzeccato. E’ proprio una piovra curiosa, e incuriosisce. Parlando del potere della bellezza, un segno di rispetto per l’essere umano e uno strumento efficace per comunicare e connettere le persone, fa l’esempio di Windmap, la mappa interattiva dei venti di Fernanda Viégas e Martin Wattenderg, pionieri della data visualization e analytics. Che tu abbia 3 o 85 anni capisci come girano i venti. E’ immediato e bellissimo da vedere.
Lo spazio in queste pagine non basta a racchiudere il vasto universo di Paola Antonelli, ma sul web potrete seguire il filo del suo ricco e stimolante discorso, dai Salons, a esperimenti curatoriali quali Design and Violence, mostra e simposio per aggiornare la nostra comprensione della violenza. Nell’anteprima della sua pagina Wikipedia leggiamo Lombard ancestry. Dunque finiamo a Milano, che si appresta a ospitare il Salone del Mobile (12-17 aprile). Anche qui, da sempre, lei è di casa.
“Doverebbe diventare la settimana del design. Il mobile, da solo, non ha abbastanza futuro. Vedo l’opportunità di creare un polo di comunicazione che ancora non esiste e che abbracci anche la città, non solo per esporre ma anche per progettare insieme. Sedie o mobili belli ne vedo pochi all’anno, mentre esempi di bio-design o commiunication design mi emozionano continuamente”, conclude.
Definita da Art Review una delle 100 persone più influenti nel mondo delle arti, c’è da darle retta. Anche perché crede nella Sesta Estinzione, ma merita elevare la reputazione dell’essere umano lasciando una buona impressione a chi arriverà dopo di noi.