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Roberto Gabetti , l’architetto che amava i Lumi e la tradizione

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E’ una serata di fine maggio. Il cortile del Castello del Valentino è ormai deserto, abbandonato dopo l’ennesima occupazione. Camminando Roberto sussurra «Sai Carlo mi sento davvero un girondino!». Anche in quel clima, ormai arroventato del 1974, in cui era facile diventare manichei, Roberto Gabetti non rinunziava a credere in un possibile processo riformatore. Non ad una riforma salvifica, come allora e oggi si invoca da opposte posizioni. La riforma poteva realizzarsi, solo se non dava nulla per acquisito e concluso, se non si incentrava in un unico atto. D’altronde a Gabetti non piacevano i manifesti, le semplificazioni, le bandiere.
Si decantava in quella posizione la sua quasi irriducibile dicotomia culturale: l’essere insieme illuminista e cristiano, socialmente e istituzionalmente impegnato. Un intreccio che si ritrova nei suoi scritti e nel suo fare l’architetto. Il Settecento era il suo campo di studi prediletto e l’Encyclopédie il suo riferimento più ricorrente. Come l’architettura sacra era uno degli oggetti del suo impegno civile e professionale, dall’accompagnare l’attuazione del Vaticano II nella commissione d’arte sacra II sino all’essere il «guardiano» della Consolata. Ed è proprio coltivando la sua passione per l’illuminismo, che si apre per Gabetti, la contraddizione probabilmente più complessa: l’amore per la storia e il fascino per la tradizione. Roberto Gabetti ha però sempre tenuti distinti il suo lavoro di storico e la sua professione.
Non solo perché la seconda la ha sempre condivisa con Aimaro Isola. Sapeva e praticava la differenza di codici che i due mestieri gli imponevano, quando si occupava di un lungo eclettismo, che proprio nell’Encyclopédie ritrovava le sue radici o quando doveva fare i conti con la storia dei modelli culturali dominanti, progettando e costruendo. E non a caso, Gabetti e Isola, come architetti, condividevano un approccio alle storie, non agli storicismi, un approccio fatto di ricerche fuori dalle genealogie consuete, di un interesse, quasi ossessivo, per i luoghi, ma anche della capacità di non rimanere prigionieri di provincialismi o di tendenze. La loro architettura rimane lontana dal manierismo di se stessi, come dalle formule con cui troppi li incapsulavano, come il neoliberty, nelle pratiche professionali come nelle leggende metropolitane o nazionali: grazie anche ad un’ironia presa quasi in prestito dagli aforismi di Anouilth.
Roberto Gabetti era in effetti un gran consumatore di romanzi e di letteratura francese. Con il suo lieber meister, Carlo Mollino, condivideva la passione per Proust e per Valéry, a differenza di Mollino non amava Mallarmé, ma Balzac. E la Biblioteca Centrale di Architettura ne porta ancora tutte le fortunate tracce. Ma la sua doppia formazione non si manifestava solo, quando era alle prese con la storia. Roberto Gabetti è stato membro e animatore dei mercoledì Einaudiani, amico oltre che collaboratore di Giulio, che amava sfidarlo proprio sul suo terreno: quello dell’architettura. E di un’architettura interamente politechnicienne. Un’appartenenza che lo ha indotto, in vari momenti della sua vita, a ricercare i fondamenti di quella cultura, per criticarne, da vero illuminista, la matrice positivista e la formulazione binaria delle sue tesi, rivendicandone una diversa genealogia, probabilistica, se non clinica: per ricordare una fortunata metafora che Gabetti spesso usava per descrivere il suo essere indagatore prima che tecnico o docente. Nella sua pratica di professore, l’appartenere ad una scuola politecnica si traduceva nella passione per la costruzione, non tanto per i linguaggi e le forme, per la scienza delle costruzioni attraverso cui era entrato al Politecnico, ma anche nella padronanza di quella mise en intrigue di scienze e simboli, di storie e usi che impongono i più sofisticati restauri, di cui la palazzina Juvarriana di Stupinigi è ancora il «suo» cantiere in corso.
Gabetti, si muoveva nei difficili rapporti tra Soprintendenze, amministrazioni, imprese, con il sorriso e l’ironia, che ne hanno fatto per decenni quasi il sacerdote nascosto di quelle stanze, così spesso rappresentate come luoghi unicamente di scontri e dinieghi.
L’impegno, anche se oggi solo l’uso di quel termine appare desueto, nella scuola, lo esercitava con una razionalità degli scopi al limite della crudeltà volterriana, con una passione di testimone di un modo di interpretare l’insegnamento, al limite del paragrafo 2-6 della lettera di San Paolo ai Romani, «Il quale (Dio, ndr) renderà a ciascuno secondo le sue opere».  E per questo che è rimasto nella memoria di tanti davvero un maestro, aspro, pungente, a volte lontano, ma sempre disponibile al confronto.
Un impegno che aveva nella didattica il suo fulcro, ma non l’unico terreno. Gabetti ha partecipato alla vita dell’Ateneo, alla parabola che da scuola di pochi e per pochi è passata alla scuola di massa, senza lasciar spazio ad alcuna inclinazione per l’esclusione: e lo ha fatto nelle aule, nelle assemblee, nei consigli di facoltà, nelle commissioni di ateneo, nella vita quotidiana della scuola.
Forse la dedica a lui della Biblioteca centrale della facoltà Roberto Gabetti, coglie non solo il lavoro certosino e la sua capacità di mobilitare intorno ad essa altri: come Giovanni Brino, Elena Tamagno, ma anche studiosi non della scuola, come Andreina Griseri. Costruire una biblioteca riassume le diverse anime di un impegno che contraddistingue quella generazione di azionisti, cattolici, comunisti che credevano fortemente nella restituzione agli altri dei doni che la fortuna o Dio, la famiglia o le esperienze politiche avevano così ampiamente loro riservato.
Carlo Olmo
La Stampa, 29 giugno 2014

Enerbrain, efficientamento energico

By ecology, sdg 13, sdg 7, sdg 9, technology

Enerbrain, una start-up di Torino iniziata come 4 amici al bar, oggi si occupa di soluzioni di efficientamento energetico degli edifici attraverso sensori collegati nel cloud.

Cristina: Secondo la Commissione Energia dell’Unione Europea gli edifici consumano il 40% dell’energia totale ed emettono il 36% di CO2. Quali sono i vostri rimedi e come sono nati?

La scintilla è nata qua a Torino, nel corso di un inverno molto rigido ma con temperature variabili, in cui il nostro fisico Marco, si è domandato come potesse regolare meglio il suo impianto domestico.

Cristina: Come funziona la vostra tecnologia?

Andiamo ad installare all’interno degli ambienti dove vogliamo ricreare delle condizioni di comfort, sensori di umidità, temperatura e concentrazione di CO2, quindi per la qualità dell’aria. Ne mettiamo un numero minimo necessario per poter garantire il comfort all’interno di qualsiasi tipo di ambiente. Li posizioniamo in uno o due giorni e questi vanno a parlare direttamente con degli attuatori, un’altra parte di hardware, da installare in centrale termica. I dispositivi si parlano attraverso un’applicazione o un software e ogni 5 minuti va a regolare meglio l’impianto. In questo modo si risparmia.

Cristina: Gli impianti non li cambiate, semplicemente li rendete più efficienti.

Esatto, senza interrompere il normale funzionamento di un impianto, in due giorni andiamo ad efficientare e partiamo subito con i risparmi.

Cristina: Quali sono i risultati? Sia in termini di risparmio energetico che economico.

Il risparmio economico è proporzionale al risparmio energetico, siamo arrivati ad ottenere dei risparmi di energia termica di oltre il 30%.

Cristina: Una soluzione semplice ed efficace per edifici esistenti.

In onda 17-3-2018