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Prof. Hiroshi Ishiguro e i suoi robot

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Cristina: Vi ricordate la pecora Dolly? La clonazione biologica destò molto stupore, oggi vi parliamo di una cosa che non è meno stupefacente.

Prof. Hiroshi Ishiguro: Sono uno scienziato e un’ingegnere, il mio ruolo è quello di inventare cose nuove.

Cristina: Professor Ishiguro, come è arrivato fin qui?

Prof. Hiroshi Ishiguro: É una storia lunga. Da ragazzo volevo fare il pittore, poi ho rinunciato all’arte per studiare informatica e intelligenza artificiale, così sono arrivato a sviluppare robot androidi che assomigliano a noi e ho capito che sto creando, come un’artista. I robot sono una tela per me.

Cristina: Ci descrive come nasce un Geminoid?

Prof. Hiroshi Ishiguro: Prima facciamo uno scan 3D del corpo, poi facciamo il calco e la parte più importante è ricreare la consistenza della pelle umana. In parallelo, sviluppiamo le funzioni meccaniche ed elettroniche integrate che sono l’anima del robot. queste vengono poi coperte da uno strato di silicone, una seconda pelle. É un sistema ibrido e come può osservare nascono movimenti spontanei, inconsci.

Cristina: Ti senti mai solo?

Geminoid: Si. Di notte sono molto solo.

Prof. Hiroshi Ishiguro: La voce arriva attraverso internet da un computer che la analizza e ne copia i movimenti. Qui non usiamo l’intelligenza artificiale. Questo androide è telecomandato, ci interessa potergli inviare informazioni, anche quando si trova in posti lontani. Il suo padrone lo può muovere come fa con il suo stesso corpo, in un futuro vicino renderemo questi androidi autonomi.

Cristina: E cosa state facendo fare ai vostri androidi, quali mansioni?

Prof. Hiroshi Ishiguro: La nostra prima sfida è stata di sostituire una conduttrice di un telegiornale. Funziona molto bene perché gli androidi non sbagliano mai e soprattutto quando ha a che fare con un ruolo pubblico è molto utile. Abbiamo messo una commessa androide nel centro commerciale, le persone sono felici di parlare con lei. Poi la gente sa che i robot non mentono mai, si fida di più dei computer. Penso che sarebbe facile sostituire commessi umani con commessi androidi.

Cristina: Quando interagisce con i Geminoid si attiva una risposta empatica in lei?

Prof. Hiroshi Ishiguro: La forma e i movimenti dell’androide, assomigliano a quelli dell’uomo, per questo si attivano i neuroni specchio in chi interagisce con lui. Noi umani riconosciamo un’androide come nostro simile, a partire dal tatto. Il meccanismo empatico qui è automatico.

Cristina: Le sono stati commissionati androidi da persone che vogliono un loro gemello robot?

Prof. Hiroshi Ishiguro: Ho creato un androide per il professore Danese Heinrich Scharfe e lui lo sta usando, vuole studiarlo, svilupparlo. Lo fa sperimentando e mandandolo nel mondo a fare conferenze.

Cristina: Crede possibile che l’uomo un giorno avrà relazioni sentimentali con questi robot androidi?

Prof. Hiroshi Ishiguro: A volte il robot può essere molto meglio dell’umano. Il robot è più bello, voglio dire, è un’ideale. Immagina un idolo pop, una cantante, è meglio la versione umana o il robot? Quale ha più fantasia? L’androide non va in bagno, non si stanca. Con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale probabilmente la gente arriverà ad accettare gli androidi come esseri umani.

Cristina: Può essere comodo in molte circostanze della vita avere il proprio doppio. Per me sarebbe utile, penso per la mia famiglia sarebbe un’incubo.

Robotica umanoide alla Waseda University di Tokyo

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Al Humanoid Robotics Institute presso la Waseda University a Tokyo abbiamo incontrato un gruppo di ricercatori che sta sviluppando robot per assistere gli anziani e per intervenire in aree disastrate. Waseda collabora con L’Istituto Superiore Sant’Anna di Pisa e insieme al Professor Takanishi lavorano diversi italiani, tra cui il livornese Gabriele Trovato.

Perché il robot Asimo non è stato capace di stringere la mano alla Cancelleria Merkel durante una recente visita in Giappone?

Cristina: Siamo a Tokyo alla Waseda University dove incontriamo ricercatori italiani che collaborano con i Giapponesi per lo sviluppo della robotica. Professor Takanishi, qual’è l’area di ricerca più importante a cui state lavorando nel dipartimento di robotica umanoide?

Prof. Takanishi: Una delle più importanti ricerche qui al Waseda Institute di Tokyo è nel campo dei robot umanoidi e stiamo studiando modi per rispondere ai diversi bisogni dell’uomo. In particolare modo stiamo sviluppando robot per assistere gli anziani e le famiglie. I vecchi, sappiamo, hanno bisogno di aiuto nella vita quotidiana ma soprattutto, soffrono di solitudine. Un robot che sa comunicare con le persone tiene compagnia, è di grande aiuto e sta diventando un’assistente importante anche per monitorare la salute.

Cristina: Questi robot possono imparare da soli in qualche modo?

Prof. Takanishi: Si, ed è una funzione molto importante. L’interazione uomo-uomo ha infinite variabili diverse e noi dobbiamo sviluppare nei robot adattabilità molto complesse. Abbiamo uno studente italiano, di Livorno, che sta facendo ricerca in questo ambito con l’umanoide Kobian, che è molto importante per capire come favorire la relazione uomo-robot cone persone di culture diverse.

Gabriele Trovato: Kobian può realizzare espressioni con il corpo e anche soltanto espressioni facciali. Abbiamo anche una nuova funzione che potrà anche mostrare dei simboli come magari una lacrima o un punto interrogativo. Questi sono anch’essi importanti per aiutare a trasmettere a quale emozione sta pensando il robot a secondo delle diverse culture.

Cristina: C’è un famoso aneddoto a questo proposito giusto?

Gabriele Trovato: Si di recente il robot Asimov a cui la Cancelliera Merkel ha provato a stringere la mano ma i tecnici giapponesi lo faranno inchinare piuttosto che dare la mano. I robot devono essere impiegati in spazi dove ci sono anche altri esseri umani, dove ci sono scale e i robot devono potersi muovere con due gambe, quindi non possono avere le ruote. Questo robot è specializzato nella camminata, tutti gli altri robot come Asimov ad esempio, non muovono il bacino, cercare di realizzare un robot umanoide non vuole dire soltanto androidi, quindi con un aspetto umano con una pelle artificiale. Vuol dire anche imitare il movimento.

Prof. Takanishi: Come sapete 4 anni fa a Fukushima c’è stato un tragico incidente, gli ambienti nelle centrali nucleari sono stati progettati per l’uomo che in condizioni simili non può accedervi. Così ho avuto un’idea, di progettare robot umanoidi per intervenire in luoghi disastrati, inquinati, e inaccessibili per l’uomo. Entro dieci anni questi robot comunicanti avranno un ruolo importante nella società.

Lo spettrometro che misura stress

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Abbiamo incontrato il Professor Giuseppe Pezzotti, primo accademico italiano ad aver avuto una cattedra a tempo pieno al Kyoto Institute of Technology. Oggi Pezzotti è diventato un punto di riferimento nel mondo per l’analisi di protesi espiantate dal corpo umano. Grazie allo spettrometro Raman, misura lo stress a livello nanometrico che gli consente di capire perché è avvenuto il danno. In questa intervista il Professore ci racconta quali saranno le future applicazioni di questa tecnologia.

Cristina: Siamo al Kyoto Institute of Technology e stiamo andando a trovare il Professor Giuseppe Pezzotti, che è il primo professore non Giapponese ad aver avuto una cattedra permanente. È passato dall’ingegneria meccanica alla fisica quantistica, passando per la medicina.

Prof. Giuseppe Pezzotti: Ora stiamo misurando il grado di ossidazione di un ginocchio artificiale in polietilene espiantanto dopo 11 anni in un corpo umano.

Cristina: Cosa si riesce a vedere con quel macchinario che non emerge da una normlae radiografia?

Prof. Giuseppe Pezzotti: A livello molecolare si vede il livello di ossidazione del polietilene in maniera non distruttiva, viene mandato un raggio laser che arriva sul materiale ed eccita le vibrazioni molecolari e come uno dei fenomeni correlati all’irradiazione, c’è un’emissione luminosa – l’emissione raman – che si vede in uno spettro e ci spiega se è ossidato o meno, se ha stress o meno, se alcune specie chimiche sono attaccate alle molecole o meno.

Cristina: Questi che cosa sono?

Prof. Giuseppe Pezzotti: Questi sono impianti che sono stati tirati fuori dal corpo umano che ci vengono spediti per vedere qual’è stata la degradazione del materiale e ce ne sono alcuni come questo che sono stati molto poco all’interno del corpo umano, per pochi mesi, ma già hanno avuto problemi. Invece altri che hanno resistito tanti anni ma si sono degradati e quindi cerchiamo di capire il motivo della degradazione.

Cristina: Quali possono essere le cause di questi malfunzionamenti?

Prof. Giuseppe Pezzotti: La causa principale che viene riportata dai malfunzionamenti è dovuta all’osteolisi, che è una degradazione dell’osso, che avviene in seguito al rilascio di debris – piccole particelle di polietilene che si annidano vicino alla protesi e causano una reazione fisiologica dell’organismo che cerca di eliminarle. Capire i meccanismi di degradazione è una cosa fondamentale. Il raman è una metodo non distruttivo quindi apre la possibilità di controllare pezzo per pezzo quindi in maniera deterministica la qualità dei pezzi incorporati.

Cristina: Quali sono altri possibili applicazione della spettroscopia raman?

Prof. Giuseppe Pezzotti: Per esempio, possiamo studiare il grado di osteoporosi delle ossa, e potrebbe essere usato in futuro per metodi diagnostici. Altre cose possibili sono lo studio delle proteine per vedere con quale rapidità una persona invecchia. Un’altra possibilità è lo studio della demineralizzazione delle lamelle nei denti, per esempio capire se e quali sarà la probabilità di carie. Un’altra possibilità è studiare l’osteoartrite, riuscire a capire quando la cartilagine si sta per alterare perché l’alterazione molecolare avviene sempre prima, è il precursore diciamo della malattia. L’applicazione del raman è fondamentale come disciplina preventiva.

Un’insalata sulla luna

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Mentre Philae (il lander trasportato dalla sonda spaziale Rosetta) scopre tracce di materiale organico sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, offrendo indizi importanti per comprendere le origini della vita sul pianeta Terra, al centro di ricerche NASA Ames, a Moffett Field in California, la astrobiologa italiana Rosalba Bonaccorsi ci racconta come porterà 3 piante sulla luna e a cosa serviranno. E spiega che il suo occhio guarda ancor più lontano. I confini tra la scienza e la fantascienza si assottigliano sempre più e la nostra immaginazione può abbracciare il sogno di una vita interstellare anche al cinema, con il film di Christopher Nolan, spettacolare ma anche ricco di spunti su cui riflettere.

Greenrail, la traversa ferroviaria verde

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È dal 1800 che i treni si muovono invariabilmente su strada ferrata, ma oggi si presentano scenari nuovi. Siamo andati a scoprirne uno. Greenrail ha creato una traversa ferroviaria che produce energia elettrica e funge da piattaforma per la trasmissione di dati. Davvero innovativo il guscio esterno, ricavato da plastica riciclata e da vecchi pneumatici, che troppo spesso vengono bruciati producendo una miscela tossica. Non da ultimo, questa traversa migliora la qualità della vita di tutti coloro che vivono in prossimità di binari, riducendo vibrazioni e rumore del 50% rispetto alla classica traversa in calcestruzzo.

CRISTINA: Ogni anno in Italia vengono eliminate 350 mila tonnellate di pneumatici, solo il 30% da vita a cose nuove. E dei 2.1 milioni di tonnellate di plastica se ne ricicla solo il 25%. Per aumentare questa quota servono idee e oggi ve ne raccontiamo una. Di che cosa si tratta?

GIOVANNI MARIA DELISI: Greenrail è una traversa ferroviaria che abbiamo progettato e brevettato in 120 paesi nel mondo. E’ composta da un’anima in calcestruzzo e da una struttura esterna in un mix di plastica e pneumatico riciclato. Si pone sul mercato con l’obiettivo di sostituire l’attuale standard delle traverse ferroviarie che è rappresentato dalle traversine in calcestruzzo. Porta dei vantaggi economici, tecnici e  ambientali, perché ogni kilometro di linea ferroviaria contribuisce a recuperare 35 tonnellate di plastica e pneumatici fuori uso. Riusciamo ad abbattere le vibrazioni e la rumorosità del traffico ferroviario fino al 50% rispetto al nostro competiror e fino al 50% dei costi ciclici di manutenzione della linea ferroviaria. Integra pannelli fotovoltaici e sistemi per la telecomunicazione e trasmissione dati di sicurezza e di diagnostica. L’Italia è un mercato già consolidato nel settore ferroviario, ma c’è comunque un mercato ciclico della manutenzione che comporta un consumo di circa 1.200.000 fino a 2 milioni di traverse l’anno esclusivamente per il mantenimento delle linee. In alcuni paesi recuperiamo le materie prime direttamente, in altri trasferiamo il know-how italiano nel processo di raccolta del pneumatico fuori uso e plastica. Grazie alla rete di partner che abbiamo messo in moto, tra cui il Politecnico di Milano, che è il nostro principale partner di ricerca con il quale abbiamo sviluppato il prodotto, riusciamo a trasferire il know-how per consentire a quel paese di adeguarsi agli standard europei. L’Italia è forse il paese più burocratico con cui abbiamo a che fare, in molti paesi che sono ancora chiamati sottosviluppati abbiamo invece una capacità d’ingresso superiore.

CRISTINA: Questo è l’unico progetto italiano che è stato selezionato per il padiglione delle best practices, ossia le migliori pratiche dal punto di vista ambientale e tecnologico, al prossimo expo ad Astana in Kazakistan. L’innovazione non è solo nel prodotto ma in tutta la filiera. Occhio al futuro.

Just Knock apre le porte ai giovani

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Mio figlio si è appena laureato e in questi mesi ho avuto modo di dialogare con lui sulle sfide e le complessità che i ventenni affrontano per trovare lavoro. Da una parte sembrano esserci infinite possibilità, dall’altra è difficile candidarsi con un curriculum che in buona parte dev’essere ancora scritto. Ne ha fatto esperienza diretta Marianna Poletti, che al problema ha trovato una soluzione innovativa. Just Knock è una piattaforma web che mette in contatto aziende e candidati, a partire dalle idee. Ascoltate come, attraverso la testimonianza dell’ideatrice, di una grande azienda e di una candidata.

OrangeFiber e la moda delle arance

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Qualche giorno fa stavo preparando una spremuta di arance e mi sono resa conto di quanto spazio portino via gli scarti degli agrumi rispetto ad altri rifiuti organici. Composto in giardino e quelle scorze ci mettono molto di più a decomporsi. Nel sud Italia è tradizione preparare le scorze candite o ricoprirle di cioccolato, ma anche se dessi libero sfogo alla mia creatività in cucina, non ho raccolto le arance dall’albero e non voglio correre il rischio di assumere altri pesticidi. Quando mi hanno raccontato dell’idea di una giovane siciliana, ho deciso di condividere la sua storia ispiratrice. La Sicilia, terra di cannoli, è anche centro di innovazione. Grazie a una professoressa che ha ascoltato l’idea di Adriana Santonocito e ha creduto in lei, quello che sembrava impossibile ora è realtà. Oggi con Orange Fiber gli scarti delle arance sono alla moda.

CRISTINA: Due ragazze siciliane, studentesse, si incontrano a Milano. Nasce un’idea che sembra una follia e invece…

ADRIANA SANTONOCITO: E invece è reale. Abbiamo inventato il primo tessuto al mondo ricavato dagli agrumi. È partito tutto dalla mia tesi alla fine del mio percorso di studi in moda a Milano. Grazie alle mie professoresse sono riuscita a entrare in contatto con una professoressa del laboratorio di chimica del Politecnico di Milano. Si sono innamorate di questa idea all’inizio un po’ folle. Non è una cosa che capita tutti giorni. Poi abbiamo testato la fattibilità all’interno del Politecnico e si poteva fare. Abbiamo depositato il primo brevetto italiano, dopodiché è stata fondata la società. All’inizio eravamo noi due, poi ci hanno aiutato tre business angels che sono i nostri attuali soci e infine abbiamo anche ricevuto un aiuto da parte di Trentino Sviluppo.

CRISTINA: L’arancia come diventa un filato?

ENRICA ARENA: L’arancia entra in un impianto di spremitura: viene fatto il succo e tutto quello che resta entra nel nostro impianto pilota da cui viene estratta una cellulosa adatta alla filatura che viene poi filata, trasformata in tessuto e venduta ai brand di moda che ne realizzano capi e collezioni.

CRISTINA: Che tipi di capi si possono fare con la fibra di arancia e quando saranno disponibili?

ENRICA ARENA: Potenzialmente possiamo fare moltissime tipologie di tessuto unendo la nostra fibra d’arancia ad altre fibre. Qui per esempio è stata utilizzata con il cotone, qui con il jersey e qui con la seta quindi con delle applicazioni completamente diverse. Quello che abbiamo realizzato sarà disponibile prima dell’estate 2017.

CRISTINA: Tutto questo senza togliere cibo dalla bocca di nessuno. Sognare, un atto di coraggio necessario più che mai, occhio al futuro!

La carne del futuro

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Sappiamo che gli attuali livelli di consumo di acqua potabile e terra coltivabile rischiano di compromettere la capacità del pianeta di rigenerarsi, ma esistono sempre più soluzioni sostenibili in grado di alleggerire il consumo di risorse naturali. Ad esempio, per la produzione di cibo. Gli allevamenti e la produzione di carne hanno un impatto negativo sull’ambiente. Ma esistono alternative, ogni giorno più economiche ed efficaci. Questa è una da tenere d’occhio.

Cristina: Globalmente, continua a crescere il consumo di carne, anche se sappiamo che gli allevamenti intensivi hanno un impatto ambientale oramai insostenibile. Ma ci sono alternative! Oggi ve ne raccontiamo una davvero originale.

Mark Post: Siamo stati i primi a farlo, ma non i primi ad avere l’idea. Winston Churchill nel 1932 aveva già alluso a questa possibilità.

Cristina: Quanto tessuto prelevate da una mucca per far crescere un hamburger in laboratorio?

Mark: Beh, in teoria è sufficiente solo una cellula. Ma in realtà, prendiamo un piccolo lembo di muscolo tramite la agobiopsia e otteniamo circa 200 cellule. Il prelievo si può fare da qualsiasi muscolo.

Cristina: Quanto ci vuole per far crescere un hamburger?

Mark: 9 settimane.

Cristina: E poi? Da quel momento in poi?

Mark: Beh è un processo esponenziale in 2 fasi: la prima è far crescere un gran numero di cellule. E quando ne hai tante, puoi incominciare a creare i tessuti. Per creare un hamburger, per esempio, ci vogliono 9 settimane. Per creare 2 hamburger ci vogliono 9 settimane e 2 secondi. E per creare 50 mila hamburger ci vogliono 9 settimane più una. Quindi in realtà non è tanto importante il tempo di crescita, ma piuttosto le quantità che possiamo produrre. Nel 2013 il prototipo di hamburger costava circa 250 mila €. Se lo coltivassimo ora, con la stessa tecnologia per avere una produzione su larga scala, il costo sarebbe di circa 10-11 dollari per hamburger.

Cristina: E a che prezzo puntate?

Mark: Meno di un hamburger normale. Sappiamo già cosa dobbiamo migliorare per abbassare il prezzo. Non è complesso. Ma qualcuno deve farlo.

Cristina: Qual è l’attitudine mentale dei consumatori verso la carne coltivata in laboratorio?

Mark: Le persone sono in grado di comprendere i vantaggi di questa procedura. All’università di Oxford hanno calcolato che si ridurrebbe il consumo di suolo degli allevamenti di bestiame del 90%. Il fabbisogno di acqua dolce del 90%. E di energia del 60%, a seconda delle aree. E anche se il risparmio energetico è inferiore rispetto a quello di terra e acqua, va considerata la riduzione del metano emesso dalle mucche. C’è anche un vantaggio in termini di gas serra, a parità di energia consumata.

Cristina: Presto sarà possibile coltivare in vitro tutto quello che vogliamo. Che ci piaccia o no!

Peptidi – Nora Khaldi

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Avete mai sentito parlare di un peptide? Forse no, ma sicuramente conoscete l’endorfina che è un peptide. Si tratta di una semplice catena di aminoacidi, con un grandissimo potenziale. Alcuni peptidi, infatti, posso modulare le funzioni fisiologiche dell’organismo, permettendoci di ridurre infiammazioni, diabete, la perdita di massa muscolare e combattere l’invecchiamento. Ce lo racconta la matematica irlandese Nora Khaldi che abbiamo intervistato ad Amsterdam. Con il suo team estraggono peptidi dal cibo, dove sono naturalmente presenti, e ne testano l’efficacia nel rigenerare cellule e tessuti. Con risultati sorprendenti.

Cristina: Nora Khaldi è una matematica. Per lei questo frutto, una mela, è molto più di quanto è per noi e adesso ci spiegherà perché.

Nora Khaldi: Quando ho cominciato a lavorare sul cibo, non ho più visto questa come una mela. Per me è un insieme di dati, trillioni e trillioni di molecole che interagiscono tra loro e anche con il corpo umano. Identificando i peptidi, quindi il segmento della proteina attiva, e sciogliendoli dal legame chimico, si trasformano in ingredienti attivi con grossi vantaggi per la salute.

Cristina: Non basta mangiare la mela per avere i benefici dei peptidi?

Nora Khaldi: No, puoi mangiare tutte le mele che vuoi, ma otterrai ben pochi benefici da quel specifico peptide. Il bello dei peptidi è che sono molto flessibili, si legano con precisione ai loro obiettivi e inoltre non lasciano residui nel corpo. Non tutti i peptidi sono attivi, hanno una sequenza di amminoacidi che permette loro di legarsi a un recettore associato a un’infiammazione. E per quei pochi secondi o pochi minuti per cui sono legati, l’infiammazione si riduce, ma la cosa bella è che i benefici restano molto evidenti anche dopo qualche giorno. Il nostro obiettivo è quello di estrarre i peptidi migliori tra quelli che si trovano in qualsiasi cibo e capire come si legano al corpo umano e come regolano le malattie.

Cristina: In questo processo come usi la tecnologia?

Nora Khaldi: Stiamo analizzando cibi di tutto il mondo, in particolare vegetali e cereali e da piccole quantità di cibo riusciamo ad estrarre moltissime informazioni, prendiamo campioni, estraiamo dati, li mettiamo in relazione per trovare nuovi peptidi al loro interno e poi scegliamo i più efficaci. Stiamo lavorando in particolare su quattro condizioni: l’infiammazione, il diabete, l’anti invecchiamento -soprattutto della pelle, attraverso la stimolazione del collagene, l’elasticità e la rigenerazione cellulare- e in ultimo il recupero e il mantenimento dei muscoli, perché è determinante per la nostra salute complessiva. Abbiamo identificato peptidi che stimolano il recupero e il mantenimento del tono muscolare.

School Raising, piattaforma di crowdfunding per scuole italiane

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Cristina: Gugliemo che cos’è School Raising?

Guglielmo: School Raising è una piattaforma sulla quale raccogliamo soldi per finanziare i progetti innovativi delle scuole. Raccogliamo i soldi dai cittadini, che in questo modo ci indicano quali sono i progetti che secondo loro devono essere sviluppati all’interno di queste scuole. Lo facciamo in tutta Italia, i progetti arrivano da scuole, dai professori, dagli alunni e anche da associazioni che lavorano con le scuole.

Cristina: E come raccogliete i fondi?

Guglielmo: Raccogliamo online.

Cristina: Quindi usate in sostanza il crowdfunding

Guglielmo: Il crowdfunding reward-based, che vuol dire basato sul dono: io finanzio e in cambio ricevo un dono per quanto ho finanziato.

Offriamo un premio a chi si inventa queste parole in italiano. Il progetto che vi raccontiamo oggi nasce proprio in questa stanza.

Ecco come vedi ci troviamo in quest’aula dell’istituto, piena di tecnigrafi, in cui da ragazza io stessa ho disegnato quando facevo il geometra e poi l’università. Quindi molto obsoleta per il momento in cui stiamo vivendo, e l’idea proprio nasce qui dalla volontà di trasformare un’aula obsoleta in un’aula molto moderna. Per cui, con l’utilizzo sempre per la manualità ma pensando ad un futuro, un futuro anche con il supporto e l’uso della tecnologia.

Cristina: Quando hai iniziato a lavorare insieme agli studenti?

Abbiamo iniziato subito dopo aver messo giù il progetto di massima, abbiamo qui un gruppo di giovani, che sono i principali protagonisti di questo progetto.

Sarà un’aula moderna e comoda, che permetterà agli studenti e i professori e anche al territorio di poter lavorare dentro. Sarà comoda perché noi vogliamo sentirci, all’interno della scuola, come se fossimo a casa.

Noi ragazzi abbiamo realizzato un video per visualizzare il nostro progetto. Chiunque vorrà aiutare potrà finanziarci anche con solo 5 euro sul sito.

Per noi ormai è diventato normale collaborare, ma quando esco e lo racconto ai miei amici e ai miei compagni, quasi non ci credono e mi guardano estraniati dicendo “come fate?”.

Cristina: Nel cuore di Udine, incontro Chiara che ci spiegherà un altro aspetto del progetto.

Chiara: Collaboro con un’associazione non-profit che ha come obbiettivo quello di promuovere i principi della responsabilità sociale d’impresa. L’aula che hai visto oggi è fruibile da tutti, non solo da alunni e insegnanti ma anche manager d’azienda e operatori culturali. Il progetto sarà in parte finanziato dalla scuola, ma in parte attraverso lo strumento di crowdfunding. É quindi una raccolta fondi sul web, grazie alla piattaforma di School Raising.

Si, noi ci occupiamo di tutte quelle soluzioni che fanno collaborare le persone, al di là di una singola aula, lo spazio può diventare un promotore di innovazione, sia per gli studenti sia per le aziende che vogliono trovare una vero motivo anche per innovare la propria responsabilità sociale d’impresa.

Cristina: Persone motivate, aperte al dialogo e alle nuove tecnologie, possono realizzare i loro sogni in tutti gli ambiti. Osate