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Api, sentinelle di biodiversità

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Occupandomi di sviluppo sostenibile da qualche decennio e concentrandomi su soluzioni alle nostre più grandi sfide, di tanto in tanto mi illudo che questioni trattate più volte abbiano avuto nel tempo un’evoluzione positiva. Credo nella capacità della nostra specie di evolvere verso una co-esistenza rispettosa dei sistemi vitali che ci regalano la vita, ma parlando con Andrea, l’apicoltore dal quale compro sempre il miele, che mi ha presentato Luca e Marco. Grazie a questi ragazzi dedicati appassionati e competenti, ho scoperto che gli impollinatori sono più minacciati che mai. È nata così la storia di questa settimana, e ho avuto conferma di quanto ci sia ancora da fare.
Se conoscete coltivatori di nocciole inoltrate per favore questo servizio. Dialogare con le persone dalle quali acquistiamo prodotti è fondamentale per avere un quadro più realistico dell’impatto di ogni nostra scelta.

Cristina: Oggi è la giornata mondiale della biodiversità, e l’ONU vuole portare la nostra attenzione sulla complessa dinamica che regola la vita sulla terra. La biodiversità è il nostro più grande tesoro e monitorare la sua salute è complicato. Siamo nel Cuneese per incontrare Luca, apicoltore. Luca perché le api sono le più preziose sentinelle di biodiversità?

Luca Bosco: Perché tutto ciò che arriva nell’alveare raccolto dalle api è il frutto di una sinergia tra diverse forme di vita e quindi è frutto della biodiversità dell’ambiente.

Cristina: Le vostre osservazioni cosa vi dicono?

Luca Bosco: Che la situazione delle api, e in generale degli impollinatori, è gravissima. Vediamo molto spesso episodi di morie, avvelenamenti, sui nostri alveari. Purtroppo ritroviamo nelle matrici degli alveari sia gli insetticidi che i fungicidi, sia i diserbanti. Un diserbante in particolare, la molecola glifosato, è particolarmente seria perché il ritrovamento, soprattutto nella matrice miele del nido, miele in maturazione, è un indizio preciso. La molecola che viene irrorata qui può finire ovunque, la ritroviamo nell’acqua, nell’aria, nel suolo quasi per forza perché viene irrorata sul suolo e la ritroviamo anche nel polline delle piante, nel nettare delle piante. Questo è un chiaro indizio che i filtri naturali dell’ecosistema in qualche modo si stanno degradando.

Cristina: Luca quali sono le coltivazioni che vengono più irrorate di queste sostanze ?

Luca Bosco: Qua siamo in zona di viticoltura e di corilicoltura, quindi vite e nocciolo. In questi anni grazie anche al lavoro dell’associazione degli apicoltori, i viticoltori hanno imparato a utilizzare i fitofarmaci in modo oculato, quindi senza dare un problema diretto e grave agli impollinatori. Per quanto riguarda il nocciolo invece il discorso è tutto da fare perché è una coltura nuova e in questo momento le pratiche agronomiche messe in campo lasciano parecchio a desiderare. Sono fonte di avvelenamento diretto, sono in qualche modo anche la causa di quel ritrovamento sistematico all’interno delle matrici degli alveari, soprattutto in questa zona ovviamente. A chi coltiva nocciolo si può rivolgere un appello a, in qualche modo, seguire la strada già intrapresa dai viticoltori.

Cristina: Luca state per fare delle campionature, che frequenza hanno e a cosa servono?

Luca Bosco: Hanno frequenza mensile e servono per andare a indagare l’eventuale presenza di molecole chimiche. L’esperienza ci dice che molto probabilmente ci saranno perché negli anni passati, la loro presenza è stata purtroppo molto assidua. Sappiamo che queste molecole sono dannose per l’ape, anche per la loro capacità – in qualche modo singolare – quella di depurare le matrici ambientali assorbendo nei loro corpi le molecole chimiche, a loro discapito ovviamente, ma andando a preservare soprattutto il miele. Il miele, in qualche modo, è sempre risultato pulito.

Cristina: È fenomenale. Questi dati li incrociate con altri?

Luca Bosco: Questi dati li incrociamo con altri monitoraggi che vengono effettuati nella zona, in particolare modo con quelli effettuati sul fiume Tanaro, che potete vedere proprio qui vicino, e i due monitoraggi confermano la stessa cosa, la presenza ubiquitaria delle molecole chimiche.

Cristina: Grazie Luca. Questa storia tocca tutti e 17 gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. E noi che cosa possiamo fare? Dialogare il più possibile con apicoltori, capire le criticità del nostro territorio e proteggerlo in ogni modo possibile. Conviene a tutti. Occhio al futuro

In onda il 22-5-2021

Mygrants, la prima app per migranti

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Secondo l’International Organization for Migration il numero di migranti che globalmente tentano di passare i confini è in continua crescita: nel 2000 erano 150 milioni mentre nel 2020, 272 milioni. Non avevo abbastanza riflettuto sul fatto che 90% dei migranti che sbarcano sulle nostre coste sono nativi digitali. Pochissimi dopo il periodo trascorso nei centri di accoglienza trovano lavoro, ma oggi, grazie a Chris Richmond e Mygrants, possono sperare in un futuro dignitoso. È una storia di perseveranza, visione, impegno e lungimiranza, nata dalla mente di un ragazzo ivoriano, che ha saputo creare uno strumento di grande valore umano e sociale. Sono onorata di averlo incontrato e di poter diffondere la sua importante iniziativa.

Cristina: Dall’inizio della Primavera Araba, 10 anni fa, sono sbarcati in Italia circa 800.000 migranti, in cerca di una vita dignitosa. Molti di loro hanno riposto le speranze nell’Europa. Il 90% ha meno di 35 anni ed è tecnicamente nativo digitale, più della metà non ha frequentato le scuole superiori. Dopo circa un anno e mezzo nei centri di accoglienza e poi pochissimi trovano lavoro. Oggi c’è per loro un futuro possibile, grazie alla prima app sviluppata per i migranti, navigabile in 3 lingue con più di 8.000 quiz che valutano le loro ambizioni e i loro talenti. Buongiorno Chris, raccontaci della vostra bella iniziativa. 

Chris Richmond: Abbiamo deciso, nel 2017 di creare questa piattaforma educativa per migranti e rifugiati con l’obiettivo di valorizzare a pieno le loro competenze pregresse, i loro background, i loro talenti e fare in modo che queste competenze e questi talenti possano essere maggiormente spendibili sul mercato del lavoro.

Cristina: Che obiettivi vi ponete e quali risultati state ottenendo?

Chris Richmond: L‘obiettivo sicuramente è quello di innovare il sistema italiano, europeo e internazionale di asilo, facendo in modo che anche i migranti per motivi economici e i futuri migranti per motivi climatici possano muoversi liberamente da punto A, a punto B in modo legale e sicuro. Trovare una modalità di generare maggiore fiducia tra migranti e soggetti finanziari formali, vuol dire semplicemente rendere i migranti anch’essi bancabili.

Cristina: E a oggi quanti utenti avete?

Chris Richmond: Dopo 4 anni siamo a oltre 100.00 utenti attivi in piattaforma. Abbiamo circa il 20% degli utenti che non sono in Italia, sono ancora in medio oriente, Africa o sud-est asiatico, circa 15.000 profili altamente qualificati individuati e supportato l’inserimento lavorativo di circa 1.900 persone.

Cristina: Una percentuale importante però bassa nel contesto. Come mai secondo te?

Chris Richmond: Non siamo nati con l’ambizione di fare inserimento lavorativo, ma siamo nati con l’ambizione di fare emergere le competenze e il talento. Nel corso del tempo, analizzando i dati ci siamo resi conto che potevamo ambire a qualcosa di più e a inizio 2018 abbiamo deciso di iniziare a testare l’inserimento lavorativo. 2018, 19 e in qualche modo abbiamo avuto delle riduzioni agli inserimenti lavorativi anche dovuti alla pandemia e stiamo comunque cercando di lavorare su quei settori maggiormente richiesti attualmente dal mercato del lavoro. Sicuramente l’informatica e la tecnologia, ciò che riguarda le traduzioni e l’interpretariato, sicuramente meccanica e meccatronica, in parte anche delivery quindi logistica e molta sanificazione e ciò che riguarda ovviamente servizi alla persona quindi caregivers.

Cristina: Chris c’è una storia che vuoi condividere con noi?

Chris Richmond: Ce ne sono tante, sicuramente la storia di un giovane ingegnere informatico tunisino arrivato in Italia un paio di anni fa, e che ha cercato di trovare opportunità lavorativa come lavapiatti, è entrato in piattaforma e dopo poche settimane ha dimostrato tutto il suo talento. Ha avuto 12 richieste di inserimento lavorativo e ha potuto scegliere per quale azienda andare a lavorare. Oggi si occupa, per quell’azienda, di collaudare gli impianti industriali e dopo 3 mesi di tirocinio ha avuto una conversione del suo tirocinio in un contratto a tempo indeterminato. Questa è una delle tante storie che siamo riusciti nel nostro percorso a trasformare da sogno in realtà.

Cristina:  Grandissimo lavoro, veramente auguri per ogni bene e grazie Chris. Dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU questa impresa adempie a 1 zero povertà, 4 educazione di qualità, 8 lavoro dignitoso, 9 industria innovazione e infrastrutture, 10 ridurre le disuguaglianze, e 11 città e comunità sostenibiliOcchio al futuro

In onda il 1-5-2021

Cosa significa digitalizzare il Duomo di Milano?

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Parliamo spesso di tecnologia al singolare ma le applicazioni sono tantissime. Possono comportare investimenti audaci però consentono, come nel caso del Duomo di Milano, di facilitare i lavori di manutenzione e restauro del suoi 2 milioni mt3 e di implementare la nostra conoscenza della cattedrale più grande d’Italia.
Ringrazio 3DSurveyGroup del Politecnico di Milano per l’esperienza aumentata che sarà frutto di sorprendenti applicazioni e Living3D per la visita virtuale del museo che un giorno consentirà di far rivivere la storia di 6 secoli di costruzione.

Cristina: Grazie alle tecnologie, possiamo viaggiare nello spazio e nel tempo. Oggi visitiamo il Duomo di Milano e il tour inizia da casa. La digitalizzazione degli archivi consente di ripercorrere tutte le fasi della storia e della costruzione della cattedrale più grande d’Italia durata 600 anni. E con la Duomo Card, si può anche accedere a webinar e percorsi formativi. Ma adesso venite con me. Il lavoro qui non si è mai fermato. Adesso incontriamo l’Ingegner Canali, il 48esimo Architetto del Duomo, che si occupa del continuo restauro di questo fenomenale monumento. Buongiorno Ingegnere, che ruolo ha per voi la tecnologia?

Francesco Canali: Un ruolo fondamentale. Negli ultimi dieci anni abbiamo dedicato quasi, insieme al Politecnico di Milano, 30.000 ore di lavoro per avere dei 2 milioni di mt3 che sono il volume del Duomo, una rappresentazione con 60 miliardi di punti che ci consente di avere un’immagine digitale del Duomo stesso perfettamente sovrapponibile a quella reale con la quale organizzare tutto il sistema informativo. Puoi dare anche un’occhiata.

Cristina: Qui ho un menu. Qui vedo un ologramma della colonna. È fenomenale. Adesso appare la colonna in miniatura, più o meno di questa grandezza. Entro dentro al capitello e qui lo posso ingrandire. Però Ingegnere, immagino che come strumento consenta intanto di integrare 600 anni di archivio.

Francesco Canali: Si, anche perché è difficile consultarlo. Invece così, riferendolo a quello che si vede diventa immediato.

Cristina: È meraviglioso. L’esperienza aumentata è fenomenale. Certo che però quella fisica è impagabile.

Francesco Canali: Certo, poterci venire sul Duomo è sempre meglio. Un posto davvero bello. Poi con le giornate di bel tempo ancor di più.

Cristina: E il museo?

Francesco Canali: Il museo è chiuso, siamo in un periodo in cui non si può visitare. È proprio li sotto di noi, però basta avere un tablet e tutto diventa possibile.

Cristina: Siamo nel museo adesso, davanti al modellino del Duomo?

Francesco Canali: Eh no, lo chiamiamo “modellone”. Ed è l’equivalente della rappresentazione digitale che vedevamo prima però fatta nel XVI secolo. Il modello con il quale il Duomo è stato via via costruito e che, da ultimo, è stato usato per capire le giuste proporzioni della facciata principale. In legno di tiglio, è una riproduzione perfetta. L’immagine che abbiamo del “modellone” è un’anteprima del percorso di visita digitale di tutto quanto il Museo del Duomo che a breve sarà disponibile sul sito della Veneranda Fabbrica.

Cristina: E che sarà quindi un modo di preparare la visita ma porterà poi anche a diverse applicazioni?

Francesco Canali: L’insieme delle tecnologie digitali che abbiamo scorso velocemente oggi può far immaginare un corto circuito perfetto tra il passato, il presente e il futuro. E perché no, arrivare a immaginare anche di fare incontrare Gian Galeazzo, un suo ologramma, che spiega perché se ne stava in cima alla guglia Carelli.

Cristina: Che meraviglia, grazie mille. Queste tecnologie adempiono agli OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE dell’ONU 4 educazione di qualità, 8 lavoro dignitoso, 9 industria innovazione e infrastrutture e 11 città e comunità sostenibili. Grazie ingegnere per questa meravigliosa esperienza. Occhio al futuro

In onda il 24-4-2021

Crowdfunding per tutti con Produzioni dal Basso

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Produzioni dal Basso è la prima piattaforma italiana di crowdfunding, attiva dal 2005. Permette a chiunque di proporre e raccontare in modo semplice il proprio progetto, raccogliendo fondi per realizzarlo, che sia un progetto di tipo sociale, ambientale o educativo.

Cristina: Oggi vi parliamo di una piattaforma che consente ai cittadini di dare o ricevere contributi economici per cause in cui credono. C’è di tutto, dal ristorante che per reinventarsi ha bisogno del sostegno della comunità, a centri di cura e accoglienza, progetti culturali sociali anche in collaborazione con diversi comuni italiani o associati agli SDG. Buongiorno Marta. Come funziona la vostra piattaforma?

Marta Dall’Omo: La nostra piattaforma permette a qualsiasi soggetto, che sia un soggetto sub-giuridico o che sia una persona fisica, di raccogliere fondi online in maniera semplice e trasparente. Attraverso la nostra piattaforma quindi, chiunque può lanciare la proprio campagna di raccolta fondi per realizzare il proprio progetto, che sia in ambito culturale, sociale, che sia un progetto di start-up o d’impresa.

Cristina: Immagino che in questo momento di crisi molti si rivolgano a voi. Quante richieste avete?

Marta Dall’Omo: In questo momento ci sono più di 500 campagna attive e in generale, nella storia della nostra piattaforma, abbiamo raccolto oltre 15 milioni di euro da una comunità di donatori di oltre 300.000 persone. I progetti finanziati sono più di 5.000.

Cristina: Alcune piattaforme danno i soldi solo se raggiungi il tetto richiesto, voi come vi comportate?

Marta Dall’Omo: Noi abbiamo quattro modelli di raccolta fondi, alcuni presuppongono questo tipo di funzionamento, quindi spetta al progettista ovvero colui che lancia la campagna, scegliere quale modello preferire, se utilizzare una modalità di raccogli tutto, quindi qualsiasi sia l’obiettivo, i fondi raccolti andranno nelle disponibilità del progetto oppure un obiettivo di raccolta – se non viene raggiunto quell’obiettivo non si ha accesso a quei fondi.

Cristina: Diciamo per i telespettatori, i fondi vengono restituiti ai donatori..

Marta Dall’Omo: Certamente, in quel caso i fondi non vengono neanche processati. Nella modalità “tutto o niente” per dirla in gergo, le donazioni vengono solamente promesse, quindi non c’è proprio una movimentazione di denaro se l’obiettivo non viene raggiunto.

Cristina: Chi ha bisogno di fondi ma non sa come fare?

Marta Dall’Omo: Sulla nostra piattaforma molto spesso ci sono delle iniziative, dei bandi, che vengono proposti da alcuni brand, associazioni, aziende, università, che quindi decidono di partecipare o co-partecipare alla creazione di alcune campagne e di alcuni progetti. Ovviamente se vengono raggiunti dei presupposti, per esempio il raggiungimento del 50% dell’obiettivo di raccolta.

Cristina: Avete un sistema anti-truffa?

Marta Dall’Omo: Allora, diciamo che la piattaforma fa dei controlli periodici, quindi controlla tutte le campagne che vengono proposte. In più insieme ai sistemi di pagamento integrati in piattaforma facciamo delle verifiche anti-riciclaggio e come terzo, ma non meno importante controllo, la comunità valida le idee e sostanzialmente decide se sostenerlo oppure no.

Cristina:  E poi avete una sezione dedicata agli SDGs…

Marta Dall’Omo: Qualche tempo fa abbiamo lanciato una sfida verso la nostra community, abbiamo immaginato che oltre alla finalità della raccolta fondi, i nostri progettisti avessero finalità più alte, e quindi potessero indicare i loro progetti in quale area d’impatto avesser appunto un impatto. Ed è stata incredibile la risposta, oltre 3.500 progetti in pochissimo tempo hanno indicato almeno un obiettivo d’impatto all’interno della loro campagna e quelli maggiormente indicati sono il numero 10, il numero 4 e il numero 3.

Cristina:  Grazie Marta. Per la comunità di questa piattaforma ridurre le disuguaglianze, sostenere educazione di qualità e salute per tutti sono la priorità. Come vedete, gli SDG sono veramente una mappa utile per progredire verso uno sviluppo necessario. Occhio al futuro

In onda il 6-3-2021

Fashion Revolution, l’insostenibilità sociale ed ambientale della moda

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È complesso in ogni ambito della vita onorare bisogni e soddisfare piaceri. Vestirsi è sia una cosa che l’altra ma per far si che il piacere dei consumatori non arrechi danni alle persone e all’ambiente occorre maggiore coscienza.

Cristina: Vestirsi è un bisogno primario, ma ciò che indossiamo, è spesso il risultato di pratiche insostenibili. I prezzi bassi della moda veloce hanno un costo alto per le persone che la confezionano e per l’ambiente, ma il gioco vale la candela? Un capo nuovo viene usato in media solo 7 volte!!! Servono leggi più efficaci, ma anche maggiore consapevolezza da parte dei consumatori, è dimostrato che quando siamo informati, compiamo scelte più responsabili. Marina, tu sei portavoce per l’Italia del movimento Fashion Revolution. In che modo state facendo breccia nel sistema moda?

Marina Spadafora: Fashion Revolution, che esiste dal 2013 quando crollò il Rana Plaza in Bangladesh uccidendo più di mille persone, è nato dicendo “chi ha fatto i miei vestiti? who made my clothes?”. Ci sono 70 milioni di persone che lavorano nella filiera della moda, la maggior parte non viene pagata il giusto e quindi non si può permettere di vivere in maniera decente ed è per questo che fanno lavorare anche i bambini. Quindi ci vogliono leggi molto forti, un movimento di consumatori che richieda vestiti fatti con dignità e rispettando l’ambiente. Solo con queste due forze riusciremo a cambiare l’industria della moda e avere una vera rivoluzione.

Cristina: E adesso incontriamo Matteo che è designer, attivista, educatore.

Matteo Ward: Vedi Cristina, c’è il vintage e poi c’è l’innovazione invece.

Cristina: Fammi vedere cos’hai.

Matteo Ward: Per esempio qui abbiamo capi tinti con polvere di grafite riciclata, esempi di upcycling, tinture con mattoni tritati, ecco queste sono un manifesto dei processi produttivi a ridotto impatto ambientale, ma trasformano anche un prodotto in un servizio per rispondere ad alcune tra le più pressanti e reali esigenze dell’umanità. Poi siccome non è semplicissimo, mi rendo conto, trovare tutti questi prodotti sul mercato già oggi nei negozi, esistono oramai piattaforme come questa che facilitano i consumatori la scoperta di prodotti funzionali a quello che vogliono o che gli serve, ma soprattutto allineati con i loro valori sociali ed ambientali. Basta mettere nel motore di ricerca “magliette in cotone organico” e ti vengono fuori tutti i prodotti dei vari brand che già li sviluppano in giro per il mondo.

Cristina: Fantastico. Quindi è diviso per tipo diciamo?

Matteo Ward: Per tipologia, materiale, funzionalità che ricerchi in un capo.

Cristina: Grazie Matteo. Si stima che, in questo decennio, il comparto moda e calzature crescerà dell’81%. Cresceranno però anche i consumi di risorse naturali – l’acqua usata ogni anno per fare i nostri vestiti soddisferebbe i bisogni primari di 5 milioni di persone. E aumenterà l’inquinamento – pensiamo a microplastiche, sostanze chimiche e abiti dismessi di cui solo l’1% viene riciclato. La moda sostenibile adempie agli SDG 8, 9, 10, 12 e 13. Dai sondaggi, la gente è pronta a cambiare. Facciamolo! Occhio al futuro

GAIA, la casa naturale stampata in 3D

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Questa storia aiuta a immaginare un nuovo modo di abitare – gradevole, semplice, accessibile, ecologico, sano. Un sogno possibile grazie alla perseveranza dell’architetto Tiziana Monterisi e del suo incontro con Massimo Moretti. Insieme hanno trovato il modo di utilizzare un materiale di scarto con ottime prestazioni e disponibile in quasi tutto il mondo. Grazie alla stampa 3D, viaggiano fisicamente solo gli strumenti tecnici; il progetto viaggia sul web e la materia prima si trova sul posto. Gli edifici di Rice House realizzati con Wasp sono modulari. Pensate che usare gli scarti di lavorazione del riso costa meno che smaltirli.

Cristina: Avete mai pensato di costruire una casa con materiali naturali tutti italiani? È possibile grazie alla stampa 3D e alla ricerca che oggi vi raccontiamo. Gli ingredienti sono terra cruda e scarti di lavorazione del riso che, da soli, ogni anno sarebbero sufficienti per costruire questi edifici sostenibili per l’intera popolazione italiana. Solo nel Vercellese, sono coltivati a riso 70.000 ettari e solo il 35% degli scarti sono riutilizzati. Massimo, raccontami il processo.

Massimo Moretti: Quello che abbiamo studiato è esattamente un processo, come costruire a basso impatto utilizzando i materiali che sono sul posto. È inserire il sapere nella materia più umile per trasformare quella materia in un materiale utile all’edilizia, quindi l’informazione in realtà dà il valore alla costruzione. Ecco vedi, questa costruzione è fatta di terra, del luogo, paglia di riso, perché il riso è una dei materiali che si trova di più sulla faccia della terra, ed è depositata con una macchina quindi questa formazione può essere replicata indefinite volte. È una costruzione modulare può assumere, di conseguenza, qualsiasi forma e dimensione a seconda di quello che serve sul luogo. L’unica cosa che viaggia fisicamente è un container con all’interno tutto il materiale tecnico per costruire, mentre le informazioni possono viaggiare via web.

Cristina: Grazie Massimo. Tiziana, tu invece sei autrice della ricerca, qual è l’impatto ambientale complessivo di questo edificio?

Tiziana Monterisi: Quasi nullo, perché grazie proprio ai materiali che compongono il muro, l’edificio è ad energia quasi zero, è paragonabile ad una Classe A++++. Ciò vuol dire che sfrutta gli apporti passivi ma non ha bisogno né di un riscaldamento durante l’inverno, né di un impianto di condizionatore durante il periodo estivo. La muratura si equilibria e mantiene sempre costante una temperatura e un’umidità che è quello che ci fa percepire il maggior comfort interno. In particolare, proprio la lolla di riso e la paglia di riso contengono una altissima percentuale di silice, che gli permette di non marcire, di non essere attaccata dagli insetti e soprattutto, di essere durevole. Una cosa non semplice e scontata per i materiali naturali. Sarebbe facile stampare in cemento, molto più rapido ma avrebbe un impatto sull’ambiente completamente diverso. Questa casa è 100% fatta di materiali naturali quindi sostenibile al massimo, non solo per l’ambiente ma anche per l’uomo. Vedi Cristina questa è la nostra nuova sfida, abbiamo tolto il legno e la costruzione è monomaterica.

Cristina: Pensate che riutilizzare questo scarto agricolo ha un impatto inferiore che smaltirlo. È una filiera tracciabile, riduce anche le bollette quando si sta nella casa e quindi insomma è una soluzione ecologica il più possibile. Adempie a otto dei diciassette SDG: 3, 8, 9, 11, 12, 13, 15 e 17. Occhio al futuro!

In onda il 11-4-2020

Life Based Value, la piattaforma che trasforma la genitorialità in master

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Riccarda Zezza, CEO di Life Based Value, partendo dalla sua esperienza di vita quando è diventata mamma, ha creato una piattaforma per trasferire le “soft skills”, sviluppate quando ci si prende cura degli altri, in ambito professionale.

Cristina: Tutti noi ci prendiamo cura di giovani e/o anziani, e sappiamo quante competenze servono per farlo bene. Oggi incontriamo una donna che, partendo dalla sua esperienza di vita, ha creato un metodo per trasferire le “competenze soft” in ambito professionale. Riccarda com’è nata la tua idea e come funziona?

Riccarda Zezza: È nata dal fatto che quando sono diventata mamma ed ero manager in una grande azienda ho scoperto che essere madre era una problema nel mondo del lavoro, mentre invece la stessa azienda mi mandava a fare formazione in una serie di competenze soft che proprio l’esperienza della maternità stava allenando benissimo. Pensa ad esempio alla gestione del tempo, la gestione delle crisi, l’empatia. Ho visto un grande paradosso, un grande spreco, perché le aziende spendono tantissimi soldi in formazione per una serie di competenze che la vita allena in modo naturale. Questo è successo 7-8 anni fa, da li è partita la ricerca che ho fatto con Andrea Vitullo che è un executive coach, ed effettivamente abbiamo scoperto che quando si diventa genitori si migliorano una serie di competenze che servono al mondo del lavoro. Sette anni dopo, oggi, questo metodo di apprendimento lo vendiamo alle aziende attraverso una piattaforma digitale, quindi le nostre aziende clienti aprono il percorso digitale neogenitori, neomamme o neopapà, ma anche da qualche tempo caregiver dei propri genitori, perché ogni esperienza di cura migliora queste competenze e le persone possono scoprire come prendersi cura di un bambino o un anziano migliorino proprio le competenze che servono nel mondo del lavoro.

Cristina: Questa iniziativa adempie a ben 8 SDG: 3, 4, 5, 8, 9, 10, 16 e 17. Adesso qual’è il tuo sogno?

Riccarda Zezza: Oggi siamo in 23 paesi e gli utenti della piattaforma ci dicono che già hanno queste energie, queste competenze e hanno solo bisogno dello spazio per portarle nel mondo e nella società. Il mio sogno è quello di arrivare il più velocemente possibile a dimostrare all’economia e alla società che prendersi cura è un valore, è un bisogno che la specie umana ha, e ha dentro tutte quelle energie e quelle risorse che oggi stiamo cercando nei posti sbagliati.

Cristina: Grazie Riccarda. Saper osservare e riflettere, valutare obiettivi e prendere decisioni, migliorarsi, adattarsi, e giocare, rende tutto più facile. Occhio al futuro!

In onda il 21-3-2020

Alisea

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Susanna Martucci Fortuna, fondatrice di Alisea, ha trasformato un momento di crisi in opportunità. Ha creato una filiera di professionisti tutti italiani – da ingegneri a designer e artigiani evoluti, per dare una vita dignitosa a scarti industriali.

Cristina: Oggi vi raccontiamo il lavoro di una donna che ha trasformato una crisi in opportunità. Stava perdendo il l’azienda, e interrogandosi sul da farsi, le tornò in mente una conversazione sentita sul riciclo e si chiese come poter dare una vita dignitosa a scarti industriali, che nel suo distretto di Vicenza abbondano. Per dare concretezza alla sua idea, mise insieme una filiera tutta italiana di ingegneri, designer e artigiani evoluti. Andiamo a conoscerla e a scoprire che cosa fa. Buongiorno Susanna, raccontaci cosa abbiamo davanti.

Susanna Martucci: Qua si parla di grafite da noi, questi sono elettrodi in grafite e lo scarto inevitabile della produzione degli elettrodi di grafite è questa polvere, che viene recuperata dagli impianti di aerazione delle fabbriche. Noi recuperiamo questa polvere e abbiamo creato un nuovo materiale. Questo è un granulo che è fatto con l’80% di questo scarto. Questo nuovo materiale, che viene da economia circolare, ci ha dato accesso ad un processo produttivo innovativo per la produzione di una matita, che non usa legno e non usa colla per quanto riguardo l’aggancio della gomma, ma soprattutto chi la usa consuma 15 grammi di polvere di grafite, portandole via dalla discarica. Solo con lei, risparmiamo 60.000 alberi all’anno, perché molti magari non pensano che il legno delle matite tradizionali non è altro che packaging della grafite che è fragile e sporca le mani.

Cristina: Con la grafite hai fatto altro?

Susanna Martucci: Si chiaramente ci siamo innamorati di questo materiale che in questo altro caso partiamo sempre da polvere di grafite ma viene bagnato con l’acqua. Questo ci ha dato accesso ad un nuovo processo produttivo per la tintura dei tessuti. I ragazzi riescono a tingere vari materiali, la lana, denim, seta o il cotone organico ma in maniera totalmente atossica. Adesso vi porto nel mondo che parla di plastica riciclata, tante cose si possono fare: righelli per la scuola, custodie per i vinili, che vengono tutte da bottiglie post-consumo quindi da raccolta differenziata.

Cristina: Vedete quanto nasce da fantasia e determinazione? Questi puzzle per bambini sono recuperati da uno stand fieristico, così queste borse. Non abbiamo il tempo di raccontarvelo ma questo è sempre grafite e sughero riciclato. Questi sono sacchi di caffè trasformati insieme anche a sfridi della produzione del pellame. Pensate che l’attività di Susanna adempie a ben 6 dei 17 SDG, gli obiettivi di sviluppo sostenibile, in particolare il 8, 9, 10, 12, 15, e 17. Occhio al futuro!

In onda il 29-2-2020

Econyl, il filato di nylon rigenerato

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L’industria tessile nel suo insieme è tra i più grandi inquinatori. Però, c’è chi sta invertendo questo impatto da negativo a positivo: Aquafil, con il suo filato Econyl, produce fibre da rifiuti scarti e nuovi materiali attraverso azioni concrete di rispetto per l’economia la società e l’ambiente, lungo tutta la filiera.

Cristina: Sappiamo che l’industria tessile nel suo insieme è tra i più grandi inquinatori. Però, c’è chi sta invertendo l’impatto da negativo a positivo producendo fibre tessili da scarti, rifiuti e nuovi materiali. In quest’azienda le fabbriche sono alimentate al 100% da energie rinnovabili, si usa acqua a ciclo chiuso in ogni fase di lavorazione. Sono stati avviati protocolli ambientali lungo tutta la filiera, e attivati progetti educativi in azienda per i dipendenti e nelle scuole. Si fa ricerca su nuovi materiali da biomassa, ogni anno si riducono le emissioni di gas serra, si promuovono programmi per la tutela dei mari e per tutti i prodotti si fa l’analisi del ciclo di vita. Queste azioni, nel loro insieme, adempiono alle indicazioni di ben 8 dei 17 SDG – gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU! Per ogni 10.000 tonnellate di materia prima da processo di riciclo si risparmiano 70.000 barili di petrolio e l’equivalente di 57.100 tonnellate di CO2.
Oggi vi mostriamo come vengono trasformate le reti da pesca, insieme ad altri rifiuti di nylon. Nel 2018 sono stati recuperati 78 tonnellate da ONG che operano in tutta Europa. Una volta pulite, le reti vengono trasformate chimicamente, poi il liquido diventa polimero, e il polimero si trasforma in filo. Il risultato è che sempre più filati derivano da un processo di rigenerazione. Per diventare tappeti, occhiali, borse, abiti, costumi da bagno.
Dottor Bonazzi, si può immaginare di rispondere alla richiesta di mercato di nylon solo con materiali di recupero e di riciclo?

Giulio Bonazzi: No, purtroppo no, neanche si potesse recuperare tutto il nylon, non sarebbe mai sufficiente per garantire le necessità future. Oltre a ciò è importante capire che riciclare ha un suo impatto ambientale, noi cerchiamo di farlo al meglio, ma è importante capire come si ricicla e come ridurre al massimo l’impatto durante il ciclo.

Cristina: Che cosa significa per lei innovare? Come cittadino e come imprenditore?

Giulio Bonazzi: Innovare per me significa smettere qualcosa di vecchio per fare qualcosa di nuovo. Ad esempio bisogna ricordarsi che prima di riciclare bisogna ridurre le materie prime, riusare e poi riciclare.

Cristina: Avete già pronta una nuova famiglia di materiali?

Giulio Bonazzi: Si l’abbiamo, vogliamo produrre il nylon da fonti rinnovabili ossia da biomasse, anzi abbiamo già prodotto i primi chili.

Cristina: Che differenza c’è tra il filo derivato dal petrolio, da riciclo e da biomassa?

Giulio Bonazzi: Nessuna, i tre prodotti sono perfettamente identici ma fa una grande differenza per l’ambiente. È un bell’esempio di economia circolare.

Cristina: Grazie Dottor Bonazzi. Occhio al futuro!

In onda il 18-1-2020

Broken Nature – la Triennale di Paola Antonelli

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Paola Antonelli è la più grande fonte d’ispirazione per colmare il divario tra ciò che sappiamo e come viviamo. Broken Nature presenta una moltitudine di idee e soluzioni per diventare cittadini rigenerativi del nostro bel Pianeta. La speranza è che visitiate la Triennale tante volte, ma per chi non verrà a Milano entro l’1 settembre, brokennature.org è una fonte da consultare (anche per chi visiterà la mostra!). Grazie Paola per la tua visione e per la tenacia.

Cristina: Siamo alla Triennale di Milano, Broken Nature, un mostra internazionale e interdisciplinare che durerà fino al 1 di Settembre, che indaga il nostro rapporto con i sistemi naturali, la società umana, con il modo di vivere, produrre e consumare. É curata da una grande italiana, Paola Antonelli, che per l’occasione  è stata prestata dal MoMA di New York.  L’essenza di Broken Nature, cosa vuoi che gli spettatori si portino a casa?

Paola Antonelli: Vorrei che si portassero a casa il fatto che per essere responsabili, per vivere in modo sostenibile, per attivare questo atteggiamento ricostituente, non bisogna sacrificare l’estetica o il piacere, la sensualità o l’eleganza.

Cristina: Spesso gli individui si sentono troppo piccoli per poter avere un impatto. Tu come la vedi?

Paola: Non la vedo così, perché non possiamo contare soltanto sui governi, le istituzioni e arrenderci al nostro destino. Abbiamo un potere enorme che proviene anche dai social media, una persona poi diventa un gruppo, una tribù, una comunità e dopo di che se i governi vogliono avere qualsiasi efficacia devono seguire anche quello che vuole il pubblico.

Cristina: Qual’è il tempo ideale da trascorrere in questa mostra per tornare a casa veramente più nutriti?

Paola: Direi che almeno tre quarti d’ora, un’ora ce li devi mettere. Spero che tanti bambini vengano e che siano ispirati perché alla fin fine il design tra una quarantina di anni andrà come la fisica, ci sarà il design teorico e quello applicato e si trasmetteranno conoscenze a vicenda.

Cristina: E l’aspetto sociale come lo hai declinato?

Paola: Per esempio […] pensò a questo recupero di mais di speci che erano andate perdute e poi usare le barbe e la parte esterna della pannocchia per fare un’intarsio. Anche semplicemente quest’attività che il design può fare per recuperare cultura materiale che si è persa, c’è un grandissimo esempio anche di come si può utilizzare la comunità.

Cristina: Come definisci il designer del XXI secolo?

Paola: Tantissime possibilità di espressione. Per cominciare ci sono i mobili, ovviamente ci sono le auto, ci sono anche i materiali. Ci sono dei designer che progettano scenari o cercano di mostrarci quali potrebbero essere le conseguenze future delle nostre scelte di oggi. Ci sono designer di interfacce che sono per esempio lo schermo e l’interazione del bancomat. Ci sono designer che fanno bio-design, quindi si occupano anche di organismi viventi o progettano con organismi viventi. Neri Oxman e Mediated Matter Group stanno ispirando una generazione di designer che imparano a lavorare con la natura per fare oggetti ed edifici che crescono invece di essere disegnati dall’esterno. Skylar sta lavorando il governo delle Maldive per fermare l’erosione delle spiagge. Stanno tutti lavorando e avendo un grande impatto. Sono molto fiera di tutti.

Cristina: Grazie Paola. Non perdete Broken Nature.

In onda 6-4-2019