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La zeolite di ZeoVertical

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ZeoVertical è un sistema di coltivazione verticale che utilizza la zeolite al posto del terriccio. La zeolite è un minerale di origine vulcanica, in grado di trattenere l’acqua e favorire una forte ossigenazione delle radici, oltre a migliorare il meccanismo di assorbimento della nutrizione delle piante.

Cristina: I sistemi attuali di produzione e distribuzione di cibo vanno riprogettati, la popolazione mondiale in crescita, sempre più concentrata nelle città, le risorse naturali più scarse anche dal punto di vista qualitativo. Buongiorno Roberto, voi che soluzione avete progettato?

Roberto: Noi proponiamo un sistema di coltivazione verticale dove all’interno dei coltivatori c’è la zeolite. Il sistema di coltivazione ci consente di risparmiare acqua, risparmiare energia e di produrre di più con maggiore qualità.

Cristina: Questo tutto grazie proprio alla zeolite che è il minerale più presente nelle terri vulcaniche giusto?

Roberto: Si, il sistema è molto semplice. Prende acqua da una cisterna, l’acqua viene immessa in un circuito idraulico, il coltivatore viene irrigato e il sistema recupera addirittura anche l’acqua, abbiamo un notevolissimo risparmio idrico grazie ad un sistema di irrigazione intelligente che abbiamo progettato e grazie a dei sensori che vengono a interrogare da questo sistema, riusciamo a capire quando la pianta ha realmente bisogno di bere.

Cristina: E grazie alla zeolite beve meno, giusto?

Roberto: Beve molto meno, abbiamo un risparmio idrico che va oltre il 90 percento.

Cristina: Ha bisogno però di corrente elettrica?

Roberto: Ha bisogno di pochissima corrente elettrica e addirittura noi ci facciamo aiutare dall’energia rinnovabile.

Cristina: Grazie Roberto. E tu Vittorio cosa mi racconti della zeolite?

Vittorio: Cristina pensa che abbiamo fatto dei test estremi, abbiamo lasciato delle piante per quattro mesi senz’acqua nella zeolite e sono rinate tranquillamente appena irrigate. Poi, oltre a questo la zeolite chimicamente favorisce lo scambio cationico che è il meccanismo con il quale le piante si nutrono normalmente. La zeolite ha una grandissima capacità di scambio perché la sua superficie non solo è piena di microporosità, ma anche al suo interno ce ne sono tantissime, come una pallina di golf in cui ci sono tante cave in cui si incastrano molecole d’acqua fertilizzate e anche di aria. Oltre a questo la zeolite già di fatto è un fertilizzante perché è ricca di calcio e di magnesio. Il nostro obiettivo principale è stato quello di realizzare un sistema che potesse essere utilizzato per la coltura domestica, quindi l’orto sul balcone, facile da usare e che permettesse anche di coltivare un ortaggio di qualità, anche molto salubre. Poi ci siamo resi conto che la richiesta è arrivata più dall’industria e questo ci ha anche un po’ meravigliati. QUindi in questo momento siamo focalizzati in un sistema industriale, modulare, che abbia le stesse caratteristiche ma che riesca a migliorare quelli che sono i fabbisogni del mercato.

Cristina: Come si traduce poi nel sapore di quello che cresce?

Vittorio: La nostra zeolite in particolare ha un’alta capacità di cabasite e phillipsite, questo tipo di zeolite ci permette di ottenere i risultati che vogliamo, quindi un incremento del gusto e della qualità.

Cristina: Non è più tempo per poche soluzioni che soddisfano i bisogni, soprattutto dal punto di vista del cibo e dell’energia, di tante persone. Abbiamo molte opportunità da esplorare. Occhio al futuro.

La tecnologia satellitare che riduce gli sprechi idrici

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La media nazionale delle perdite idriche è del 39,1%. Il Responsabile Acquedotto di HERA, l’Ing. Emidio Castelli, ci spiega come la tecnologia satellitare può ridurre notevolmente questa percentuale nel nosto paese.

Cristina: La rete idrica italiana perde quasi il 40% della sua portata, oggi ci occupiamo di questo e di qualche soluzione. Voi avete circa il 10% in meno rispetto alla media nazionale di perdite nella rete idrica. Come avete conseguito questo risultato?

Emidio Castelli: Investendo e ragionando su diverse tecnologie che possono aiutare a ridurre le perdite. Dalle tecnologie di telecontrollo di porzioni di rete a sistemi acustici per individuare possibili perdite di rete sul campo e recentemente anche con l’introduzione di sistemi satellitari e monitoraggio del terreno. Si tratta di un sistema che fa un analisi spettrometrica del terreno, individuando possibili punti con presenza di acqua, correlate attraverso un algoritmo con la nostra rete acquedottistica, ci individua delle zone dove potrebbero esserci delle perdite

Cristina: Quante perdite avete identificato e riparato?

Emidio Castelli: Negli ultimi tre anni abbiamo individuato 2.400 perdite circa, e 214 di queste attraverso la tecnologia satellitare. Si tratta di perdite occulte che possono avere poca dispersione, ma prolungata nel tempo. L’attività svolta ci ha consentito di recuperare circa 750.000 metri cubi di acqua, l’equivalente di circa 450 milioni di bottiglie d’acqua.

Cristina: Sulla gestione della rete fognaria qual è la visione?

Emidio Castelli: Il servizio idrico è un servizio integrato che parte dalla potabilizzazione dell’acqua per portare l’acqua nelle case dei cittadini fino al riutilizzo delle acque da sistemi di fognatura e depurazione. Bisogna sempre più ragionare con quelli che possono essere strumenti di riutilizzo, anche diretto, delle acque e avere una visione di economia circolare della risorsa idrica.

Cristina: Diciamo che purtroppo non è né prodotta né distribuita in maniera l’acqua. Ci sono certe zone che ne hanno tantissima e altre zone che sono aride.

Emidio Castelli: È importante lavorare investendo, sia nelle interconnessioni delle reti, ovvero quello di mettere in comunicazione reti e acquedotti diversi, sia lavorare sulla realizzazione di bacini di accumulo che acconsentano di poter avere l’acqua accumulare la quando dove non ce n’è bisogno, per poterla ridistribuire quando c’è una criticità idrica.

Cristina: A partire dall’accumulo sui tetti delle case ad esempio..

Emidio Castelli: Anche a livello domestico, utilizziamo l’acqua potabile per degli usi che delle volte non sono prettamente necessari.

Cristina: Grazie. Torniamo a recuperare l’acqua come la usavano i nostri nonni e usiamola con responsabilità. Occhio al futuro

In onda 6-10-2018

Un viaggio nel futuro con Cristina Pozzi

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Vi gira la testa quando pensate agli scenari del futuro di lavoro, società e famiglia? Ecco un breve viaggio con Cristina Pozzi, autrice di 2050. Guida (fu)turistica per viaggiatori nel tempo. Cristina è anche fondatrice di Impactscool, che porta nelle scuole e università italiane percorsi di formazione per essere pronti ai grandi cambiamenti in corso.

Cristina: Quali sono i cambiamenti che ci aspettano nei prossimi anni? Cristina tu sei imprenditrice sociale e scrittrice e hai fatto un viaggio nel futuro, che cosa hai visto?

Cristina Pozzi: Sicuramente il futuro che ho visto nel 2050 è un futuro dove cambia l’ambiente in cui noi viviamo perché il nostro pianeta, ahimè, per effetto del riscaldamento globale sarà soggetto a tantissimi cambiamenti, però anche lo stesso concetto di ad esempio famiglia, potrebbe essere messo in dubbio, cambiare, evolversi, per effetto di evoluzioni della genetica. Per esempio già oggi si possono fare figli con tre genitori andando ad utilizzare il materiale genetico di tutti e tre, si fa già in Inghilterra.

Cristina: E come faremo ad aumentare le nostre capacità cognitive?

Cristina Pozzi: Potremo farlo in tanti modi, sia dal punto di vista chimico con medicine che si stanno già studiando che possono aumentare la nostra attenzione ad esempio, si anche con le cosiddette neurotecnologie che invece possono essere veri e propri impianti tecnologici o caschetti da indossare che sono in grado di aumentare la nostra creatività

Cristina: E se non sono a portata di tutti come costi?

Cristina Pozzi: Potrebbero essere a beneficio solo di alcuni. Probabilmente non vogliamo vedere una società dove solo alcune persone possono essere più intelligenti, più di successo sul lavoro o avere accesso a determinate cure, più sani. Per chi non se lo può permettere potrebbero esserci scenari dove addirittura si può ottenere una tecnologia in cambio però di essere soggetti a pubblicità, magari continue, in modo da poterlo avere gratuitamente.

Cristina: Pure cedendo i propri dati del DNA?

Cristina Pozzi: Assolutamente si, quello potrebbe diventare una vera e propria fonte di reddito, addirittura quasi uno dei tanti lavori che ci troveremo a svolgere perché molto probabilmente non svolgeremo un solo lavoro ma tanti contemporaneamente.

Cristina: E i mestieri di oggi spariranno. Quali sono quelli che secondo te rimarranno o nasceranno e saranno strategici?

Cristina Pozzi: Sicuramente trovandoci immersi in una realtà cambiata in pochissimo tempo e che facciamo fatica a comprendere, magari anche per la presenza di robot attorno a noi in qualunque situazione, la figura dello psicologo che ci può aiutare nel gestire il passaggio, sarà centrale.

Cristina: Secondo te c’è la formazione giusta per compiere questo viaggio verso il futuro?

Cristina Pozzi: Per ora no, il consiglio che do sempre è quello di imparare a essere curiosi e imparare ad imparare.

Cristina: Coniugando quindi i nostri naturali talenti e le nostre capacità intellettuali, di cuore, creative e la volontà. Occhio al futuro

In onda 29-9-2018

La depurazione di Captive Systems

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Captive Systems, uno spin-off del Politecnico di Milano, produce materiali ferromagnetici utilizzati per la depurazione

Cristina: Oggi vi parliamo di un sistema per depurare gli inquinanti nell’acqua. Buongiorno Gianni, di che cosa si tratta?

Gianni Franzosi: Si tratta di microspugne, funzionalizzate con delle microparticelle in grado di poter captare l’inquinante all’interno di ogni soluzione. Queste nanospugne sviluppano una superficie assorbente molto importante, basta pensare che in due grammi di prodotto si sviluppa una superficie pari ad un campo da calcio. Vengono introdotte all’interno di una soluzione inquinata, le particelle agiscono assieme all’inquinante e possono essere estratte tramite un magnete.

Cristina: Quindi devono comunque passare per un filtro oppure un bacino?

Gianni Franzosi: Una semplice calamita è in grado di poterle attrarre ed estrarre dal liquido, a questo punto avremo l’acqua completamente depurata e gli inquinanti tutti aggregati alle particelle, che a loro volta possono essere recuperate ed usate come materie prime in successivi cicli di produzione e l’acqua invece utilizzata per usi comuni.

Cristina: Quindi si riciclano anche gli inquinanti?

Gianni Franzosi: Assolutamente si, in una sorta di economia circolare.

Cristina: Immaginiamo quindi di depurare una falda inquinata, e ce ne sono tante..

Gianni Franzosi: Purtroppo si. È banale, l’acqua è munta dalla falda, può passare all’interno di un filtro, questo filtro è addittivato con queste particelle. La parte inquinante si blocca all’interno del filtro e l’acqua depurata continua.

Cristina: Questo riguarda i metalli..

Gianni Franzosi: Si, la caratteristica delle particelle è che sono personalizzabili. Il nucleo centrale è sempre un nucleo magnetizzabile, il rivestimento attorno invece lo si può adeguare alla situazione dell’ambiente che abbiamo. Se abbiamo un ambiente ricco di idrocarburi la funzionalizzeremo per gli idrocarburi, in uno ricco di metallo per i metalli e così dicendo.

Cristina: E gli antibiotici e pesticidi che inquinano molte falde?

Gianni Franzosi: Senza alcune problema, assolutamente si.

Cristina: Rispetto ai sistemi di depurazione negli impianti industriali quale innovazione avete?

Gianni Franzosi: Il grande vantaggio è quello di poter comprimere in spazi molto piccoli tutto il set di depurazione, sfruttando quella che è la superficie assorbente delle particelle.

Cristina: Come nasce questa startup?

Gianni Franzosi: La startup è nata grazie alla sinergia tra la ricerca del Politecnico di Milano e l’industria.

Cristina: Grazie Gianni. È confortante sapere che gli inquinanti invisibili e minacciosi abbiano sempre più nemici. Arruoliamoli con audacia. Occhio al futuro

In onda 26-5-2018

La pittura purificante di Airlite

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Airlite ha sviluppato una pittura che purifica l’aria e può essere utilizzata sia in interni che esterni. Neutralizza gli odori, i batteri e previene le muffe. Respinge la polvere e lo sporco e riduce l’inquinamento atmosferico.

Cristina: Non stiamo tutti meglio quando l’aria è leggera? Oggi vi raccontiamo di una tecnologia che ci consente di respirare meglio. Buongiorno Massimo, di che si tratta?

Massimo Bernardoni: È una pittura che contiene varie tecnologie. Riesce a purificare l’aria, riesce ad eliminare i batteri dalla superficie, le muffe, rimane più pulita nel tempo ed elimina anche gli odori. Noi eliminiamo gli inquinanti trasformandoli in sali, questa è una nanotecnologia, e poi ci sono altre tecnologie che non sono nano, che eliminano i batteri, le muffe ed eliminano la possibilità di sporcarsi le pareti con lo smog.

Cristina: Quindi i famosi baffi del calorifero?

Massimo Bernardoni: I famosi baffi dei caloriferi, gli angoli scuri… chiaramente nel tempo noi siamo molto più performanti.

Cristina: È completamente a base di minerali? Sono sostanze di origine petrolifera?

Massimo Bernardoni: Non abbiamo sostanze di origine petrolifera, è minerale, tant’è vero che quando si applica non ha odore.

Antonio Cianci: Con questa tecnologia dipingere una strada di 150 metri, a destra e a sinistra, equivale a piantare un bosco grande come un campo da calcio. Questo perché 12 metri riescono a ridurre l’inquinamento prodotto in un giorno da un’automobile.

Cristina: Assorbe anche particolato?

Antonio Cianci: In modo indiretto. Il particolato è generato dagli ossidi di azoto per sintesi fotochimica, noi ne abbassiamo i livelli e lo riduciamo in modo sensibilmente notevole.

Cristina: Ha anche la capacità di abbattere i consumi energetici. In che modo?

Antonio Cianci: Abbiamo la meravigliosa capacità di riflettere la componente calda della luce solare, quindi dipingendo la parete con questo prodotto si riesce a ridurre fino a 30 gradi la temperature in superficie. In questo modo minor calore passa all’interno e ho meno bisogno di usare riscaldamento o raffreddamento per condizionare la nostra stanza.

Cristina: Invece internamente avete una tecnologia che lavora quasi all’opposto? Creando una sorta di manto protettivo ma traspirante?

Antonio Cianci: La pittura è traspirante, permette quindi il passaggio di tutte le componenti senza creare ristagno e quelle brutte bolle che portano le muffe all’interno delle abitazioni, condizionando in effetti la stanza in modo naturale.

Cristina: In quanti colori esiste questa pittura?

Antonio Cianci: 180 colori. Devo dire che architettonicamente ha una resa molto bella, simile a quelle delle pitture decorative, permette anche finiture di lusso.

Cristina: Cosa succede quando metti insieme due italiani ingegnosi, uno più tecnico, l’altro più imprenditoriale, giovani nello spirito ma con esperienza? Spaccano.

In onda 5-5-2018

Una conversazione sull’acqua con Luca Mercalli

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In occasione della giornata mondiale dell’acqua e la prima edizione di Labirinto d’Acque, summit internazionale dedicato al tema nel Labirinto della Masone, abbiamo parlato con il climatologo Luca Mercalli sulle possibili soluzioni ai nostri problemi idrici

Cristina: I problemi legati all’acqua li conosciamo, le soluzioni però sono meno ovvie. Siamo a Fontanellato in provincia di Parma perché qui si tiene un convegno sul tema e in questo bellissimo labirinto incontriamo il climatologo Luca Mercalli. Quali sono le soluzioni che stanno emergendo in queste giornate per colmare questa distanza enorme tra ciò che sappiamo e come ci comportiamo e come viviamo.

Prof. Luca Mercalli: La prima è ancora e sempre la consapevolezza, non c’è n’è mai abbastanza e poi oltre ovviamente alla consapevolezza ci sono le azioni concrete. Concrete cominciano dal contadino, da noi stessi, tutti sappiamo che dobbiamo usare bene l’acqua a partire da casa nostra. C’è anche l’acqua nascosta, non dimentichiamo l’acqua virtuale. Un paio di jeans, di quelli strappati, valgono 8.000 litri d’acqua nella loro fabbricazione dal campo di cotone alla commercializzazione. Infine, la politica e le grandi strategie, quando parliamo di acqua bisogna pensare a lungo termine perché quando devi lavorare sulle strutture, acquedotti, invasi, canali, non sono cose che si fanno in una notte quando c’è l’emergenza.

Cristina: Noi siamo viziati da un’abbondanza, di acqua, in particolare nel nostro paese.

Prof. Luca Mercalli: L’estate del 2017 ci ha fatto vedere che anche in un paese ricco d’acqua può andare in una situazione di stress enorme. Roma senz’acqua tra luglio e agosto, la pianura Padana con episodi a macchie di leopardo hanno toccato prima il Veneto e poi il Piacentino e poi il Piemonte. Ci siamo già dentro, questi sono le avvisaglie di ciò che potrebbe succedere in futuro con il riscaldamento globale che non fa altro che esacerbare ed amplificare queste situazioni.

Cristina: Alla fine le soluzioni sono nei comportamenti.

Prof. Luca Mercalli: Non solo, sono anche nella programmazione politica a lungo termine perché una diga o un’acquedotto non la facciamo io e te, la fa una collettività. Noi possiamo scegliere cosa fare a casa nostra. Io per esempio ho costruito una cisterna per raccogliere l’acqua piovana, il mio tetto raccoglie le piogge quando ci sono soprattutto in inverno e primavera e l’acqua mi serve per irrigare il mio orto durante l’estate.

Cristina: Sono buone misure per capire quanto è preziosa l’acqua.

Prof. Luca Mercalli: Ogni paese ha le sue soluzioni, quindi dobbiamo pensare che dalla Cina all’Australia al Sael, ogni paese si deve adeguare alle sue risorse idriche anche alla società. Quindi ci sono in questi convegni tante proposte adeguate alla geografia vasta del mondo, dalle toilette secche senz’acqua, alle costruzioni di grandi infrastrutture per la depurazione e la desalinizzazione.

Cristina: Mentre cercheremo noi l’uscita da questo labirinto, speriamo che siano tanti insieme a noi a volerla trovare.

Prof. Luca Mercalli: La strada della sostenibilità una sola, un po’ difficile ma la troveremo.

Enerbrain, efficientamento energico

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Enerbrain, una start-up di Torino iniziata come 4 amici al bar, oggi si occupa di soluzioni di efficientamento energetico degli edifici attraverso sensori collegati nel cloud.

Cristina: Secondo la Commissione Energia dell’Unione Europea gli edifici consumano il 40% dell’energia totale ed emettono il 36% di CO2. Quali sono i vostri rimedi e come sono nati?

La scintilla è nata qua a Torino, nel corso di un inverno molto rigido ma con temperature variabili, in cui il nostro fisico Marco, si è domandato come potesse regolare meglio il suo impianto domestico.

Cristina: Come funziona la vostra tecnologia?

Andiamo ad installare all’interno degli ambienti dove vogliamo ricreare delle condizioni di comfort, sensori di umidità, temperatura e concentrazione di CO2, quindi per la qualità dell’aria. Ne mettiamo un numero minimo necessario per poter garantire il comfort all’interno di qualsiasi tipo di ambiente. Li posizioniamo in uno o due giorni e questi vanno a parlare direttamente con degli attuatori, un’altra parte di hardware, da installare in centrale termica. I dispositivi si parlano attraverso un’applicazione o un software e ogni 5 minuti va a regolare meglio l’impianto. In questo modo si risparmia.

Cristina: Gli impianti non li cambiate, semplicemente li rendete più efficienti.

Esatto, senza interrompere il normale funzionamento di un impianto, in due giorni andiamo ad efficientare e partiamo subito con i risparmi.

Cristina: Quali sono i risultati? Sia in termini di risparmio energetico che economico.

Il risparmio economico è proporzionale al risparmio energetico, siamo arrivati ad ottenere dei risparmi di energia termica di oltre il 30%.

Cristina: Una soluzione semplice ed efficace per edifici esistenti.

In onda 17-3-2018

Alleggerire l’impatto ambientale delle aziende

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Ero felice dopo il breve e intenso incontro con Silvio Albini. Capita raramente di parlare con un imprenditore così schietto, trasparente e audace che dice apertamente le cose come stanno (e non come vorrebbe che fossero). “La nostra è la seconda industria più inquinante al mondo dopo quella del petrolio e del carbone….” aveva esordito. Solo chi è impegnato nel fare può mettere nero su bianco in modo così diretto. Le parole sono una conseguenza, non una premessa. Infatti, poi, Albini aveva esposto alcuni dei risultati importanti raggiunti nel percorso progressivo verso la sostenibilità. Gli avrei scritto lunedì per dirgli quanto mi aveva colpito la sua visione concreta, ma la notizia della sua scomparsa mi ha preceduto. Mi chiedo perché un uomo che aveva ancora tanto da dare ci abbia dovuto lasciare. Il mio augurio è che nella sua memoria il suo disegno possa prendere forma, allargandosi in maniera organica nella lunga e complessa filiera del tessile.

Cristina: Il 50% dei tessuti e dei vestiti usati nel mondo contengono cotone. Fibra che nella sua lunga filiera dalla produzione alla lavorazione inquina tantissimo. Siamo in un’azienda che ha deciso di alleggerire il suo impatto ambientale. Quali sono gli obbiettivi che vi siete posti e i risultati che state raggiungendo?

Silvio Albini: È un processo lungo, non dimentichiamo che l’industria tessile, in tutta la sua complessità nel mondo è il secondo inquinatore del mondo in cui viviamo, dopo le industrie del carbone e del petrolio. Bisogna svolgere le proprie attività con trasparenza, bene, step by step, noi abbiamo negli ultimi anni risparmiato 8 milioni di kw/h che corrispondono a all’energia elettrica consumata da 2.700 famiglie in un anno. Poi c’è bisogno di tantissima acqua, anche li, con investimenti importanti la nuova tintoria che abbiamo fatto in questo sito in Val Seriana ci ha permesso di risparmiare 46.000 metri cubi di acqua all’anno, che corrispondono all’acqua di 10 piscine olimpioniche. C’è un uso di materie chimiche importante e qua noi abbiamo iniziato un lungo lavoro di miglioramento continuo che ogni giorno ci porta come si diceva prima.. usare meno acqua ma anche a sostituire materie chimiche che fanno un po’ meno male alla pelle o all’ambiente in cui viviamo.

Cristina: Questo processo di innovazione cosa vi sta insegnando?

Silvio Albini: Sta cominciando a premiarci veramente. Pensi che recentemente sono stato da uno dei nostri maggiori clienti Americani, abbiamo presentato la nostra esperienza dalla materia prima fino al prodotto finito. Devo dire che è stato un grande successo che ci ha permesso anche una maggiore penetrazione presso quei clienti. Dietro c’è una grande spinta dei loro consumatori finali che sono finalmente sensibili a tutto questo mondo.

Cristina: Perché la gente vuole sapere dove nasce e come potrà finire quello che usa, soprattutto quello che porta sulla pelle, quindi chi sa raccontare questa storia con audacia e trasparenza sicuramente verrà premiato.

In onda 27-1-2018

Il green data center di EXE

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Ogni informazione generata in rete passa attraverso un data center, dove si trovano server, sistemi di archiviazione, sistemi informatici e infrastrutture di telecomunicazione. Inoltre, sono necessari impianti di controllo ambientale quali condizionamento e antincendio per garantire la sicurezza. I consumi energetici complessivi di questi centri informatici rappresentano una delle principali fonti di inquinamento del pianeta e di costo per le aziende.
In questa storia scoprirete come per abbattere l’impatto ambientale legato a tecnologie che si diffondo in rete, é necessario intervenire sull’edificio in tutte le sue parti.
Oggi Executive Service è l’unico “green” data center in sud Europa. Siamo andati a trovarli vicino a Bologna per scoprire come la tecnologia e la sostenibilità possano vivere in armonia.

CRISTINA: Sapete che 15 minuti di video in streaming online consuma la stessa energia del frigorifero di casa in 3 giorni? E che internet consuma quanto l’intera aviazione civile mondiale? Perché qualsiasi informazione che sia in tv, su un telefono,  o su internet passa per un data center. Infatti siamo nel primo green data center a zero emissioni in sud Europa, ed è in provincia di Bologna. Cosa significa un data center a zero emissioni?

Gianni Capra: Un data center a zero emissioni vuol dire che tutto il funzionamento del datacenter è basato su energia assolutamente o autoprodotta, o acquistata da un’azienda in grado di certificare la fonte rinnovabile di un certo tipo. Escludiamo ad esempio fonti rinnovabili di provenienza chippato, alghe, pellet o qualsiasi cosa che comporti combustione. Tutto ciò che alimenta i nostri server non deve causare combustione di alcun genere, quindi si escludono a priori emissioni di CO2.

Cristina: Quali sono i vantaggi per chi usa il vostra servizio?

Gianni: Riceve una certificazione reale della propria attenzione all’ambiente, in quanto la nostra certificazione di emissioni zero ci consente di emettere certificati gratuiti a tutti colori i quali portano in toto o in parte i loro schemi informativi in questo data center.

Cristina: Avete il sostegno e anche l’incoraggiamento della comunità europea.

Gianni: La comunità europea, ufficialmente ha dichiarato la propria preoccupazione nei confronti della rapida e ripida crescita dei data center, in quanto la comunità europea stessa ha individuato i data center nei massimi emettitori di CO2 nel mondo occidentale.

Cristina: E qual’è la vostra ricetta di sostenibilità in questo spazio?

Gianni: Il 50% è legno, l’intero stabile è costruito in legno. Altre scelte tecnologiche riguardano la bassa densità nei rack o armadi o scaffali, e la rinuncia totale ai dischi rigidi. Quindi tutti i nostri server utilizzano memorie allo stato solido come quelle del tuo telefonino e il raffrescamento, che per il 79% del tempo annuo è fatto con aria non condizionata.

Cristina: A che temperatura girano i vostri server?

Gianni: Noi lavoriamo fino a 29 C contro i 19-20 di un data center tradizionale.

Cristina: Grazie. Nei prossimi decenni l’intera popolazione umana sarà connessa in rete, è quindi fondamentale ridurre le emissioni dei data center. E come avete visto, è possibile.

Imballaggi intelligenti

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Gli imballaggi intelligenti sono in grado di allungare la vita di un prodotto sullo scaffale evitando l’uso di conservanti, ma é necessario che le etichette aiutino i consumatori a disitinguere le plastiche biodegradabili da quelle che vanno riciclate. È ora di chiudere il cerchio! Va educato sia il consumatore, che la filiera di raccolta.

Cosa ha spinto SAES a sviluppare questa nuova tipologia di packaging?

Lo sviluppo di un coating attivo per prolungare la shelf life nasce dalla comprensione totale della catena del valore, dal campo al consumatore, definendo i benefici in termini di costo a livello di tutta la filiera, oltre ad un intrinseco ed innegabile valore etico-sociale.

In maniera più generale il mondo del packaging è giunto ad un punto di discontinuità, il consumatore etico riesce a far leva sia sui grandi produttori alimentari sia sul legislatore; per chiudere il cerchio è necessario uno sviluppo delle soluzioni di imballaggio attivo, che richiedono competenze elevate nella sintesi dei materiali attivi e nella loro formulazione in matrici polimeriche(plastiche).

 

I Dati:

Caso 1: Coating attivo in grado di assorbire Etilene

Di quanto si allunga la shelf life di un prodotto grazie all’impiego del packaging avanzato di SAES e Metalvuoto?

Per il prodotto confezionato e refrigerato (ed esempio le fragole che troviamo al supermercato), grazie al packaging attivo che assorbe etilene si passa da una shelf life di 6-7 giorni a una shelf lifedi 10 giorni, con un incremento quindi del 40-50%

Quali sprechi possono essere evitati?

Grazie a questo packaging attivo è possibile una riduzione del food waste che va dal 4 al 10%

Quali tipi di conservanti si possono evitare grazie a questi imballaggi?

Nel caso dell’etilene non si evita l’uso di alcun conservante, ma si parla di pura estensione della shelf life.

Caso 2: Active Packaging in generale

Di quanto si potrà allungare la shelf life di un prodotto grazie all’impiego del packaging avanzato di SAES e Metalvuoto?

In funzione della tipologia di prodotto è possibile avere un’estensione della shelf life da pochi giorni per prodotti freschi (ad esempio IV gamma) fino a 6-12 mesi per prodotti a lunga conservazione (prodotti sterilizzati, prodotti da forni secchi, prodotti liofilizzati, cioccolato). In generale l’aumento percentuale di shelf life oscilla tra il 30 e il 50%

Quali sprechi possono essere evitati?

Potenzialmente l’utilizzo di imballaggio attivo potrebbe produrre un risparmio in termini di food waste pari a 100 – 150 miliardi di Euro nella sola Europa.

Quali tipi di conservanti si possono evitare grazie a questi imballaggi?

Principalmente gli antiossidanti (da E300 a E322).