Skip to main content
Category

sdg 11

Broken Nature – la Triennale di Paola Antonelli

By ecology, sdg 1, sdg 10, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 14, sdg 15, sdg 16, sdg 17, sdg 2, sdg 3, sdg 4, sdg 5, sdg 6, sdg 7, sdg 8, sdg 9

Paola Antonelli è la più grande fonte d’ispirazione per colmare il divario tra ciò che sappiamo e come viviamo. Broken Nature presenta una moltitudine di idee e soluzioni per diventare cittadini rigenerativi del nostro bel Pianeta. La speranza è che visitiate la Triennale tante volte, ma per chi non verrà a Milano entro l’1 settembre, brokennature.org è una fonte da consultare (anche per chi visiterà la mostra!). Grazie Paola per la tua visione e per la tenacia.

Cristina: Siamo alla Triennale di Milano, Broken Nature, un mostra internazionale e interdisciplinare che durerà fino al 1 di Settembre, che indaga il nostro rapporto con i sistemi naturali, la società umana, con il modo di vivere, produrre e consumare. É curata da una grande italiana, Paola Antonelli, che per l’occasione  è stata prestata dal MoMA di New York.  L’essenza di Broken Nature, cosa vuoi che gli spettatori si portino a casa?

Paola Antonelli: Vorrei che si portassero a casa il fatto che per essere responsabili, per vivere in modo sostenibile, per attivare questo atteggiamento ricostituente, non bisogna sacrificare l’estetica o il piacere, la sensualità o l’eleganza.

Cristina: Spesso gli individui si sentono troppo piccoli per poter avere un impatto. Tu come la vedi?

Paola: Non la vedo così, perché non possiamo contare soltanto sui governi, le istituzioni e arrenderci al nostro destino. Abbiamo un potere enorme che proviene anche dai social media, una persona poi diventa un gruppo, una tribù, una comunità e dopo di che se i governi vogliono avere qualsiasi efficacia devono seguire anche quello che vuole il pubblico.

Cristina: Qual’è il tempo ideale da trascorrere in questa mostra per tornare a casa veramente più nutriti?

Paola: Direi che almeno tre quarti d’ora, un’ora ce li devi mettere. Spero che tanti bambini vengano e che siano ispirati perché alla fin fine il design tra una quarantina di anni andrà come la fisica, ci sarà il design teorico e quello applicato e si trasmetteranno conoscenze a vicenda.

Cristina: E l’aspetto sociale come lo hai declinato?

Paola: Per esempio […] pensò a questo recupero di mais di speci che erano andate perdute e poi usare le barbe e la parte esterna della pannocchia per fare un’intarsio. Anche semplicemente quest’attività che il design può fare per recuperare cultura materiale che si è persa, c’è un grandissimo esempio anche di come si può utilizzare la comunità.

Cristina: Come definisci il designer del XXI secolo?

Paola: Tantissime possibilità di espressione. Per cominciare ci sono i mobili, ovviamente ci sono le auto, ci sono anche i materiali. Ci sono dei designer che progettano scenari o cercano di mostrarci quali potrebbero essere le conseguenze future delle nostre scelte di oggi. Ci sono designer di interfacce che sono per esempio lo schermo e l’interazione del bancomat. Ci sono designer che fanno bio-design, quindi si occupano anche di organismi viventi o progettano con organismi viventi. Neri Oxman e Mediated Matter Group stanno ispirando una generazione di designer che imparano a lavorare con la natura per fare oggetti ed edifici che crescono invece di essere disegnati dall’esterno. Skylar sta lavorando il governo delle Maldive per fermare l’erosione delle spiagge. Stanno tutti lavorando e avendo un grande impatto. Sono molto fiera di tutti.

Cristina: Grazie Paola. Non perdete Broken Nature.

In onda 6-4-2019

Il potere della spazzatura

By ecology, fashion, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 14, sdg 15, sdg 17, sdg 7, sdg 9, technology

Arthur Huang, architetto, ingegnere e CEO di Miniwiz, parla dei suoi processi e impianti per usare la risorsa più abbondate che abbiamo: la spazzatura! La macchina portatile Trashpresso, alimentata da energia solare, è stata a Milano nel Parco Sempione durante il Salone Internazionale del Mobile 2018.

PARTE I

Cristina: Oggi vi presentiamo un ingegnere che progetta impianti per la raccolta e la trasformazione dei rifiuti e pensate che ha ingegnerizzato 1200 nuovi materiali. Arthur, qual è il potere della spazzatura?

Arthur Huang: Oggi è la risorsa più abbondante. È ovunque, nei nostri oceani, nell’acqua potabile, perfino nei ghiacciai a 4.900 metri. Questa risorsa è in costante aumento e credo che dobbiamo occuparcene in modo da poter alimentare un nuovo modo di fare design e cambiare il nostro stile di vita in positivo.

Cristina: Tu te ne stai occupando. Quanti impianti avete progettato?

Arthur Huang: Abbiamo ingegnerizzato circa 1.200 nuovi processi che a loro volta, possono essere suddivisi in quattro grandi categorie di macchinari che separano e trasformano la spazzatura che buttiamo tutti i giorni, dagli imballaggi, ai bicchieri e bottiglie in plastica, fino agli scarti tessili. Attraverso i trattamenti differenziati siamo in grado di ottenere una vasta moltitudine di materiali pre-lavorati, che successivamente possono essere utilizzati in edilizia o per altre categorie di prodotto.

Cristina: Indossi alcuni dei tuoi nuovi materiali, puoi indicarmeli?

Arthur Huang: Questa giacca è monomateriale, senza collanti aggiuntivi, fatta di bottiglie di plastica. I pantaloni anche, sono fatti al 100 percento da bottiglie di plastica, ma al tatto sembrano lana. Le scarpe anche sono in PET riciclato. Perfino i bottoni, gli occhiali e il cinturino dell’orologio sono realizzati con mozziconi di sigaretta. Questo bottone è stato fatto con quattro mozziconi raccolti in Svizzera e in Italia e stiamo creando una nuova generazione di bottoni e altri accessori. Questi sono gli occhiali da sole..

Cristina: Quanta energia si consuma per depurare le tossine da questi materiali?

Arthur Huang: È molto più facile di quanto si creda, è per questo che abbiamo creato un macchinario portatile, per dimostrare in realtà quanta poca energia serva. Tutti i processi del macchinario sono alimentati dall’energia solare, l’aria e l’acqua vengono filtrate in un sistema interno chiuso. Si ha un risparmio energetico pari al 90%, rispetto alla materia vergine proveniente dai fondali oceanici, che viene prelevato sotto forma di petrolio e poi trasformato.

Cristina: Quindi non rimangono tossine nel bottone di mozziconi?

Arthur Huang: Abbiamo fatto dei test – non rimangono tossine nei mozziconi dopo il processo. La macchina cattura tutti i fumi in un sistema chiuso di ricircolo interno.

In onda 1-12-2018

PARTE II

Cristina: Leggiamo sui giornali che c’è più materia prima seconda di quella richiesta sul mercato, è una situazione critica e gli stoccaggi di queste materie vengono addirittura bruciati. Il tuo sistema e la tua strategia, come possono avere un impatto a livello globale?

Arthur Huang: Innanzitutto, la maggior parte dei nostri sistemi sono progettati per essere portatili. Credo che sia molto importante poter avvicinare la tecnologia di trasformazione il più possibile alla fonte di spazzatura. Uno dei maggiori problemi oggi del processo di riciclo è la contaminazione. Una volta che avviene, la materia perde di valore e la lavorazione diventa molto costosa e addirittura più dannosa per l’ambiente. Il vantaggio di raccogliere e trasformare i rifiuti in loco è di rendere la materia prima seconda disponibile in situ a ingegneri e designer.

Cristina: Nella tua esperienza quali sono gli anelli mancanti per poter fruire di queste competenze, intelligenza e soluzioni?

Arthur Huang: Il primo anello mancante è il processo di riciclo in sé. Bisogna sapere come separare i rifiuti. Questa è la prima questione. Di tutti i materiali da riciclo disponibili, qualsiasi sia la percentuale di raccolta, meno del 2 percento viene trasformato in un nuovo materiale. Dopo la raccolta differenziata corretta, bisogna sapere come lavorare i rifiuti. Servono tantissimi dati per avviare il processo, anche a seconda dell’utilizzo finale. Verrà utilizzato per fare scarpe? Una sedia, o un palazzo? Hanno specifiche diverse. Noi adesso stiamo lavorando anche sui dati. Stiamo avviando un database aperto a tutti con 1.200 nuovi materiali, frutto del nostro lavoro degli ultimi 15 anni, così che le istituzioni lo possano utilizzare come strumento educativo per giovani designer ed ingegneri, affinché prendano confidenza con questi processi. Stiamo cercando di rendere il sistema circolare.

Cristina: Qual’è il tuo sogno?

Arthur Huang: Il nostro sogno adesso è di costruire un aereo fatto interamente di spazzatura. Abbiamo comprato un vecchio aereo in Germania e l’abbiamo spedito a Taiwan, dove stiamo inventando o meglio, cercando un nuovo processo per costruire l’ala, fatta in PET riciclato.

In onda 8-12-2018

Fabbriche d’aria

By ecology, sdg 11, sdg 13, sdg 3, sdg 9, technology

Il Prof. Stefano Mancuso dell’Università di Firenze, esperto di neurobiologia delle piante, ci parla di un progetto che aiuterebbe chi vive in città a respirare meglio!

Cristina: Parliamo tanto di ridurre l’inquinamento e intanto inquiniamo, mentre non c’è abbastanza attenzione sulla depurazione.

Stefano Mancuso: L’unica cosa che riesce ad eliminare l’inquinamento atmosferico sono le piante. Le piante quindi dovrebbero stare nelle città, nella quantità più alta possibile. Più ne mettiamo, meglio è. Non soltanto nei viali o nei parchi ecc, ma veramente coprire le città di piante e anche in queste condizioni potrebbe non bastare.

Cristina: Voi avete sviluppato un progetto..

Stefano Mancuso: Il progetto che abbiamo chiamato Fabbrica dell’Aria, prevede l’utilizzo di ex-edifici industriali dismessi, da trasformare in delle enormi serre. Devi immaginare un edificio come un cubo in cui all’interno ci sono tanti cilindri. Ogni cilindro è fatto di vetro o cristallo, o di un materiale trasparente, all’interno del quale ci stanno queste piante, diversi strati di piante e l’aria è costretta a passare attraverso tutti questi cilindri.

Cristina: L’aria entra inquinata ed esce..

Stefano Mancuso: E quando esce è completamente purificata. Attualmente stiamo cercando di rendere realizzabile questo progetto nella città di Prato. Prato è una città che, se non erro, dovrebbe essere intorno ai 150 o 200.000 abitanti e avrà necessità per purificare l’intera quantità di aria della città, di quattro di questi edifici. Quindi anche da un punto di vista, non solo funzionale, ma estetico, saranno dei luoghi molto belli. Non bisogna appunto immaginarli come dei depuratori, bisogna immaginarli come degli edifici che contemporaneamente sono in grado di depurare l’aria di una città, ma allo stesso tempo sono dei luoghi che si potranno vivere. Le persone dovranno entrare in questi luoghi, questi luoghi dovranno poter essere luoghi di socializzazione, quello che vuoi! Delle librerie, dei bar, dei ristoranti, di tutto. La qualità dell’aria è talmente buona che addirittura la carica batterica viene abbassata, quindi è un’aria più pura in tutti i sensi.

Cristina: Salgono le endorfine, e tutti quegli ormoni che ci fanno stare bene e quindi non solo fa bene alle città, non solo fa bene all’aria, ma fa bene anche a noi. Che meraviglia, grazie Stefano. Occhio al futuro

In onda 27-10-2018

La zeolite di ZeoVertical

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 15, sdg 2, sdg 3, sdg 6, sdg 9, technology

ZeoVertical è un sistema di coltivazione verticale che utilizza la zeolite al posto del terriccio. La zeolite è un minerale di origine vulcanica, in grado di trattenere l’acqua e favorire una forte ossigenazione delle radici, oltre a migliorare il meccanismo di assorbimento della nutrizione delle piante.

Cristina: I sistemi attuali di produzione e distribuzione di cibo vanno riprogettati, la popolazione mondiale in crescita, sempre più concentrata nelle città, le risorse naturali più scarse anche dal punto di vista qualitativo. Buongiorno Roberto, voi che soluzione avete progettato?

Roberto: Noi proponiamo un sistema di coltivazione verticale dove all’interno dei coltivatori c’è la zeolite. Il sistema di coltivazione ci consente di risparmiare acqua, risparmiare energia e di produrre di più con maggiore qualità.

Cristina: Questo tutto grazie proprio alla zeolite che è il minerale più presente nelle terri vulcaniche giusto?

Roberto: Si, il sistema è molto semplice. Prende acqua da una cisterna, l’acqua viene immessa in un circuito idraulico, il coltivatore viene irrigato e il sistema recupera addirittura anche l’acqua, abbiamo un notevolissimo risparmio idrico grazie ad un sistema di irrigazione intelligente che abbiamo progettato e grazie a dei sensori che vengono a interrogare da questo sistema, riusciamo a capire quando la pianta ha realmente bisogno di bere.

Cristina: E grazie alla zeolite beve meno, giusto?

Roberto: Beve molto meno, abbiamo un risparmio idrico che va oltre il 90 percento.

Cristina: Ha bisogno però di corrente elettrica?

Roberto: Ha bisogno di pochissima corrente elettrica e addirittura noi ci facciamo aiutare dall’energia rinnovabile.

Cristina: Grazie Roberto. E tu Vittorio cosa mi racconti della zeolite?

Vittorio: Cristina pensa che abbiamo fatto dei test estremi, abbiamo lasciato delle piante per quattro mesi senz’acqua nella zeolite e sono rinate tranquillamente appena irrigate. Poi, oltre a questo la zeolite chimicamente favorisce lo scambio cationico che è il meccanismo con il quale le piante si nutrono normalmente. La zeolite ha una grandissima capacità di scambio perché la sua superficie non solo è piena di microporosità, ma anche al suo interno ce ne sono tantissime, come una pallina di golf in cui ci sono tante cave in cui si incastrano molecole d’acqua fertilizzate e anche di aria. Oltre a questo la zeolite già di fatto è un fertilizzante perché è ricca di calcio e di magnesio. Il nostro obiettivo principale è stato quello di realizzare un sistema che potesse essere utilizzato per la coltura domestica, quindi l’orto sul balcone, facile da usare e che permettesse anche di coltivare un ortaggio di qualità, anche molto salubre. Poi ci siamo resi conto che la richiesta è arrivata più dall’industria e questo ci ha anche un po’ meravigliati. QUindi in questo momento siamo focalizzati in un sistema industriale, modulare, che abbia le stesse caratteristiche ma che riesca a migliorare quelli che sono i fabbisogni del mercato.

Cristina: Come si traduce poi nel sapore di quello che cresce?

Vittorio: La nostra zeolite in particolare ha un’alta capacità di cabasite e phillipsite, questo tipo di zeolite ci permette di ottenere i risultati che vogliamo, quindi un incremento del gusto e della qualità.

Cristina: Non è più tempo per poche soluzioni che soddisfano i bisogni, soprattutto dal punto di vista del cibo e dell’energia, di tante persone. Abbiamo molte opportunità da esplorare. Occhio al futuro.

La tecnologia satellitare che riduce gli sprechi idrici

By ecology, sdg 11, sdg 13, sdg 6, sdg 9, technology

La media nazionale delle perdite idriche è del 39,1%. Il Responsabile Acquedotto di HERA, l’Ing. Emidio Castelli, ci spiega come la tecnologia satellitare può ridurre notevolmente questa percentuale nel nosto paese.

Cristina: La rete idrica italiana perde quasi il 40% della sua portata, oggi ci occupiamo di questo e di qualche soluzione. Voi avete circa il 10% in meno rispetto alla media nazionale di perdite nella rete idrica. Come avete conseguito questo risultato?

Emidio Castelli: Investendo e ragionando su diverse tecnologie che possono aiutare a ridurre le perdite. Dalle tecnologie di telecontrollo di porzioni di rete a sistemi acustici per individuare possibili perdite di rete sul campo e recentemente anche con l’introduzione di sistemi satellitari e monitoraggio del terreno. Si tratta di un sistema che fa un analisi spettrometrica del terreno, individuando possibili punti con presenza di acqua, correlate attraverso un algoritmo con la nostra rete acquedottistica, ci individua delle zone dove potrebbero esserci delle perdite

Cristina: Quante perdite avete identificato e riparato?

Emidio Castelli: Negli ultimi tre anni abbiamo individuato 2.400 perdite circa, e 214 di queste attraverso la tecnologia satellitare. Si tratta di perdite occulte che possono avere poca dispersione, ma prolungata nel tempo. L’attività svolta ci ha consentito di recuperare circa 750.000 metri cubi di acqua, l’equivalente di circa 450 milioni di bottiglie d’acqua.

Cristina: Sulla gestione della rete fognaria qual è la visione?

Emidio Castelli: Il servizio idrico è un servizio integrato che parte dalla potabilizzazione dell’acqua per portare l’acqua nelle case dei cittadini fino al riutilizzo delle acque da sistemi di fognatura e depurazione. Bisogna sempre più ragionare con quelli che possono essere strumenti di riutilizzo, anche diretto, delle acque e avere una visione di economia circolare della risorsa idrica.

Cristina: Diciamo che purtroppo non è né prodotta né distribuita in maniera l’acqua. Ci sono certe zone che ne hanno tantissima e altre zone che sono aride.

Emidio Castelli: È importante lavorare investendo, sia nelle interconnessioni delle reti, ovvero quello di mettere in comunicazione reti e acquedotti diversi, sia lavorare sulla realizzazione di bacini di accumulo che acconsentano di poter avere l’acqua accumulare la quando dove non ce n’è bisogno, per poterla ridistribuire quando c’è una criticità idrica.

Cristina: A partire dall’accumulo sui tetti delle case ad esempio..

Emidio Castelli: Anche a livello domestico, utilizziamo l’acqua potabile per degli usi che delle volte non sono prettamente necessari.

Cristina: Grazie. Torniamo a recuperare l’acqua come la usavano i nostri nonni e usiamola con responsabilità. Occhio al futuro

In onda 6-10-2018

La depurazione di Captive Systems

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 15, sdg 3, sdg 6, sdg 9, technology

Captive Systems, uno spin-off del Politecnico di Milano, produce materiali ferromagnetici utilizzati per la depurazione

Cristina: Oggi vi parliamo di un sistema per depurare gli inquinanti nell’acqua. Buongiorno Gianni, di che cosa si tratta?

Gianni Franzosi: Si tratta di microspugne, funzionalizzate con delle microparticelle in grado di poter captare l’inquinante all’interno di ogni soluzione. Queste nanospugne sviluppano una superficie assorbente molto importante, basta pensare che in due grammi di prodotto si sviluppa una superficie pari ad un campo da calcio. Vengono introdotte all’interno di una soluzione inquinata, le particelle agiscono assieme all’inquinante e possono essere estratte tramite un magnete.

Cristina: Quindi devono comunque passare per un filtro oppure un bacino?

Gianni Franzosi: Una semplice calamita è in grado di poterle attrarre ed estrarre dal liquido, a questo punto avremo l’acqua completamente depurata e gli inquinanti tutti aggregati alle particelle, che a loro volta possono essere recuperate ed usate come materie prime in successivi cicli di produzione e l’acqua invece utilizzata per usi comuni.

Cristina: Quindi si riciclano anche gli inquinanti?

Gianni Franzosi: Assolutamente si, in una sorta di economia circolare.

Cristina: Immaginiamo quindi di depurare una falda inquinata, e ce ne sono tante..

Gianni Franzosi: Purtroppo si. È banale, l’acqua è munta dalla falda, può passare all’interno di un filtro, questo filtro è addittivato con queste particelle. La parte inquinante si blocca all’interno del filtro e l’acqua depurata continua.

Cristina: Questo riguarda i metalli..

Gianni Franzosi: Si, la caratteristica delle particelle è che sono personalizzabili. Il nucleo centrale è sempre un nucleo magnetizzabile, il rivestimento attorno invece lo si può adeguare alla situazione dell’ambiente che abbiamo. Se abbiamo un ambiente ricco di idrocarburi la funzionalizzeremo per gli idrocarburi, in uno ricco di metallo per i metalli e così dicendo.

Cristina: E gli antibiotici e pesticidi che inquinano molte falde?

Gianni Franzosi: Senza alcune problema, assolutamente si.

Cristina: Rispetto ai sistemi di depurazione negli impianti industriali quale innovazione avete?

Gianni Franzosi: Il grande vantaggio è quello di poter comprimere in spazi molto piccoli tutto il set di depurazione, sfruttando quella che è la superficie assorbente delle particelle.

Cristina: Come nasce questa startup?

Gianni Franzosi: La startup è nata grazie alla sinergia tra la ricerca del Politecnico di Milano e l’industria.

Cristina: Grazie Gianni. È confortante sapere che gli inquinanti invisibili e minacciosi abbiano sempre più nemici. Arruoliamoli con audacia. Occhio al futuro

In onda 26-5-2018

La pittura purificante di Airlite

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 3, sdg 9

Airlite ha sviluppato una pittura che purifica l’aria e può essere utilizzata sia in interni che esterni. Neutralizza gli odori, i batteri e previene le muffe. Respinge la polvere e lo sporco e riduce l’inquinamento atmosferico.

Cristina: Non stiamo tutti meglio quando l’aria è leggera? Oggi vi raccontiamo di una tecnologia che ci consente di respirare meglio. Buongiorno Massimo, di che si tratta?

Massimo Bernardoni: È una pittura che contiene varie tecnologie. Riesce a purificare l’aria, riesce ad eliminare i batteri dalla superficie, le muffe, rimane più pulita nel tempo ed elimina anche gli odori. Noi eliminiamo gli inquinanti trasformandoli in sali, questa è una nanotecnologia, e poi ci sono altre tecnologie che non sono nano, che eliminano i batteri, le muffe ed eliminano la possibilità di sporcarsi le pareti con lo smog.

Cristina: Quindi i famosi baffi del calorifero?

Massimo Bernardoni: I famosi baffi dei caloriferi, gli angoli scuri… chiaramente nel tempo noi siamo molto più performanti.

Cristina: È completamente a base di minerali? Sono sostanze di origine petrolifera?

Massimo Bernardoni: Non abbiamo sostanze di origine petrolifera, è minerale, tant’è vero che quando si applica non ha odore.

Antonio Cianci: Con questa tecnologia dipingere una strada di 150 metri, a destra e a sinistra, equivale a piantare un bosco grande come un campo da calcio. Questo perché 12 metri riescono a ridurre l’inquinamento prodotto in un giorno da un’automobile.

Cristina: Assorbe anche particolato?

Antonio Cianci: In modo indiretto. Il particolato è generato dagli ossidi di azoto per sintesi fotochimica, noi ne abbassiamo i livelli e lo riduciamo in modo sensibilmente notevole.

Cristina: Ha anche la capacità di abbattere i consumi energetici. In che modo?

Antonio Cianci: Abbiamo la meravigliosa capacità di riflettere la componente calda della luce solare, quindi dipingendo la parete con questo prodotto si riesce a ridurre fino a 30 gradi la temperature in superficie. In questo modo minor calore passa all’interno e ho meno bisogno di usare riscaldamento o raffreddamento per condizionare la nostra stanza.

Cristina: Invece internamente avete una tecnologia che lavora quasi all’opposto? Creando una sorta di manto protettivo ma traspirante?

Antonio Cianci: La pittura è traspirante, permette quindi il passaggio di tutte le componenti senza creare ristagno e quelle brutte bolle che portano le muffe all’interno delle abitazioni, condizionando in effetti la stanza in modo naturale.

Cristina: In quanti colori esiste questa pittura?

Antonio Cianci: 180 colori. Devo dire che architettonicamente ha una resa molto bella, simile a quelle delle pitture decorative, permette anche finiture di lusso.

Cristina: Cosa succede quando metti insieme due italiani ingegnosi, uno più tecnico, l’altro più imprenditoriale, giovani nello spirito ma con esperienza? Spaccano.

In onda 5-5-2018

Quakebots, monitoraggio sismico

By sdg 11, sdg 9, technology

Capire quanto è vulnerabile un edificio è di particolare importanza in italia essendo, il nostro, il paese più sismico d’Europa. Oggi vi parliamo di Quakebots, un nuovo sistema di rilevamento e diagnosi.

Cristina: Il sistema Quakebots è un sistema di monitoraggio sismico negli edifici che utilizza la tecnologia IoT per monitorare come l’edificio reagisce alle sollecitazioni sismiche. E da quelle sollecitazioni, utilizzando l’intelligenza artificiale, noi creiamo mappe di classificazione che possono far comprendere quali edifici possono essere più vulnerabili. Speriamo che sistemi di prevenzione come questo si diffondano rapidamente in Italia, perché ce n’è veramente tanto bisogno. Immagino che anche i microsismi stressino un edificio, è così?

Gianni Franzosi:  Si assolutamente, ma anche l’attività antropica, il traffico stradale, quello ferroviario, le metropolitane, i lavori interni che vengono fatti negli edifici. Il sistema è in grado di registrare tutte queste vibrazioni e dar un’informazione dello stress che subisce l’edificio.

Cristina: Il vostro sistema consente di capire quando è il momento di intervenire in maniera preventiva su un edificio?

Gianni Franzosi:  Esatto, il sistema serve per la prevenzione. I dati possono essere usati da ingegneri e architetti per le fasi di adeguamento sismico, ma non è soltanto questo. In Italia abbiamo 7 milioni di edifici in aree ad elevato e medio rischio sismico che sono stati costruiti prima degli anni 70.

Cristina: Nella pratica, voi cosa fate? Installate i sensori?

Gianni Franzosi:  Noi installiamo i sensori all’interno degli edifici, su un muro portante e da quel momento inizia ad utilizzare la rete wifi per comunicare informazioni al sistema in cloud. Tutti i sistemi lavorano in rete, quindi i dati che arrivano da un sistema vengono utilizzati per creare valore agli altri edifici.

Cristina: Quindi serve sia per l’individuo che per fare azioni sul territorio?

Gianni Franzosi:  Si esatto. Azioni sul territorio, ovvero comprendere come il territorio si muove, come gli edifici si muovono durante un evento sismico.

Cristina: Avete già installato un certo numero di sensori?

Gianni Franzosi:  Attualmente abbiamo quasi un centinaio di edifici sotto monitoraggio in varie regioni d’Italia, in Calabria, Umbria e altre regioni e stiamo continuando a crescere.

Cristina: Com’è nata questa storia?

Gianni Franzosi:  È nata in maniere un po’ particolare. Nel 2009 ero responsabile del servizio di supporto al 118 dell’Abruzzo. Il giorno del terremoto alle 6 del mattino, venimmo contattati che dovevano evacuare l’ospedale. Prendemmo tutto quello che avevamo in ufficio – server, postazioni – e andammo su, a L’Aquila e nell’arco di alcune ore abbiamo ricostruito una centrale 118, consentendo al servizio di operare nuovamente. Ho visto la devastazione, cos’era successo e nel mare di emozioni mi sono chiesto “quegli edifici, avranno dato dei segnali prima?”.

In onda 10-3-2018

I funghi di Mogu

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 13

La natura continua a sorprenderci – e quando a decifrare i suoi segreti sono menti aperte e creative, succedono cose molto interessanti. Come quella che vi raccontiamo oggi. Mogu (precedentemente Mycoplastha una storia che parte dalle radici dei funghi e finisce nelle nostre case.

CRISTINA: I cicli naturali si basano sulla trasformazione, la materia organica quando muore diventa cibo per il nuovo che nasce. Una nuova famiglia di materiali si ispira a questo principio. Buongiorno Maurizio, chi sono i genitori di questa famiglia che andremo a scoprire?

MAURIZIO MONTALTI: I capostipiti di questo processo sono due, da un lato abbiamo i funghi. In questo caso stiamo osservando un fungo che è commestibile, stiamo osservando quelli che si mettono anche in tavola, ma il nostro reale protagonista è la radice, il corpo radicale dei funghi, ovvero il micelio. Il micelio che osserviamo crescere sull’altro genitore, ovvero gli scarti. Scarti agricoli, scarti industriali, dalla filiera agroindustriale o del settore manifatturiero, in questo caso ad esempio diversi tipi di paglia. Questo è il luogo in cui avviene il processo di incontro tra fungo e scarto. Vediamo alcuni dei nostri collaboratori operare e disporre un materiale che è già stato fatto crescere precedentemente in alcuni stampi che daranno vita a un prodotto finito.

CRISTINA: E dopo questa fase cosa avviene?

MAURIZIO MONTALTI: Successivamente il prodotto viene fatto uscire dallo stampo e come step successivo si termina il processo di colonizzazione per altri 3-4 giorni. Una volta che questo processo è arrivato al termine e si è raggiunto il risultato desiderato, questo prodotto semi-finito viene processato meccanicamente. Il fugo è responsabile per la degradazione di tali materie naturalie allo stesso tempo agisce come colla naturale creando un’unica materia compatta.

CRISTINA: Quali prodotti state coltivando?

MAURIZIO MONTALTI: Piastrelle, pavimenti resilienti, piuttosto che elementi fonoassorbenti caratterizzati da alte performance di tipo tecnico.

CRISTINA: Questa, ad esempio, è una parete fonoassorbente, tattilmente straordinaria: molto morbida e bellissima da vedere. È stata progettata assieme al Politecnico di Milano. Queste sono bellissime da vedere e ancora una volta da toccare, potrebbero diventare piastrelle. Mentre queste sono già piastrelle. Il vantaggio della ricerca di questi giovani startupper è che unisce la componente estetica, funzionale ed ecologica, perché sono prodotti 100% fatti dalla natura e che potranno tornare in natura. Occhio al futuro.

La lana Sarda che ripulisce il mare dagli idrocarburi

By ecology, sdg 11, sdg 12, sdg 13, sdg 14, sdg 3, sdg 9

Vedere una spugna assorbire un liquido ci affascina. Ora immaginate che la spugna sia ricavata da scarti industriali, addirittura rifiuti speciali, e il liquido in questione sia acqua di mare inquinata da idrocarburi. Ma non finisce qui perché la spugna contiene anche dei microrganismi in grado di digerire gli oli restituendo acqua pulita. Da questa intuizione speciale dell’imprenditrice della blue economy Daniela Ducato nasce Geolana. Il diportista attento la troverà in molti porti e anche nelle sentine.

Cristina: Circa 150 milioni di persone vivono sulle coste del Mar Mediterraneo, scaricando in acqua rifiuti di ogni genere, da quelli industriali a quelli civili. Pensate che secondo le Nazioni Unite sono 100/150 mila tonnellate solo gli idrocarburi. Per fortuna c’è ci si occupa di questo con soluzioni innovative. Buongiorno Daniela, cos’è questo?

Daniela Ducato: E’ un tessuto di lana di pecora realizzato in industria con il pelo corto e che diventerebbe un rifiuto speciale smaltito a caro prezzo ambientale ed economico e invece noi lo trasformiamo in risorsa speciale.

Cristina: E lo vediamo lì?

Daniela Ducato: Esatto e non è decorativo. È un tessile che è stato creato a doc per catturare velocemente molti inquinanti, soprattutto gli oli e gli idrocarburi petrolchimici. E fatto in modo speciale per acchiappare, e quindi per ospitare, tutti quei microrganismi utili che sono in acqua e che hanno il compito di metabolizzare e digerire questi inquinanti restituendoci acqua pulita.

Cristina: Un kilo di lana quanto assorbe?

Daniela Ducato: Tra i 10 e i 14 kili quindi immaginiamo quanto può essere utile e importante creare una gestione sostenibile e responsabile dei porticcioli turistici con un elemento rinnovabile che finito di vivere ritorna a essere mare fecondo.

Cristina: La vostra soluzione si sta diffondendo facilmente nei porti e nei mari?

Daniela Ducato: Sì, per una volta non abbiamo il problema della burocrazia intricata, anzi c’è stata anche una velocità nelle pratiche. Siamo contenti di questa facilità e di questa consapevolezza anche nelle amministrazioni pubbliche. Chi naviga sa che anche in sentina, nel vano motore, si accumulano tanti inquinanti: oli, idrocarburi… Noi abbiamo trovato una soluzione mangia petrolioanche per questa problematica. Come vedete qui ci sono già diversi assorbitori, alcuni sono stati impregnati e stanno biodegradando gli idrocarburi, l’altro è appena stato messo e inizierà tra poco il suo lavoro di biodegradazione.

Cristina: Daniela, spieghi perché questa l’abbiamo al collo?

Daniela Ducato: L’abbiamo al collo e per fortuna non in mare, perché altrimenti vorrebbe dire un piccolo disastro: un grande versamento in mare. Serve proprio per gestire i versamenti visibili e inquinanti. E’ fatto sempre di lana, con un interno di sughero che consente il galleggiamento.

Cristina: La materia prima, la lavorazione e l’innovazione tecnologica sono al 100% sarde, speriamo che questa soluzione si sparga a macchia d’olio. Occhio al futuro!