Dieci anni fa sono andata in Giappone per intervistare designer e scienziati del futuro. L’idea che avevamo dei robot era ancora fortemente legata all’immaginario della fantascienza e a una tecnologia distante dalla nostra quotidianità. Oggi, invece, siamo nel “futuro” — e vedere come molte delle previsioni siano diventate realtà è allo stesso tempo incredibile e inquietante.
“Ti senti mai solo?”, ho chiesto al primo umanoide che ho avuto modo di incontrare. “Sì, la notte mi sento solo.”
Durante quel viaggio ho intervistato il padre degli umanoidi, Hiroshi Ishiguro, che mi ha presentato la copia androide di se stesso, chiamata HI-6. Dopo dieci anni, HI-6 ha sviluppato una forma di autostima che si riflette nella sua capacità di rispondere e interagire verbalmente.
“Gli esseri umani provano sempre una certa tensione verso gli altri,” mi spiegava Ishiguro, “mentre i robot sono molto più semplici. Sono programmati. E le persone si fidano più di un robot che di un altro essere umano.”
Dieci anni fa si prevedeva che i robot sarebbero diventati parte integrante della nostra società, delle nostre vite e del mondo del lavoro. Oggi posso affermare che è proprio così.
L’evoluzione della robotica in Giappone
All’epoca, Ishiguro mi spiegava che il suo androide Gemini HI-6 era stato progettato senza l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Nel 2025, però, lo scenario è profondamente cambiato.
Il Giappone è ancora uno dei leader mondiali nella robotica, ma il panorama si è notevolmente ampliato. La densità di robot industriali è aumentata esponenzialmente e, parallelamente, la robotica di servizio — quella destinata a interagire con gli esseri umani — ha compiuto un enorme salto in avanti.
Le innovazioni più radicali non riguardano solo l’aspetto o i movimenti dei robot, ma la loro capacità di apprendere e adattarsi. Non si limitano più a seguire istruzioni: imparano, analizzano dati, si autoregolano. Grazie all’intelligenza artificiale generativa e alla simulazione in tempo reale, i robot sono oggi in grado di adattarsi a compiti nuovi e ambienti complessi. Alcuni sono costruiti con materiali flessibili — i cosiddetti robot “molli”, e vengono impiegati per interventi chirurgici, assistenza domiciliare e altri contesti delicati.
L’intelligenza artificiale è diventata una componente “fisica” dei robot: essi apprendono, reagiscono, decidono. Sono ideali per operare accanto all’uomo, come alleati, anche in situazioni imprevedibili.
I robot della Waseda University
All’Humanoid Robotics Institute della Waseda University di Tokyo abbiamo incontrato un gruppo di ricercatori impegnati nello sviluppo di robot per assistere gli anziani e intervenire in situazioni di emergenza, come disastri naturali.
Waseda collabora attivamente con l’Istituto Superiore Sant’Anna di Pisa, e tra i ricercatori italiani che lavorano lì c’è anche il livornese Gabriele Trovato. Una delle linee di ricerca più importanti è lo studio delle emozioni nei robot umanoidi, e su come essi possano rispondere ai diversi bisogni dell’uomo.
Il robot Kobian, ad esempio, è in grado di esprimere emozioni sia attraverso il linguaggio del corpo che mediante le espressioni facciali. Può perfino simulare una lacrima, per creare empatia con le persone.
Oggi il rapporto tra uomo e robot è cambiato radicalmente. I robot non sono più solo strumenti: stanno diventando collaboratori, assistenti e compagni. La robotica è entrata in settori come la logistica, la sanità, l’ospitalità, l’agricoltura e la vita domestica. Con l’evoluzione delle infrastrutture digitali, i robot sono sempre più connessi e integrati in reti intelligenti, capaci di scambiare dati in tempo reale e lavorare in sinergia.
Il futuro è adesso
Ripensando a quel primo incontro con la robotica in Giappone, oggi possiamo dire che i robot non sono più una promessa del futuro, ma una presenza concreta, attiva e in continua evoluzione.

