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Robots and us, un viaggio in Giappone

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Questo è un assaggio di un viaggio in Giappone dove ho potuto incontrare scienziati e designer che stanno sviluppando i robot del futuro.

ROBOT: Sono molto felice.

CRISTINA: Ti senti mai solo?

ROBOT: Sì, la notte mi sento solo. Mi sento solo.

SHIGURE: Gli esseri umani hanno sempre un po’ di tensione nei confronti del prossimo, mentre gli androidi sono molto più semplici. Sono robot, e gli uomini si fidano più di un robot che di un’altra persona. Questo robot ha l’obiettivo di controllare gli anziani. Kobian può realizzare espressioni a tutto corpo e anche soltanto espressioni facciali. Penso che i robot addetti alla comunicazione con l’uomo saranno parte fondante della nostra società tra non più di dieci anni. Lo scopo di questo robot è di monitorare l’ambiente, in particolare zone disastrate, come Fukushima.

Un viaggio nel futuro con Cristina Pozzi

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Vi gira la testa quando pensate agli scenari del futuro di lavoro, società e famiglia? Ecco un breve viaggio con Cristina Pozzi, autrice di 2050. Guida (fu)turistica per viaggiatori nel tempo. Cristina è anche fondatrice di Impactscool, che porta nelle scuole e università italiane percorsi di formazione per essere pronti ai grandi cambiamenti in corso.

Cristina: Quali sono i cambiamenti che ci aspettano nei prossimi anni? Cristina tu sei imprenditrice sociale e scrittrice e hai fatto un viaggio nel futuro, che cosa hai visto?

Cristina Pozzi: Sicuramente il futuro che ho visto nel 2050 è un futuro dove cambia l’ambiente in cui noi viviamo perché il nostro pianeta, ahimè, per effetto del riscaldamento globale sarà soggetto a tantissimi cambiamenti, però anche lo stesso concetto di ad esempio famiglia, potrebbe essere messo in dubbio, cambiare, evolversi, per effetto di evoluzioni della genetica. Per esempio già oggi si possono fare figli con tre genitori andando ad utilizzare il materiale genetico di tutti e tre, si fa già in Inghilterra.

Cristina: E come faremo ad aumentare le nostre capacità cognitive?

Cristina Pozzi: Potremo farlo in tanti modi, sia dal punto di vista chimico con medicine che si stanno già studiando che possono aumentare la nostra attenzione ad esempio, si anche con le cosiddette neurotecnologie che invece possono essere veri e propri impianti tecnologici o caschetti da indossare che sono in grado di aumentare la nostra creatività

Cristina: E se non sono a portata di tutti come costi?

Cristina Pozzi: Potrebbero essere a beneficio solo di alcuni. Probabilmente non vogliamo vedere una società dove solo alcune persone possono essere più intelligenti, più di successo sul lavoro o avere accesso a determinate cure, più sani. Per chi non se lo può permettere potrebbero esserci scenari dove addirittura si può ottenere una tecnologia in cambio però di essere soggetti a pubblicità, magari continue, in modo da poterlo avere gratuitamente.

Cristina: Pure cedendo i propri dati del DNA?

Cristina Pozzi: Assolutamente si, quello potrebbe diventare una vera e propria fonte di reddito, addirittura quasi uno dei tanti lavori che ci troveremo a svolgere perché molto probabilmente non svolgeremo un solo lavoro ma tanti contemporaneamente.

Cristina: E i mestieri di oggi spariranno. Quali sono quelli che secondo te rimarranno o nasceranno e saranno strategici?

Cristina Pozzi: Sicuramente trovandoci immersi in una realtà cambiata in pochissimo tempo e che facciamo fatica a comprendere, magari anche per la presenza di robot attorno a noi in qualunque situazione, la figura dello psicologo che ci può aiutare nel gestire il passaggio, sarà centrale.

Cristina: Secondo te c’è la formazione giusta per compiere questo viaggio verso il futuro?

Cristina Pozzi: Per ora no, il consiglio che do sempre è quello di imparare a essere curiosi e imparare ad imparare.

Cristina: Coniugando quindi i nostri naturali talenti e le nostre capacità intellettuali, di cuore, creative e la volontà. Occhio al futuro

In onda 29-9-2018

Caracol, design e stampa 3D

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Ogni innovazione comporta molte conseguenze. La storia che vi raccontiamo oggi offre uno squarcio sull’impatto della stampa 3D in molte filiere di manifattura. Ad esempio, la progettazione di una sedia su misura o la realizzazione di una semplice pinza, che influisce sulla performance di un braccio robotico. Il simbolo di Caracol Design Studio è una lumaca, che ha un guscio dalla struttura complessa e stratificata. Una buona metafora per rendere l’idea di quanto si nasconde dietro al design sistemico.

Cristina: Oggi vi raccontiamo del matrimonio tra due tecnologie, la robotica e la stampa 3D, o manifattura additiva. Questo consente di esplorare nuovi orizzonti progettuali. Ve lo raccontiamo attraverso casi molto pratici. Su cosa state lavorando adesso?

Paolo Cassis: In questo momento stiamo studiando un metodo per produrre delle sedie totalmente su misura ed ergonomiche per ogni persona. Stiamo cercando di fare questa applicazione tramite un’associazione di sistemi robotici e dispositivi di stampa 3D.

Cristina: E quindi come funzionerebbe? Io la sogno una sedia ergonomica fatta per me che però non mi costi una cifra improponibile.

Paolo: Si partirebbe scannerizzando, quindi prendendo nel modo più preciso possibile i dati del tuo corpo e della tua schiena per poi rielaborarli digitalmente e farli produrre con una precisione millimetrica al robot e alla stampante 3D.

Cristina: Per un costo di?

Paolo: Per un costo che si potrebbe aggirare tra i 100 e i 120 euro anche.

Cristina: Qualche altro esempio di risparmio con questo tipo di manifattura?

Paolo: Noi abbiamo prodotto questa pinza da fresa, in manifattura additiva, che è molto più leggera del pezzo che tradizionalmente è prodotto in metallo. Questa pinza viene installata proprio sui robot e ha permesso all’azienda di risparmiare sulla taglia di questo macchinario dato che il peso è minore e quindi realizzare lo stesso lavoro con un robot più piccolo. Risparmiando anche decine di migliaia di euro sul prezzo di macchinario.

Cristina: Lavorate anche con artigiani?

Paolo: Si, lavoriamo con artigiani perché crediamo che il valore della tradizione sia portare avanti anche in un ambito innovativo proprio perché è la tradizione, l’innovazione, una collaborazione benefica tra questi due approcci sia un motore del progresso nel design.

Cristina: Con rispetto per il passato, occhio al futuro.

Robot Wamot della Waseda University di Tokyo

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Cristina: Siamo all’Università Waseda e stiamo per sentire questo oggetto straordinario che abbiamo di fronte che cosa combina.

Prof. Hiroyuki Ishii: Questo è un robot che analizza la qualità dell’ambiente, sviluppato nei laboratori Takanishi dell’Università Waseda a Tokyo. È capace di raccogliere dati sulla salute del terreno, di flora e fauna. Soprattutto può essere usato per intervenire in aree disastrate, quando accade una calamità, il robot in loco può cercare le persone, o monitorare i livelli di inquinamento.

Cristina: Perché si muove in questo modo buffo?

Prof. Hiroyuki Ishii: Ha un sistema motorio originale, che gli consente di muoversi su tutti i terreni, erbosi, innevati, rocciosi, sabbiosi e fanghosi. Può scavalcare massi e tronchi, superare ostacoli e dislivelli.

Cristina: Da che distanza può essere controllato?

Prof. Hiroyuki Ishii: É comandato dalla rete dei telefoni cellulari che ci permette di controllarlo a distanza, stiamo facendo esperimenti tra l’Italia e il Giappone. Collaboriamo con la scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Quando sono andato in Italia, in Abruzzo a Petri, ho messo li il mio robot e il studenti lo controllavano dal Giappone. Vedete? Questo circuito comunica con lo smartphone montato sul robot che le riceve dallo smartphone in mano all’uomo. Tali istruzioni viaggiano da scheda a scheda fino al circuito interno che controlla i motori. L’obbiettivo principale di Wamot è di trovare gli hot spot, ossia i picchi di inquinamento che sono i più pericolosi per la salute degli esseri  viventi. Lo fa rilevando il livello di radiazioni sulla superficie del suolo.

Cristina: Che applicazioni avete in mente? Le persone potranno usarlo sui propri terreni?

Prof. Hiroyuki Ishii: Si, l’idea è quella di dare questi robot agli agricoltori, alle guardie forestali, in modo che possano avere un controllo diretto sulle condizioni del territorio.

Cristina: Wamot è stato progettato per essere venduto ad un prezzo democratico, mettendo così le persone di misurare direttamente la salubrità del suolo. Una piccola rivoluzione.

Prof. Hiroshi Ishiguro e i suoi robot

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Cristina: Vi ricordate la pecora Dolly? La clonazione biologica destò molto stupore, oggi vi parliamo di una cosa che non è meno stupefacente.

Prof. Hiroshi Ishiguro: Sono uno scienziato e un’ingegnere, il mio ruolo è quello di inventare cose nuove.

Cristina: Professor Ishiguro, come è arrivato fin qui?

Prof. Hiroshi Ishiguro: É una storia lunga. Da ragazzo volevo fare il pittore, poi ho rinunciato all’arte per studiare informatica e intelligenza artificiale, così sono arrivato a sviluppare robot androidi che assomigliano a noi e ho capito che sto creando, come un’artista. I robot sono una tela per me.

Cristina: Ci descrive come nasce un Geminoid?

Prof. Hiroshi Ishiguro: Prima facciamo uno scan 3D del corpo, poi facciamo il calco e la parte più importante è ricreare la consistenza della pelle umana. In parallelo, sviluppiamo le funzioni meccaniche ed elettroniche integrate che sono l’anima del robot. queste vengono poi coperte da uno strato di silicone, una seconda pelle. É un sistema ibrido e come può osservare nascono movimenti spontanei, inconsci.

Cristina: Ti senti mai solo?

Geminoid: Si. Di notte sono molto solo.

Prof. Hiroshi Ishiguro: La voce arriva attraverso internet da un computer che la analizza e ne copia i movimenti. Qui non usiamo l’intelligenza artificiale. Questo androide è telecomandato, ci interessa potergli inviare informazioni, anche quando si trova in posti lontani. Il suo padrone lo può muovere come fa con il suo stesso corpo, in un futuro vicino renderemo questi androidi autonomi.

Cristina: E cosa state facendo fare ai vostri androidi, quali mansioni?

Prof. Hiroshi Ishiguro: La nostra prima sfida è stata di sostituire una conduttrice di un telegiornale. Funziona molto bene perché gli androidi non sbagliano mai e soprattutto quando ha a che fare con un ruolo pubblico è molto utile. Abbiamo messo una commessa androide nel centro commerciale, le persone sono felici di parlare con lei. Poi la gente sa che i robot non mentono mai, si fida di più dei computer. Penso che sarebbe facile sostituire commessi umani con commessi androidi.

Cristina: Quando interagisce con i Geminoid si attiva una risposta empatica in lei?

Prof. Hiroshi Ishiguro: La forma e i movimenti dell’androide, assomigliano a quelli dell’uomo, per questo si attivano i neuroni specchio in chi interagisce con lui. Noi umani riconosciamo un’androide come nostro simile, a partire dal tatto. Il meccanismo empatico qui è automatico.

Cristina: Le sono stati commissionati androidi da persone che vogliono un loro gemello robot?

Prof. Hiroshi Ishiguro: Ho creato un androide per il professore Danese Heinrich Scharfe e lui lo sta usando, vuole studiarlo, svilupparlo. Lo fa sperimentando e mandandolo nel mondo a fare conferenze.

Cristina: Crede possibile che l’uomo un giorno avrà relazioni sentimentali con questi robot androidi?

Prof. Hiroshi Ishiguro: A volte il robot può essere molto meglio dell’umano. Il robot è più bello, voglio dire, è un’ideale. Immagina un idolo pop, una cantante, è meglio la versione umana o il robot? Quale ha più fantasia? L’androide non va in bagno, non si stanca. Con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale probabilmente la gente arriverà ad accettare gli androidi come esseri umani.

Cristina: Può essere comodo in molte circostanze della vita avere il proprio doppio. Per me sarebbe utile, penso per la mia famiglia sarebbe un’incubo.

Robotica umanoide alla Waseda University di Tokyo

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Al Humanoid Robotics Institute presso la Waseda University a Tokyo abbiamo incontrato un gruppo di ricercatori che sta sviluppando robot per assistere gli anziani e per intervenire in aree disastrate. Waseda collabora con L’Istituto Superiore Sant’Anna di Pisa e insieme al Professor Takanishi lavorano diversi italiani, tra cui il livornese Gabriele Trovato.

Perché il robot Asimo non è stato capace di stringere la mano alla Cancelleria Merkel durante una recente visita in Giappone?

Cristina: Siamo a Tokyo alla Waseda University dove incontriamo ricercatori italiani che collaborano con i Giapponesi per lo sviluppo della robotica. Professor Takanishi, qual’è l’area di ricerca più importante a cui state lavorando nel dipartimento di robotica umanoide?

Prof. Takanishi: Una delle più importanti ricerche qui al Waseda Institute di Tokyo è nel campo dei robot umanoidi e stiamo studiando modi per rispondere ai diversi bisogni dell’uomo. In particolare modo stiamo sviluppando robot per assistere gli anziani e le famiglie. I vecchi, sappiamo, hanno bisogno di aiuto nella vita quotidiana ma soprattutto, soffrono di solitudine. Un robot che sa comunicare con le persone tiene compagnia, è di grande aiuto e sta diventando un’assistente importante anche per monitorare la salute.

Cristina: Questi robot possono imparare da soli in qualche modo?

Prof. Takanishi: Si, ed è una funzione molto importante. L’interazione uomo-uomo ha infinite variabili diverse e noi dobbiamo sviluppare nei robot adattabilità molto complesse. Abbiamo uno studente italiano, di Livorno, che sta facendo ricerca in questo ambito con l’umanoide Kobian, che è molto importante per capire come favorire la relazione uomo-robot cone persone di culture diverse.

Gabriele Trovato: Kobian può realizzare espressioni con il corpo e anche soltanto espressioni facciali. Abbiamo anche una nuova funzione che potrà anche mostrare dei simboli come magari una lacrima o un punto interrogativo. Questi sono anch’essi importanti per aiutare a trasmettere a quale emozione sta pensando il robot a secondo delle diverse culture.

Cristina: C’è un famoso aneddoto a questo proposito giusto?

Gabriele Trovato: Si di recente il robot Asimov a cui la Cancelliera Merkel ha provato a stringere la mano ma i tecnici giapponesi lo faranno inchinare piuttosto che dare la mano. I robot devono essere impiegati in spazi dove ci sono anche altri esseri umani, dove ci sono scale e i robot devono potersi muovere con due gambe, quindi non possono avere le ruote. Questo robot è specializzato nella camminata, tutti gli altri robot come Asimov ad esempio, non muovono il bacino, cercare di realizzare un robot umanoide non vuole dire soltanto androidi, quindi con un aspetto umano con una pelle artificiale. Vuol dire anche imitare il movimento.

Prof. Takanishi: Come sapete 4 anni fa a Fukushima c’è stato un tragico incidente, gli ambienti nelle centrali nucleari sono stati progettati per l’uomo che in condizioni simili non può accedervi. Così ho avuto un’idea, di progettare robot umanoidi per intervenire in luoghi disastrati, inquinati, e inaccessibili per l’uomo. Entro dieci anni questi robot comunicanti avranno un ruolo importante nella società.

Lo spettrometro che misura stress

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Abbiamo incontrato il Professor Giuseppe Pezzotti, primo accademico italiano ad aver avuto una cattedra a tempo pieno al Kyoto Institute of Technology. Oggi Pezzotti è diventato un punto di riferimento nel mondo per l’analisi di protesi espiantate dal corpo umano. Grazie allo spettrometro Raman, misura lo stress a livello nanometrico che gli consente di capire perché è avvenuto il danno. In questa intervista il Professore ci racconta quali saranno le future applicazioni di questa tecnologia.

Cristina: Siamo al Kyoto Institute of Technology e stiamo andando a trovare il Professor Giuseppe Pezzotti, che è il primo professore non Giapponese ad aver avuto una cattedra permanente. È passato dall’ingegneria meccanica alla fisica quantistica, passando per la medicina.

Prof. Giuseppe Pezzotti: Ora stiamo misurando il grado di ossidazione di un ginocchio artificiale in polietilene espiantanto dopo 11 anni in un corpo umano.

Cristina: Cosa si riesce a vedere con quel macchinario che non emerge da una normlae radiografia?

Prof. Giuseppe Pezzotti: A livello molecolare si vede il livello di ossidazione del polietilene in maniera non distruttiva, viene mandato un raggio laser che arriva sul materiale ed eccita le vibrazioni molecolari e come uno dei fenomeni correlati all’irradiazione, c’è un’emissione luminosa – l’emissione raman – che si vede in uno spettro e ci spiega se è ossidato o meno, se ha stress o meno, se alcune specie chimiche sono attaccate alle molecole o meno.

Cristina: Questi che cosa sono?

Prof. Giuseppe Pezzotti: Questi sono impianti che sono stati tirati fuori dal corpo umano che ci vengono spediti per vedere qual’è stata la degradazione del materiale e ce ne sono alcuni come questo che sono stati molto poco all’interno del corpo umano, per pochi mesi, ma già hanno avuto problemi. Invece altri che hanno resistito tanti anni ma si sono degradati e quindi cerchiamo di capire il motivo della degradazione.

Cristina: Quali possono essere le cause di questi malfunzionamenti?

Prof. Giuseppe Pezzotti: La causa principale che viene riportata dai malfunzionamenti è dovuta all’osteolisi, che è una degradazione dell’osso, che avviene in seguito al rilascio di debris – piccole particelle di polietilene che si annidano vicino alla protesi e causano una reazione fisiologica dell’organismo che cerca di eliminarle. Capire i meccanismi di degradazione è una cosa fondamentale. Il raman è una metodo non distruttivo quindi apre la possibilità di controllare pezzo per pezzo quindi in maniera deterministica la qualità dei pezzi incorporati.

Cristina: Quali sono altri possibili applicazione della spettroscopia raman?

Prof. Giuseppe Pezzotti: Per esempio, possiamo studiare il grado di osteoporosi delle ossa, e potrebbe essere usato in futuro per metodi diagnostici. Altre cose possibili sono lo studio delle proteine per vedere con quale rapidità una persona invecchia. Un’altra possibilità è lo studio della demineralizzazione delle lamelle nei denti, per esempio capire se e quali sarà la probabilità di carie. Un’altra possibilità è studiare l’osteoartrite, riuscire a capire quando la cartilagine si sta per alterare perché l’alterazione molecolare avviene sempre prima, è il precursore diciamo della malattia. L’applicazione del raman è fondamentale come disciplina preventiva.