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Francesca Santoro e il Decennio del Mare

By ecology, sdg 14

Chi segue regolarmente Occhio al futuro sa che siamo nel decennio dell’azione per fare progressi sull’Agenda 2030. Ma nel quadro macro dei 17 obiettivi c’è il mondo, e questo è anche il Decennio del Mare. 

Anche per le giornate mondiali c’è una confluenza di temi. Il 5 giugno è dedicata  all’ambiente, ma è anche la giornata per sensibilizzarci sui danni della sovra-pesca e della pesca illegale. Siamo andati a Venezia per incontrare Francesca Santoro, coordinatrice dell’IOC, la Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO che promuove molte iniziative. Non bastasse, l’8 giugno è la giornata mondiale degli oceani! Scoprite quanti strumenti abbiamo a disposizione  per conoscere meglio gli ecosistemi marini e per capire come possiamo fare la nostra parte per salvaguardarli, a partire dalle nostre scelte d’acquisto. Tanto che abbiamo chiuso il nostro bellissimo incontro andando insieme al mercato ittico di Rialto.

Cristina: Gli ecosistemi marini sono sempre più fragili – sono in pericolo e hanno bisogno della nostra attenzione. Per questo l’ONU ha istituito il Decennio del Mare. Siamo venuti a Venezia per incontrare Francesca Santoro dell’Unesco per capire come navigarlo. Francesca buongiorno, dicci cosa dobbiamo sapere di fondamentale riguardo al nostro rapporto con gli oceani?

Francesca Santoro: Una delle cose più semplici che facciamo ovvero respirare lo dobbiamo all’oceano. Nell’oceano si produce dal 50-80% dell’ossigeno che esiste in atmosfera.

Cristina: Quali sono gli obiettivi chiave del vostro programma e come li raggiungerete?

Francesca Santoro: L’obiettivo è informare tutti sull’importanza dell’oceano per il nostro pianeta e lo facciamo attraverso degli strumenti molto pratici. Prima di tutto ci rivolgiamo alle scuole, abbiamo prodotto un manuale per gli insegnanti che contiene  delle lezioni pratiche da svolgere in classe. Poi abbiamo sviluppato una serie di corsi online per i giornalisti per insegnargli come parlare di questi temi ma anche per chi prende le decisioni. Anche gli imprenditori devono imparare che se vogliono essere parte della soluzione devono comprendere che è tutto interconnesso su questo pianeta.

Cristina: Quindi se vogliamo continuare a mangiare pesce dobbiamo sapere come comprarlo, andiamo al mercato?

Francesca Santoro: Molto volentieri!

Cristina: Francesca tu come fai qua?

Francesca Santoro: Prima di tutto guardo la provenienza e la stagionalità perché questo è importante, le persone non sanno che nel mare ci sono le stagioni. Vediamo anche che c’è una mappa.

Cristina: L’italia è zona FAO 37.

Francesca Santoro: Qui siamo in Adriatico ed è il mare più pescoso del Mediterraneo, possiamo decisamente affidarci a quello che troviamo in questa zona. Ciao, oggi mi racconti cosa mi daresti? Mi raccomando locale e di stagione.

Pescatore: Allora oggi ti proporrei una bella ombrina pescata. Pescata qui in laguna come vedi con la canna, gallinella sempre nostrana o conosciuta anche come lucerna oppure c’è lo scorfano pescato all’amo. Qui tutto pesce vivo. Oppure le seppie locali che adesso è stagione. Seppie vive di laguna. Ci sono clienti che vengono da anni e si fidano ciecamente di noi perché oramai sanno che cosa gli diamo quindi ci chiedono “che cosa posso mangiare oggi” e noi proponiamo di solito sempre del giorno o del momento.

Francesca Santoro: Grazie mille. Buon lavoro!

Cristina: Il Decennio del Mare tocca l’SDG 14 vita sott’acqua, ma anche tutti gli altri Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Conversazioni come queste possono aiutarci a fare le migliori scelte non solo per il nostro palato ma anche per il nostro futuro. Questo Decennio del Mare navighiamolo tutti insieme. Occhio al futuro

In onda il 5-6-2021

Api, sentinelle di biodiversità

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Occupandomi di sviluppo sostenibile da qualche decennio e concentrandomi su soluzioni alle nostre più grandi sfide, di tanto in tanto mi illudo che questioni trattate più volte abbiano avuto nel tempo un’evoluzione positiva. Credo nella capacità della nostra specie di evolvere verso una co-esistenza rispettosa dei sistemi vitali che ci regalano la vita, ma parlando con Andrea, l’apicoltore dal quale compro sempre il miele, che mi ha presentato Luca e Marco. Grazie a questi ragazzi dedicati appassionati e competenti, ho scoperto che gli impollinatori sono più minacciati che mai. È nata così la storia di questa settimana, e ho avuto conferma di quanto ci sia ancora da fare.
Se conoscete coltivatori di nocciole inoltrate per favore questo servizio. Dialogare con le persone dalle quali acquistiamo prodotti è fondamentale per avere un quadro più realistico dell’impatto di ogni nostra scelta.

Cristina: Oggi è la giornata mondiale della biodiversità, e l’ONU vuole portare la nostra attenzione sulla complessa dinamica che regola la vita sulla terra. La biodiversità è il nostro più grande tesoro e monitorare la sua salute è complicato. Siamo nel Cuneese per incontrare Luca, apicoltore. Luca perché le api sono le più preziose sentinelle di biodiversità?

Luca Bosco: Perché tutto ciò che arriva nell’alveare raccolto dalle api è il frutto di una sinergia tra diverse forme di vita e quindi è frutto della biodiversità dell’ambiente.

Cristina: Le vostre osservazioni cosa vi dicono?

Luca Bosco: Che la situazione delle api, e in generale degli impollinatori, è gravissima. Vediamo molto spesso episodi di morie, avvelenamenti, sui nostri alveari. Purtroppo ritroviamo nelle matrici degli alveari sia gli insetticidi che i fungicidi, sia i diserbanti. Un diserbante in particolare, la molecola glifosato, è particolarmente seria perché il ritrovamento, soprattutto nella matrice miele del nido, miele in maturazione, è un indizio preciso. La molecola che viene irrorata qui può finire ovunque, la ritroviamo nell’acqua, nell’aria, nel suolo quasi per forza perché viene irrorata sul suolo e la ritroviamo anche nel polline delle piante, nel nettare delle piante. Questo è un chiaro indizio che i filtri naturali dell’ecosistema in qualche modo si stanno degradando.

Cristina: Luca quali sono le coltivazioni che vengono più irrorate di queste sostanze ?

Luca Bosco: Qua siamo in zona di viticoltura e di corilicoltura, quindi vite e nocciolo. In questi anni grazie anche al lavoro dell’associazione degli apicoltori, i viticoltori hanno imparato a utilizzare i fitofarmaci in modo oculato, quindi senza dare un problema diretto e grave agli impollinatori. Per quanto riguarda il nocciolo invece il discorso è tutto da fare perché è una coltura nuova e in questo momento le pratiche agronomiche messe in campo lasciano parecchio a desiderare. Sono fonte di avvelenamento diretto, sono in qualche modo anche la causa di quel ritrovamento sistematico all’interno delle matrici degli alveari, soprattutto in questa zona ovviamente. A chi coltiva nocciolo si può rivolgere un appello a, in qualche modo, seguire la strada già intrapresa dai viticoltori.

Cristina: Luca state per fare delle campionature, che frequenza hanno e a cosa servono?

Luca Bosco: Hanno frequenza mensile e servono per andare a indagare l’eventuale presenza di molecole chimiche. L’esperienza ci dice che molto probabilmente ci saranno perché negli anni passati, la loro presenza è stata purtroppo molto assidua. Sappiamo che queste molecole sono dannose per l’ape, anche per la loro capacità – in qualche modo singolare – quella di depurare le matrici ambientali assorbendo nei loro corpi le molecole chimiche, a loro discapito ovviamente, ma andando a preservare soprattutto il miele. Il miele, in qualche modo, è sempre risultato pulito.

Cristina: È fenomenale. Questi dati li incrociate con altri?

Luca Bosco: Questi dati li incrociamo con altri monitoraggi che vengono effettuati nella zona, in particolare modo con quelli effettuati sul fiume Tanaro, che potete vedere proprio qui vicino, e i due monitoraggi confermano la stessa cosa, la presenza ubiquitaria delle molecole chimiche.

Cristina: Grazie Luca. Questa storia tocca tutti e 17 gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. E noi che cosa possiamo fare? Dialogare il più possibile con apicoltori, capire le criticità del nostro territorio e proteggerlo in ogni modo possibile. Conviene a tutti. Occhio al futuro

In onda il 22-5-2021

Biova – la birra da economia circolare

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Ispirandosi agli egizi, e motivati a fare del bene, Franco Dipietro e i suoi collaboratori hanno azzeccato una ricetta doppiamente buona: utilizzano pane invenduto – e ce n’è davvero tanto, ogni giorno, nel nostro paese – facendo una birra che è veramente buona. Per trasformare un’idea in realtà, occorrono piglio imprenditoriale, accurata conoscenza delle leggi e una filiera organizzata. Loro l’hanno fatto. Aspettiamo di trovare Biova in tutta Italia e di apprezzare 20 gusti diversi.

Cristina: Facendo i volontari per recuperare avanzi di cibo da destinare ai bisognosi, un gruppo di giovani ha toccato con mano lo spreco, del pane in particolare, pensate, ogni giorno in Italia ammonta a 1.300 tonnellate. Di lì l’idea di trasformarlo. Siamo venuti a Torino per raccontare la loro storia. Buongiorno Franco, cosa fate con il pane?

Franco Dipietro: Noi recuperiamo il pane invenduto a fine giornata e lo trasformiamo in birra, 150kg di pane in 2.500 litri di birra artigianale. Questo è il nostro modo di dare nuovo valore a qualcosa che altrimenti sarebbe uno scarto.

Cristina: Come lo recuperate?

Franco Dipietro: Noi abbiamo messo a punto un nostro protocollo, lo recuperiamo a fine giornata prima che diventi tecnicamente scarto. Lo portiamo in dei centri che sono stati studiati da noi che chiamiamo proprio “del trattamento del pane”, dove lo essichiamo, lo maciniamo e lo rendiamo disponibile per essere un nuovo ingrediente. Quindi andare in questo caso a sostituire il malto d’orzo per fare della nuova birra. Oltre che recuperare un invenduto e uno scarto andiamo a risparmiare sull’utilizzo di una materia prima, fino al 30%, fino al 50% con le nostre nuove ricette che stiamo studiando di risparmio di materia prima.

Cristina: Pensate di poter produrre in tutta italia?

Franco Dipietro: È una filiera possibile, abbiamo studiato noi un modello che ci permette di replicare questa possibilità in tutta Italia. Noi cerchiamo sempre di avere dei nostri posti di raccolta vicino a dei birrifici esistenti che attiviamo, portando in giro solo le nostre ricette. Quindi riusciamo anche a non far viaggiare troppo lo scarto proprio per limitare le emissioni e i costi collegati.

Cristina: Quindi fermentate sempre localmente?

Franco Dipietro: Esattamente, produrre proprio la birra localmente nei vari birrifici che nel corso degli ultimi anni sono aumentati moltissimo in tutta Italia e lavorano anche conto terzi. Quindi possiamo andare a cuocere, si dice tecnicamente, in vari posti in Italia.

Cristina: Quindi ogni regione darà il suo gusto..

Franco Dipietro: È molto interessante perché chiaramente il pane da un gusto caratteristico alla birra, quindi a secondo della regionalità del pane, il gusto della birra cambia. Questo è anche molto divertente da provare sulla nostra birra.

Cristina: Per voi è stato proprio un cambio di vita questo..

Franco Dipietro: Molto, ci siamo accorti come il pane sia un problema molto difficile da gestire. Costa poco ed è comunque troppo anche per essere ridistribuito. In Italia si sprecano quasi due campi da calcio interi di pane ogni giorno, quindi fare qualcosa contro lo spreco alimentare è sicuramente un modo per garantirci un futuro più sostenibile.

Cristina: Questo progetto di economia circolare adempie agli SDG 12 e 13. Celebriamo questa bellissima soluzione per ridurre lo spreco alimentare con un bel brindisi! Occhio al Futuro!

In onda il 20-6-2020

Fashion Revolution, l’insostenibilità sociale ed ambientale della moda

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È complesso in ogni ambito della vita onorare bisogni e soddisfare piaceri. Vestirsi è sia una cosa che l’altra ma per far si che il piacere dei consumatori non arrechi danni alle persone e all’ambiente occorre maggiore coscienza.

Cristina: Vestirsi è un bisogno primario, ma ciò che indossiamo, è spesso il risultato di pratiche insostenibili. I prezzi bassi della moda veloce hanno un costo alto per le persone che la confezionano e per l’ambiente, ma il gioco vale la candela? Un capo nuovo viene usato in media solo 7 volte!!! Servono leggi più efficaci, ma anche maggiore consapevolezza da parte dei consumatori, è dimostrato che quando siamo informati, compiamo scelte più responsabili. Marina, tu sei portavoce per l’Italia del movimento Fashion Revolution. In che modo state facendo breccia nel sistema moda?

Marina Spadafora: Fashion Revolution, che esiste dal 2013 quando crollò il Rana Plaza in Bangladesh uccidendo più di mille persone, è nato dicendo “chi ha fatto i miei vestiti? who made my clothes?”. Ci sono 70 milioni di persone che lavorano nella filiera della moda, la maggior parte non viene pagata il giusto e quindi non si può permettere di vivere in maniera decente ed è per questo che fanno lavorare anche i bambini. Quindi ci vogliono leggi molto forti, un movimento di consumatori che richieda vestiti fatti con dignità e rispettando l’ambiente. Solo con queste due forze riusciremo a cambiare l’industria della moda e avere una vera rivoluzione.

Cristina: E adesso incontriamo Matteo che è designer, attivista, educatore.

Matteo Ward: Vedi Cristina, c’è il vintage e poi c’è l’innovazione invece.

Cristina: Fammi vedere cos’hai.

Matteo Ward: Per esempio qui abbiamo capi tinti con polvere di grafite riciclata, esempi di upcycling, tinture con mattoni tritati, ecco queste sono un manifesto dei processi produttivi a ridotto impatto ambientale, ma trasformano anche un prodotto in un servizio per rispondere ad alcune tra le più pressanti e reali esigenze dell’umanità. Poi siccome non è semplicissimo, mi rendo conto, trovare tutti questi prodotti sul mercato già oggi nei negozi, esistono oramai piattaforme come questa che facilitano i consumatori la scoperta di prodotti funzionali a quello che vogliono o che gli serve, ma soprattutto allineati con i loro valori sociali ed ambientali. Basta mettere nel motore di ricerca “magliette in cotone organico” e ti vengono fuori tutti i prodotti dei vari brand che già li sviluppano in giro per il mondo.

Cristina: Fantastico. Quindi è diviso per tipo diciamo?

Matteo Ward: Per tipologia, materiale, funzionalità che ricerchi in un capo.

Cristina: Grazie Matteo. Si stima che, in questo decennio, il comparto moda e calzature crescerà dell’81%. Cresceranno però anche i consumi di risorse naturali – l’acqua usata ogni anno per fare i nostri vestiti soddisferebbe i bisogni primari di 5 milioni di persone. E aumenterà l’inquinamento – pensiamo a microplastiche, sostanze chimiche e abiti dismessi di cui solo l’1% viene riciclato. La moda sostenibile adempie agli SDG 8, 9, 10, 12 e 13. Dai sondaggi, la gente è pronta a cambiare. Facciamolo! Occhio al futuro

GAIA, la casa naturale stampata in 3D

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Questa storia aiuta a immaginare un nuovo modo di abitare – gradevole, semplice, accessibile, ecologico, sano. Un sogno possibile grazie alla perseveranza dell’architetto Tiziana Monterisi e del suo incontro con Massimo Moretti. Insieme hanno trovato il modo di utilizzare un materiale di scarto con ottime prestazioni e disponibile in quasi tutto il mondo. Grazie alla stampa 3D, viaggiano fisicamente solo gli strumenti tecnici; il progetto viaggia sul web e la materia prima si trova sul posto. Gli edifici di Rice House realizzati con Wasp sono modulari. Pensate che usare gli scarti di lavorazione del riso costa meno che smaltirli.

Cristina: Avete mai pensato di costruire una casa con materiali naturali tutti italiani? È possibile grazie alla stampa 3D e alla ricerca che oggi vi raccontiamo. Gli ingredienti sono terra cruda e scarti di lavorazione del riso che, da soli, ogni anno sarebbero sufficienti per costruire questi edifici sostenibili per l’intera popolazione italiana. Solo nel Vercellese, sono coltivati a riso 70.000 ettari e solo il 35% degli scarti sono riutilizzati. Massimo, raccontami il processo.

Massimo Moretti: Quello che abbiamo studiato è esattamente un processo, come costruire a basso impatto utilizzando i materiali che sono sul posto. È inserire il sapere nella materia più umile per trasformare quella materia in un materiale utile all’edilizia, quindi l’informazione in realtà dà il valore alla costruzione. Ecco vedi, questa costruzione è fatta di terra, del luogo, paglia di riso, perché il riso è una dei materiali che si trova di più sulla faccia della terra, ed è depositata con una macchina quindi questa formazione può essere replicata indefinite volte. È una costruzione modulare può assumere, di conseguenza, qualsiasi forma e dimensione a seconda di quello che serve sul luogo. L’unica cosa che viaggia fisicamente è un container con all’interno tutto il materiale tecnico per costruire, mentre le informazioni possono viaggiare via web.

Cristina: Grazie Massimo. Tiziana, tu invece sei autrice della ricerca, qual è l’impatto ambientale complessivo di questo edificio?

Tiziana Monterisi: Quasi nullo, perché grazie proprio ai materiali che compongono il muro, l’edificio è ad energia quasi zero, è paragonabile ad una Classe A++++. Ciò vuol dire che sfrutta gli apporti passivi ma non ha bisogno né di un riscaldamento durante l’inverno, né di un impianto di condizionatore durante il periodo estivo. La muratura si equilibria e mantiene sempre costante una temperatura e un’umidità che è quello che ci fa percepire il maggior comfort interno. In particolare, proprio la lolla di riso e la paglia di riso contengono una altissima percentuale di silice, che gli permette di non marcire, di non essere attaccata dagli insetti e soprattutto, di essere durevole. Una cosa non semplice e scontata per i materiali naturali. Sarebbe facile stampare in cemento, molto più rapido ma avrebbe un impatto sull’ambiente completamente diverso. Questa casa è 100% fatta di materiali naturali quindi sostenibile al massimo, non solo per l’ambiente ma anche per l’uomo. Vedi Cristina questa è la nostra nuova sfida, abbiamo tolto il legno e la costruzione è monomaterica.

Cristina: Pensate che riutilizzare questo scarto agricolo ha un impatto inferiore che smaltirlo. È una filiera tracciabile, riduce anche le bollette quando si sta nella casa e quindi insomma è una soluzione ecologica il più possibile. Adempie a otto dei diciassette SDG: 3, 8, 9, 11, 12, 13, 15 e 17. Occhio al futuro!

In onda il 11-4-2020

Alisea

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Susanna Martucci Fortuna, fondatrice di Alisea, ha trasformato un momento di crisi in opportunità. Ha creato una filiera di professionisti tutti italiani – da ingegneri a designer e artigiani evoluti, per dare una vita dignitosa a scarti industriali.

Cristina: Oggi vi raccontiamo il lavoro di una donna che ha trasformato una crisi in opportunità. Stava perdendo il l’azienda, e interrogandosi sul da farsi, le tornò in mente una conversazione sentita sul riciclo e si chiese come poter dare una vita dignitosa a scarti industriali, che nel suo distretto di Vicenza abbondano. Per dare concretezza alla sua idea, mise insieme una filiera tutta italiana di ingegneri, designer e artigiani evoluti. Andiamo a conoscerla e a scoprire che cosa fa. Buongiorno Susanna, raccontaci cosa abbiamo davanti.

Susanna Martucci: Qua si parla di grafite da noi, questi sono elettrodi in grafite e lo scarto inevitabile della produzione degli elettrodi di grafite è questa polvere, che viene recuperata dagli impianti di aerazione delle fabbriche. Noi recuperiamo questa polvere e abbiamo creato un nuovo materiale. Questo è un granulo che è fatto con l’80% di questo scarto. Questo nuovo materiale, che viene da economia circolare, ci ha dato accesso ad un processo produttivo innovativo per la produzione di una matita, che non usa legno e non usa colla per quanto riguardo l’aggancio della gomma, ma soprattutto chi la usa consuma 15 grammi di polvere di grafite, portandole via dalla discarica. Solo con lei, risparmiamo 60.000 alberi all’anno, perché molti magari non pensano che il legno delle matite tradizionali non è altro che packaging della grafite che è fragile e sporca le mani.

Cristina: Con la grafite hai fatto altro?

Susanna Martucci: Si chiaramente ci siamo innamorati di questo materiale che in questo altro caso partiamo sempre da polvere di grafite ma viene bagnato con l’acqua. Questo ci ha dato accesso ad un nuovo processo produttivo per la tintura dei tessuti. I ragazzi riescono a tingere vari materiali, la lana, denim, seta o il cotone organico ma in maniera totalmente atossica. Adesso vi porto nel mondo che parla di plastica riciclata, tante cose si possono fare: righelli per la scuola, custodie per i vinili, che vengono tutte da bottiglie post-consumo quindi da raccolta differenziata.

Cristina: Vedete quanto nasce da fantasia e determinazione? Questi puzzle per bambini sono recuperati da uno stand fieristico, così queste borse. Non abbiamo il tempo di raccontarvelo ma questo è sempre grafite e sughero riciclato. Questi sono sacchi di caffè trasformati insieme anche a sfridi della produzione del pellame. Pensate che l’attività di Susanna adempie a ben 6 dei 17 SDG, gli obiettivi di sviluppo sostenibile, in particolare il 8, 9, 10, 12, 15, e 17. Occhio al futuro!

In onda il 29-2-2020

Bambù – l’acciaio vegetale

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Con più di 1.642 specie e 10.000 utilizzi, il bambù si aggiudica straordinari primati. Rigenera terreni poveri, tollera grande freddo e caldo e l’ONU la considera una famiglia di piante strategica, riconoscendo che adempie a ben 6 dei 17 SDG: 1, 7, 11, 12, 13, 15. L’architetto Mauricio Cardenas ci racconta quali sono i benefici di costruire col bambù.

Cristina: Oggi incontriamo un architetto che ha progettato la più grande struttura nel nord della Cina in bambù, una pianta considerata strategica dall’ONU e che adempie a 6 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, o SDG. Grazie alle lunghe radici, che pescano acqua in profondità, il bambù può essere piantato in terreni poveri, inadatti all’agricoltura, ed è capace di rigenerarli. La fitta e perenne superficie fogliare, fa sì che un bosco di bambù sequestri fino a 17 tonnellate di carbonio per ettaro all’anno. Tollera grande freddo e grande caldo, cresce velocemente e ogni parte della pianta, persino gli scarti, sono utili per qualche cosa. Pensate, con 1642 specie, ci sono più di 10,000 utilizzi riconosciuti – dall’architettura al cibo, il tessile e la cosmesi.  Le opportunità di lavoro sono particolarmente interessanti per le donne in agricoltura, perché il bambù è leggero. L’associazione mondiale INBAR stima che questa pianta dalle mille specie potrebbe diventare fonte di reddito per 50 milioni di persone nel mondo! Architetto, qual è la tua esperienza con l’acciaio vegetale?

Mauricio Cardenas: Sono cresciuta in Colombia, quindi sin da piccolo ho avuto modo di conoscere le virtù di questa pianta – giocavamo tra le canne di bambù, facevamo piccole costruzioni. Attraversavamo il fiume con un ponte, ricordo molto bene, sempre in bambù.. poi durante gli studi di architettura l’ho un po’ dimenticato, sarò sincero, fino alla tesi di laurea. L’ho ripreso e fino ad oggi lavoro grazie alle opportunità che ho in giro per il mondo facendo costruzioni in bambù.

Cristina: Com’è stata l’esperienza in Cina?

Mauricio Cardenas: Il padiglione INBAR è l’ultimo progetto che abbiamo realizzato è la struttura di bambù più grande del nord della Cina. È utilizzato molto poco il cemento, il minimo possibile. Coperture verdi, senza aria condizionata all’interno del padiglione si sta benissimo, perché abbiamo uno strato di terra umida per cui anche nelle temperature più alte di Pechino, che sono veramente estreme, si sta molto bene nel padiglione, non c’è stato nessun tipo di sconforto, anzi è stato molto apprezzato.

Cristina: E come siamo messi in Italia? Ci sono degli incentivi?

Mauricio Cardenas: Ci sono incentivi in Italia per l’agricoltura, per la costruzione ancora no. Possiamo immaginare in modo molto poetico, immaginare il bambù, portare dalla foresta al cantiere. Tenendo conto che il bambù cresce molto rapidamente, in soli tre anni è maturo e pronto per essere utilizzato in costruzione. Mentre il legno ha bisogno di 15-20 anche più anni per essere maturo e utilizzato per la costruzione.

Cristina: Una casa che torna alla terra, che bella idea. Occhio al futuro!

In onda il 25-2-2020

Econyl, il filato di nylon rigenerato

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L’industria tessile nel suo insieme è tra i più grandi inquinatori. Però, c’è chi sta invertendo questo impatto da negativo a positivo: Aquafil, con il suo filato Econyl, produce fibre da rifiuti scarti e nuovi materiali attraverso azioni concrete di rispetto per l’economia la società e l’ambiente, lungo tutta la filiera.

Cristina: Sappiamo che l’industria tessile nel suo insieme è tra i più grandi inquinatori. Però, c’è chi sta invertendo l’impatto da negativo a positivo producendo fibre tessili da scarti, rifiuti e nuovi materiali. In quest’azienda le fabbriche sono alimentate al 100% da energie rinnovabili, si usa acqua a ciclo chiuso in ogni fase di lavorazione. Sono stati avviati protocolli ambientali lungo tutta la filiera, e attivati progetti educativi in azienda per i dipendenti e nelle scuole. Si fa ricerca su nuovi materiali da biomassa, ogni anno si riducono le emissioni di gas serra, si promuovono programmi per la tutela dei mari e per tutti i prodotti si fa l’analisi del ciclo di vita. Queste azioni, nel loro insieme, adempiono alle indicazioni di ben 8 dei 17 SDG – gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU! Per ogni 10.000 tonnellate di materia prima da processo di riciclo si risparmiano 70.000 barili di petrolio e l’equivalente di 57.100 tonnellate di CO2.
Oggi vi mostriamo come vengono trasformate le reti da pesca, insieme ad altri rifiuti di nylon. Nel 2018 sono stati recuperati 78 tonnellate da ONG che operano in tutta Europa. Una volta pulite, le reti vengono trasformate chimicamente, poi il liquido diventa polimero, e il polimero si trasforma in filo. Il risultato è che sempre più filati derivano da un processo di rigenerazione. Per diventare tappeti, occhiali, borse, abiti, costumi da bagno.
Dottor Bonazzi, si può immaginare di rispondere alla richiesta di mercato di nylon solo con materiali di recupero e di riciclo?

Giulio Bonazzi: No, purtroppo no, neanche si potesse recuperare tutto il nylon, non sarebbe mai sufficiente per garantire le necessità future. Oltre a ciò è importante capire che riciclare ha un suo impatto ambientale, noi cerchiamo di farlo al meglio, ma è importante capire come si ricicla e come ridurre al massimo l’impatto durante il ciclo.

Cristina: Che cosa significa per lei innovare? Come cittadino e come imprenditore?

Giulio Bonazzi: Innovare per me significa smettere qualcosa di vecchio per fare qualcosa di nuovo. Ad esempio bisogna ricordarsi che prima di riciclare bisogna ridurre le materie prime, riusare e poi riciclare.

Cristina: Avete già pronta una nuova famiglia di materiali?

Giulio Bonazzi: Si l’abbiamo, vogliamo produrre il nylon da fonti rinnovabili ossia da biomasse, anzi abbiamo già prodotto i primi chili.

Cristina: Che differenza c’è tra il filo derivato dal petrolio, da riciclo e da biomassa?

Giulio Bonazzi: Nessuna, i tre prodotti sono perfettamente identici ma fa una grande differenza per l’ambiente. È un bell’esempio di economia circolare.

Cristina: Grazie Dottor Bonazzi. Occhio al futuro!

In onda il 18-1-2020

effecorta, negozio sfuso

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Nel 2009 per Occhio allo Spreco, eravamo andati a Capannori, in provincia di Lucca, per raccontare una realtà pioniera – il negozio Effecorta, che vendeva prodotti locali e sfusi, ossia privi di imballaggi. Nei 10 anni trascorsi da allora, Effecorta ha aperto a Milano nel quartiere di Affori e abbiamo deciso di buttarci l’occhio.

Renato Plati, uno dei fondatori di Effecorta, dice che l’interesse al suo modello è tanto, le richieste sono addirittura quasi quotidiane e arrivano da tutta Italia. La filiera corta è importante, è nel nome stesso. Facilitano quello che è l’incontro tra il produttore e il consumatore alla ricerca un prodotto genuino e locale – il loro fulcro è l’acquisto diretto dai produttori, selezionati nel raggio di 70 km dal negozio. Alcuni prodotti, come l’olio e gli agrumi, arrivano dal centro e sud Italia, ma mantengono un rapporto diretto con chi li produce. Per Renato, filiera corta significa un solo passaggio dal produttore al consumatore finale.

“Al tempo del servizio abbiamo raggiunto oltre 400 contatti” ci racconta, “e abbiamo organizzato tanti seminari per cui le persone venivano, e potevano informasi sul modello. Pochi sono riusciti a trasformare l’idea in un negozio vero e proprio, la maggioranza si sono scontrate con la realtà economica. Quando ragioniamo su una configurazione di un negozio di 100-120 metri suggeriamo sempre un budget minimo dagli 80-100.000 euro, per far fronte a quelli che possono essere gli imprevisti dei primi anni. La possibilità di avere accesso al credito costituisce un fattore determinante per lo sviluppo e riteniamo che esistano molti bandi sia a livello regionale, che europeo e ci auspichiamo che venga fuori qualcosa anche per noi per quello che potrebbe essere lo spostamento in una zona più centrale, in uno o più punti. A Milano potremmo tranquillamente aprire in ogni zona. Un contributo all’affitto sarebbe ottimale perché è una delle voci spesa più pesanti.”

Speriamo presto di vedere negozi così in ogni quartiere.

Italia Che Cambia

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Daniel Tarozzi, fondatore di Italia Che Cambia e fellow della rete Ashoka, ha raccontato il viaggio in camper che lo ha portato a conoscere, e mappare, gli agenti di cambiamento dal sud al nord dell’Italia.

Cristina: Mentre l’Italia fatica a fare sistema, per fortuna ci sono giovani che s’impegnano a contrastare questo problema. Daniel si muove su e giù per il nostro paese in camper, per cercare talenti da valorizzare e mapparli. Daniel, com’è nato questo tuo mestiere?

Daniel Tarozzi: Guarda tutto è nato da un viaggio lungo quasi un anno alla ricerca di persona che si assumevano la responsabilità della propria vita senza aspettare che qualcuno lo faccia al loro posto. Nel 2012 sono partito in questo camper, con l’idea di andare in giro per l’Italia, pensando di stare in giro per poche settimane. In realtà ho scoperto centinaia, migliaia di esperienze concrete di cambiamento in tutte le regioni italiane. Quello che doveva essere un viaggio finalizzato a scrivere un libro è diventato un progetto di racconto di questa Italia Che Cambia che va avanti da oltre 7 anni. Pensa che solo nel mio primo viaggio ne incontrai oltre 450, sulla nostra mappa ci sono 2.000 progetti mappati ma sono molte, molte di più quelle che costellano il nostro paese.

Cristina: Che metodologia seguite?

Daniel Tarozzi: Ci arrivano segnalazioni, il passaparola che è straordinario, ogni persona che incontro mi segnala altri 5-10 progetti, ovviamente il web siamo prevalentemente sul digitale, abbiamo i nostri canali social e il nostro sito. Da questa esperienza sono concrete, non sono solo astratte, progetti che funzionano e che negli anni migliorano.

Cristina: Che visione avete dell’Italia nel 2040?

Daniel Tarozzi: Abbiamo raccolto oltre 500 azioni che possiamo realizzare tutti, a partire da oggi, per cambiare l’ambiente, per cambiare l’economia, per creare lavoro, senza aspettare nessun governo, azioni che possiamo fare adesso.

Cristina: In che modo si creano collaborazioni tra le realtà che mappate?

Daniel Tarozzi: Il nostro lavoro è un lavoro sull’immaginario, la prima cosa che cerchiamo di fare è di proporre esempi positivi ispirandoci un po’ allo slogan “vietato non copiare”. La prima connessione che siamo riusciti a creare è quella tra la domanda di cambiamento e l’offerta di cambiamento, ovvero sono un cittadino, un professionista, una persona insoddisfatta, voglio andare a vivere fuori città, creare lavoro, voglio fare qualcosa nella mia vita. Vado a trovare chi lo ha già fatto e poi cerco person con cui farlo anch’io, per cui si ci sono tanti borghi abbandonati che si stanno ripopolando. Ci sono tantissimi altri che stanno creando progetti agricoli, ma anche imprenditoriali, digitali, fab lab. Quindi natura, città, davvero un’Italia in fermento e straordinaria in tutti i campi.

Cristina: C’è una Regione che meglio di altre fa sistema?

Daniel Tarozzi: Per fare qualche esempio concreto da nord a sud mi vengono in mente ad esempio, circuiti di monete complementari in Sardegna che stanno mettendo l’economia in circolo davvero facendo girare milioni di euro di economia che non avrebbe girato senza questo strumento. Oppure ancora dei piccoli produttori che in Sicilia si sono messi a cooperare con i cosiddetti competitor, cooperando insieme vendendo ai gruppo di acquisto del centro-nord hanno visto tutti aumentare i fatturati. La cooperazione che vince contro la competizione. E ancora, tantissimi giovani, c’è questa tema dell’agricoltura. L’agricoltura, quella che davvero valorizza i nostri prodotti. è in una crescita incredibile, quindi quando si parla di crisi bisogna stare attenti. C’è la crisi di un mondo, di un settore. Io racconto l’Italia dal 2012 e in questi anni di crisi piena c’è tutta un’Italia, che senza mai negare le difficoltà perché saremmo utopici, che sta realizzando progetti che funzionano anche a livello economico.

Cristina: Sembrerà tanto banale ma viviamo in un paese meraviglioso, facciamolo funzionare meglio. Occhio al futuro

In onda 11-5-2019