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Formafantasma indaga il riciclo dei rifiuti elettronici

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Gli elementi preziosi nell’elettronica hanno tre problematiche: il danno all’ambiente nell’estrazione; la breve durata di vita dei dispositivi stessi; alla fine del loro ciclo di vita, non vengono adeguatamente riciclati. Si stima che entro il 2080, le più grandi riserve minerarie non saranno più sottoterra, ma in superficie, come lingotti o come parti di materiali da costruzione, elettrodomestici, mobili e device.
Simone Farresin e Andrea Trimarchi di Studio Formafantasma hanno condotto un’indagine ambiziosa sul riciclaggio di rifiuti elettronici con il loro progetto Ore Streams – in esposizione durante Broken Nature alla Triennale di Milano

Cristina: Questo cassetto è fatto con il case di un vecchio computer. Pensate, i rifiuti elettrici ed elettronici sono quelli che crescono più in fretta, solo il 30% però viene riciclato. Intervenire sul restante 70% è molto complesso perché complessi sono gli oggetti di cui parliamo e complicate sono le filiere.

Simone Farresin: La smontabilità degli oggetti è fondamentale, pertanto per esempio istituire un sistema di viti universale sarebbe utilissimo. Per esempio il nero dei cavi elettrici è molto difficile da riconoscere per i sistemi che vengono utilizzati per separare, i lettori ottici. Cambiare semplicemente il colore dal nero ad un colore aiuterebbe il riconoscimento dei cavi elettrici e il recupero del rame. Per di più sarebbe fondamentale istituire un sistema di etichettatura che dica all’utente, nel momento in cui compra un oggetto elettronico, quanto durerà nel tempo. Ovviamente questi oggetti vengono riciclati ma in modo un po’ più sofisticato nei nostri paesi, invece nei paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di un codice colore che li aiuti a comprendere in modo intuitivo quali sono i componenti pericolosi per essere smontati a mano, in modo tale che il riciclo venga fatto nel modo opportuno.

Cristina: Voi avete incontrato per il vostro progetto attori lungo tutto la filiera, dove avete incontrato la maggiore resistenza?

Andrea Trimarchi: Devo dire che una delle cose più complesse in realtà è stata entrare in contatto con i produttori di elettronici. Abbiamo parlato con università, con produttori, aziende di riciclo, abbiamo parlato anche con persone che si occupano di leggi. Diciamo che quelle sono state più disponibili poi ad accoglierci, la cosa più difficile appunto è stata parlare con i produttori.

Cristina: Perché non sono disposti ad essere parte della soluzione?

Simone Farresin: Probabilmente perché è molto complesso in questo momento investire risorse economiche per cambiare veramente le cose invece di semplicemente fare dei piccoli passi avanti che vengono usati simbolicamente come sistema pubblicitario invece che di reale interesse per il riciclo di questi prodotti.

Cristina: Voi avete una soluzione a tutte, qual è?

Andrea Trimarchi: Una delle più probabili soluzioni potrebbe essere di organizzare tavoli dove i vari attori del sistema produttivi, dai produttori di elettronica ai riciclatori e ovviamente anche designer, possano incontrarsi su queste tematiche.

Cristina: Sembra assurdo, questo non avviene già?

Andrea Trimarchi: Purtroppo no, anche in ambito legislativo spesso vengono messi insieme i riciclatori e anche i produttori, ma la maggior parte delle volte, noi designer che siamo quelli che trasformano le materie prime in oggetti, non facciamo parte di queste riunioni.

Cristina: Il design può e, in questo caso, ha un ruolo politico, lasciamoci ispirare.

In onda 30-3-2019

Fanghi da depurazione diventano risorsa con Bioforcetech

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Il fango da depurazione è quella frazione di materia solida contenuta nelle acque reflue urbane ed extraurbane, che viene rimossa negli impianti di depurazione durante i vari trattamenti depurativi necessari a rendere le acque chiarificate compatibili con la loro reimmissione in natura senza creare alterazioni all’ecosistema. Complessivamente, in Italia vengono prodotte circa 3.000.000 di ton/anno di fanghi da depurazione. Più o meno inquinati. Eliminarli correttamente costa una media di 150€/ton, totale sono 450.000.000 €/anno. Con il sistema di Bioforcetech, che diminuisce notevolmente il rifiuto e lo trasforma in Biochar, si può arrivare ad un risparmio del 90% . Perché riducendo il volume del 90% si riducono altrettanto tutti i costi i consumi energetici e di trasporto.

Cristina: Il problema che trattiamo oggi nasce dalle nostre fogne, riguarda la salute di tutti noi. La soluzione nasce da un gruppo di giovani italiani che hanno progettato un macchinario capace di trasformare rifiuti in risorsa.
Gli scarichi urbani, industriali e agricoli vengono raccolti in impianti che separano la parte liquida da quella solida, per poi essere trattati. La legge consente di riutilizzarne una parte in agricoltura. Nel 2017, 60 comuni lombardi si sono uniti per contestare l’uso dei fanghi da depurazione nei terreni dove cresce il cibo che mangiamo, hanno fatto ricorso al TAR e hanno vinto. La loro preoccupazione era di non poter tutelare la salute dei cittadini. La questione è divampata, generando interventi e analisi in diverse regioni italiane. Sono stati trovati elementi inquinanti elevati come idrocarburi, PFAS e altre sostanze nocive. Mangiamo cibo inquinato più di quanto pensiamo.
In seguito alla decisione dal TAR sono stati abbassati del 90% gli inquinanti ammessi nei fanghi da depurazione usati in agricoltura. Ma gli impianti non sono stati in grado di adeguarsi alle nuove norme e il sistema è entrato in crisi. Data l’emergenza, nel Decreto Genova, quello del ponte, si è inserito un aggiornamento che porta la soglia al 50% di quella iniziale. Fifty Fifty, come si suol dire! Con il rischio di continuare a mangiare cibo inquinato.
Le soluzioni ci sono, e questa che vedete è capace di depurare i fanghi direttamente dove vengono raccolti, trasformandoli in risorse pulite e nutrienti, riducendone peso e volume del 90%, usando pochissima energia esterna e producendo energia rinnovabile. Si tratta di un essiccatore biotecnologico che non usa combustione diretta, dove nella prima parte il calore emesso dalle sostanze organiche viene recuperato e diventa energia per essiccare i fanghi. Successivamente attraverso un procedimento in assenza di ossigeno i fanghi vengono portati a temperature che vanno dai 350C° ai 700C° – secondo la qualità della materia di partenza. Il prodotto che esce da questo macchinario si chiama biochar ed è altamente fertilizzante. I vostri macchinari dove li avete installati?

Matteo Longo: Abbiamo installato le nostre prime macchine negli USA, il più importante si trova a San Francisco dove trattiamo 7000 tonnellate all’anno di fanghi di depurazione. Noi le macchine le produciamo in Italia, proprio perché vogliamo lavorare con le piccole-medie imprese italiane a costruire le nostre macchine.

Cristina: Oltre ai vantaggi ecologici che abbiamo visto, quelli economici quali sono?

Matteo Longo: Quelli economici sono molto interessanti. Complessivamente, in Italia vengono prodotte circa 3.000.000 di ton/anno di fanghi di depurazione. E hanno un costo di smaltimento di circa 150€/ton (totale 450.000.000 €/anno). Con i nostri processi andremmo ad abbattere del 90% il costo proprio grazie alla diminuzione del rifiuto, che poi possiamo anche riutilizzare come ammendante per il terreno nel caso del biochar.

Cristina: Il biochar serve come materiale filtrante per bonificare acque inquinate e fumi nocivi. Può diventare un biomateriale per il design e l’architettura, filamento per le stampanti 3D e chissà …. Conviene a tutti fare i conti con la realtà. E promuovere l’economia circolare. Non solo a parole ma coi fatti.

L’enorme potenziale dei miceti

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La degradazione del suolo è un problema molto importante, la cui causa principale è l’inquinamento da parte di metalli pesanti, oli o idrocarburi che rendono inutilizzabili circa 340mila siti in tutta Europa.
Alla Mycotheca dell’Università di Torino sono conservati oltre 6.000 ceppi di miceti (funghi), provenienti da tutto il mondo. Rappresenta una delle più importanti banche di biodiversità fungina in Italia, dove studiano l’enorme potenziale di questa specie. In collaborazione con il progetto europeo LIFE Biorest, si stanno occupando del biorisanamento di 18 ettari a Fidenza.

Parte I

Cristina: Siamo alla Mycotheca di Torino che fa parte del Dipartimento di Scienza della Vita e Biologia dei Sistemi per raccontarvi quanto sono potenti ed efficaci i funghi. State lavorando ad un importante progetto con l’Unione Europea, ce lo racconta?

Prof.ssa Giovanna Cristina Varese: Certo, si tratta del progetto Life Biorest, volto alla depurazione di siti contaminati. La contaminazione del suolo è un problema enorme a livello mondiale ed europeo. Per darvi un numero, in Europa ci sono più di 200.000 siti contaminati, meno del 20% in questo momento sono diciamo trattati. Il progetto si svolge nel comune di Fidenza, è uno dei cosiddetti SIN, quindi i siti più contaminati in Italia. Abbiamo selezionato una serie di microrganismi, nel nostro caso funghi, per la loro spiccata capacità di degradare inquinanti.

Cristina: Come funziona questa depurazione?

Prof.ssa Giovanna Cristina Varese: Questo funghi li abbiamo isolati, fatti crescere dandogli da mangiare esclusivamente i contaminanti di questo suolo come ad esempio il pirene, il naftalene e fenantrene, poi abbiamo dimostrato come questi funghi si sono così adattati all’ambiente contaminato che preferiscono mangiare questo tipo di inquinante piuttosto che molecole come il glucosio. Li abbiamo selezionati poi per la capacità di poter crescere su substrato a basso costo, perché uno dei problemi più importanti è di far vivere e vegetare i microrganismi nel suolo. Quindi i microrganismi selezionati per le loro capacità degradative vengono poi miscelati al suolo e attraverso un sistema di questo genere vengono poi creati dei grossi cumuli di circa 1 tonnellata di suolo che viene mantenuto in condizioni controllate di temperature e umidità per un periodo che va dai 3 ai 6 mesi. L’utilizzo di questo microrganismi permette di degradare una quantità molto maggiore di inquinanti e di abbreviare i tempi di trattamento, riducendo quindi anche i costi del trattamento stesso.

Cristina: Su questo terreno poi si potranno edificare case, si potrà vivere in modo sano?

Prof.ssa Giovanna Cristina Varese: Questo processo prevede anche una rivegetazione, quindi l’Università Cattolica di Piacenza sta selezionando una serie di piante che siano ben adattate a questi suoli. Nel momento in cui la popolazione vedrà che i microrganismi prima hanno degradato la maggior parte degli inquinanti e che le piante si accrescono su questo suolo, avrà la percezione visiva che il sito è stato veramente pulito in modo definitivo. L’area è molto vasta, di circa 18 ettari, e a causa dei bombardamenti che ci furono durante la seconda guerra mondiale gli inquinanti si spingono fino a 28 metri di profondità, quindi un volume di suolo da trattare veramente enorme.

Cristina: Quando decreterete i primi risultati?

Prof.ssa Giovanna Cristina Varese: I risultati che abbiamo ottenuto fino ad adesso nelle prove preliminari sono assolutamente positivi.

Parte 2

Cristina: Siamo tornati alla Mycotheca di Torino perché qui c’è la più importante collezione di ceppi di funghi d’Italia. Stanno lavorando a tantissime applicazioni, veramente strategiche per il nostro futuro, ma la cosa più interessante ancora è che di questo regno, perché così sono classificati i funghi, si conosce solo il 10%. Quali altre virtù ci vuole raccontare su questa importante popolazione di organismi?

Prof.ssa Giovanna Cristina Varese: I funghi, oltre che essere bellissimi sono bravissimi e li stiamo utilizzando per studiare la degradazione di tantissimi contaminanti. Un esempio molto recente è la degradazione delle materie plastiche, ci sono tanti tipi di materie plastiche anche le cosiddette bioplastiche quelle biodegradabili in realtà non sono completamente biodegradabili, la normativa si sta evolvendo nel tempo ma diciamo che ad oggi una plastica per essere biodegradabile deve avere il 40% di materiale biodegradabile che diventerà il 50% il prossimo anno il 60% nel 2020. Questo vuol dire che noi dobbiamo favorire questa degradazione, selezionando dei microrganismi in grado di degradare proprio queste materie plastiche e quindi di favorire il loro utilizzo anche in processi come quelli del compostaggio. Stiamo lavorando anche sulle microplastiche in mare, ci sono dei progetti europei per isolare ed identificare microrganismi associati a questo ambiente acquatico ed anche in questo caso per identificare i microrganismi e gli enzimi coinvolti in questa degradazione.

Cristina: Poi c’è anche tutta una classe di sostanze chimiche che non sono proprio favorevoli per la nostra salute di cui vi state occupando.

Prof.ssa Giovanna Cristina Varese: Si in effetti per rimanere nell’ambito acquatico, in questo momento si parla tanto dei cosiddetti interferenti endocrini, sono migliaia da molecole presenti a bassissime concentrazioni nelle nostre acqua. Parliamo di microrganismi a nanogrammi che possono avere degli impatti sulla salute delle persone. Facendo un esempio, lo sviluppo sessuale precoce nei bambini oppure l’obesità infantile. Ovviamente sono ancora cose che devono essere dimostrate in modo certo in campo medico ma insomma il pensiero comune è che quelle molecole presenti nell’ambiente abbiano un ruolo non indifferente. I funghi sono bravissimi nel degradare queste sostanze e quindi a ridurre la tossicità dei reflui civili e dei reflui industriali.

Cristina: Alcuni sono molto promettenti anche in ambito farmaceutico e di cosmetica.

Prof.ssa Giovanna Cristina Varese: Assolutamente si, i funghi producono milioni di metaboliti secondari che hanno attività farmacologiche e quindi ad esempio stiamo studiando le possibilità di coltivare alcuni funghi per produrre nuove molecole ad attività antibatterica, antivirale o con attività antitumorale. In particolare i funghi e, se vogliamo, i funghi provenienti dagli ambienti marini sono in questo momento tra gli organismi più studiati al mondo per la produzione di queste molecole.

Cristina: E poi concludiamo con il piacere di mangiarli. Non ci sono solo i porcini ma..

Prof.ssa Giovanna Cristina Varese: Probabilmente i funghi sono il cibo del futuro attraverso la produzione delle cosiddette micoproteine. Cibo ideale per eccellenza, ricco di proteine, con poche calorie, ricco di fibre e privo di colesterolo.

Cristina: Un universo da scoprire. Occhio al futuro.

In onda 16 e 23-2-2019

Il potere della spazzatura

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Arthur Huang, architetto, ingegnere e CEO di Miniwiz, parla dei suoi processi e impianti per usare la risorsa più abbondate che abbiamo: la spazzatura! La macchina portatile Trashpresso, alimentata da energia solare, è stata a Milano nel Parco Sempione durante il Salone Internazionale del Mobile 2018.

PARTE I

Cristina: Oggi vi presentiamo un ingegnere che progetta impianti per la raccolta e la trasformazione dei rifiuti e pensate che ha ingegnerizzato 1200 nuovi materiali. Arthur, qual è il potere della spazzatura?

Arthur Huang: Oggi è la risorsa più abbondante. È ovunque, nei nostri oceani, nell’acqua potabile, perfino nei ghiacciai a 4.900 metri. Questa risorsa è in costante aumento e credo che dobbiamo occuparcene in modo da poter alimentare un nuovo modo di fare design e cambiare il nostro stile di vita in positivo.

Cristina: Tu te ne stai occupando. Quanti impianti avete progettato?

Arthur Huang: Abbiamo ingegnerizzato circa 1.200 nuovi processi che a loro volta, possono essere suddivisi in quattro grandi categorie di macchinari che separano e trasformano la spazzatura che buttiamo tutti i giorni, dagli imballaggi, ai bicchieri e bottiglie in plastica, fino agli scarti tessili. Attraverso i trattamenti differenziati siamo in grado di ottenere una vasta moltitudine di materiali pre-lavorati, che successivamente possono essere utilizzati in edilizia o per altre categorie di prodotto.

Cristina: Indossi alcuni dei tuoi nuovi materiali, puoi indicarmeli?

Arthur Huang: Questa giacca è monomateriale, senza collanti aggiuntivi, fatta di bottiglie di plastica. I pantaloni anche, sono fatti al 100 percento da bottiglie di plastica, ma al tatto sembrano lana. Le scarpe anche sono in PET riciclato. Perfino i bottoni, gli occhiali e il cinturino dell’orologio sono realizzati con mozziconi di sigaretta. Questo bottone è stato fatto con quattro mozziconi raccolti in Svizzera e in Italia e stiamo creando una nuova generazione di bottoni e altri accessori. Questi sono gli occhiali da sole..

Cristina: Quanta energia si consuma per depurare le tossine da questi materiali?

Arthur Huang: È molto più facile di quanto si creda, è per questo che abbiamo creato un macchinario portatile, per dimostrare in realtà quanta poca energia serva. Tutti i processi del macchinario sono alimentati dall’energia solare, l’aria e l’acqua vengono filtrate in un sistema interno chiuso. Si ha un risparmio energetico pari al 90%, rispetto alla materia vergine proveniente dai fondali oceanici, che viene prelevato sotto forma di petrolio e poi trasformato.

Cristina: Quindi non rimangono tossine nel bottone di mozziconi?

Arthur Huang: Abbiamo fatto dei test – non rimangono tossine nei mozziconi dopo il processo. La macchina cattura tutti i fumi in un sistema chiuso di ricircolo interno.

In onda 1-12-2018

PARTE II

Cristina: Leggiamo sui giornali che c’è più materia prima seconda di quella richiesta sul mercato, è una situazione critica e gli stoccaggi di queste materie vengono addirittura bruciati. Il tuo sistema e la tua strategia, come possono avere un impatto a livello globale?

Arthur Huang: Innanzitutto, la maggior parte dei nostri sistemi sono progettati per essere portatili. Credo che sia molto importante poter avvicinare la tecnologia di trasformazione il più possibile alla fonte di spazzatura. Uno dei maggiori problemi oggi del processo di riciclo è la contaminazione. Una volta che avviene, la materia perde di valore e la lavorazione diventa molto costosa e addirittura più dannosa per l’ambiente. Il vantaggio di raccogliere e trasformare i rifiuti in loco è di rendere la materia prima seconda disponibile in situ a ingegneri e designer.

Cristina: Nella tua esperienza quali sono gli anelli mancanti per poter fruire di queste competenze, intelligenza e soluzioni?

Arthur Huang: Il primo anello mancante è il processo di riciclo in sé. Bisogna sapere come separare i rifiuti. Questa è la prima questione. Di tutti i materiali da riciclo disponibili, qualsiasi sia la percentuale di raccolta, meno del 2 percento viene trasformato in un nuovo materiale. Dopo la raccolta differenziata corretta, bisogna sapere come lavorare i rifiuti. Servono tantissimi dati per avviare il processo, anche a seconda dell’utilizzo finale. Verrà utilizzato per fare scarpe? Una sedia, o un palazzo? Hanno specifiche diverse. Noi adesso stiamo lavorando anche sui dati. Stiamo avviando un database aperto a tutti con 1.200 nuovi materiali, frutto del nostro lavoro degli ultimi 15 anni, così che le istituzioni lo possano utilizzare come strumento educativo per giovani designer ed ingegneri, affinché prendano confidenza con questi processi. Stiamo cercando di rendere il sistema circolare.

Cristina: Qual’è il tuo sogno?

Arthur Huang: Il nostro sogno adesso è di costruire un aereo fatto interamente di spazzatura. Abbiamo comprato un vecchio aereo in Germania e l’abbiamo spedito a Taiwan, dove stiamo inventando o meglio, cercando un nuovo processo per costruire l’ala, fatta in PET riciclato.

In onda 8-12-2018

Fabbriche d’aria

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Il Prof. Stefano Mancuso dell’Università di Firenze, esperto di neurobiologia delle piante, ci parla di un progetto che aiuterebbe chi vive in città a respirare meglio!

Cristina: Parliamo tanto di ridurre l’inquinamento e intanto inquiniamo, mentre non c’è abbastanza attenzione sulla depurazione.

Stefano Mancuso: L’unica cosa che riesce ad eliminare l’inquinamento atmosferico sono le piante. Le piante quindi dovrebbero stare nelle città, nella quantità più alta possibile. Più ne mettiamo, meglio è. Non soltanto nei viali o nei parchi ecc, ma veramente coprire le città di piante e anche in queste condizioni potrebbe non bastare.

Cristina: Voi avete sviluppato un progetto..

Stefano Mancuso: Il progetto che abbiamo chiamato Fabbrica dell’Aria, prevede l’utilizzo di ex-edifici industriali dismessi, da trasformare in delle enormi serre. Devi immaginare un edificio come un cubo in cui all’interno ci sono tanti cilindri. Ogni cilindro è fatto di vetro o cristallo, o di un materiale trasparente, all’interno del quale ci stanno queste piante, diversi strati di piante e l’aria è costretta a passare attraverso tutti questi cilindri.

Cristina: L’aria entra inquinata ed esce..

Stefano Mancuso: E quando esce è completamente purificata. Attualmente stiamo cercando di rendere realizzabile questo progetto nella città di Prato. Prato è una città che, se non erro, dovrebbe essere intorno ai 150 o 200.000 abitanti e avrà necessità per purificare l’intera quantità di aria della città, di quattro di questi edifici. Quindi anche da un punto di vista, non solo funzionale, ma estetico, saranno dei luoghi molto belli. Non bisogna appunto immaginarli come dei depuratori, bisogna immaginarli come degli edifici che contemporaneamente sono in grado di depurare l’aria di una città, ma allo stesso tempo sono dei luoghi che si potranno vivere. Le persone dovranno entrare in questi luoghi, questi luoghi dovranno poter essere luoghi di socializzazione, quello che vuoi! Delle librerie, dei bar, dei ristoranti, di tutto. La qualità dell’aria è talmente buona che addirittura la carica batterica viene abbassata, quindi è un’aria più pura in tutti i sensi.

Cristina: Salgono le endorfine, e tutti quegli ormoni che ci fanno stare bene e quindi non solo fa bene alle città, non solo fa bene all’aria, ma fa bene anche a noi. Che meraviglia, grazie Stefano. Occhio al futuro

In onda 27-10-2018

La tecnologia satellitare che riduce gli sprechi idrici

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La media nazionale delle perdite idriche è del 39,1%. Il Responsabile Acquedotto di HERA, l’Ing. Emidio Castelli, ci spiega come la tecnologia satellitare può ridurre notevolmente questa percentuale nel nosto paese.

Cristina: La rete idrica italiana perde quasi il 40% della sua portata, oggi ci occupiamo di questo e di qualche soluzione. Voi avete circa il 10% in meno rispetto alla media nazionale di perdite nella rete idrica. Come avete conseguito questo risultato?

Emidio Castelli: Investendo e ragionando su diverse tecnologie che possono aiutare a ridurre le perdite. Dalle tecnologie di telecontrollo di porzioni di rete a sistemi acustici per individuare possibili perdite di rete sul campo e recentemente anche con l’introduzione di sistemi satellitari e monitoraggio del terreno. Si tratta di un sistema che fa un analisi spettrometrica del terreno, individuando possibili punti con presenza di acqua, correlate attraverso un algoritmo con la nostra rete acquedottistica, ci individua delle zone dove potrebbero esserci delle perdite

Cristina: Quante perdite avete identificato e riparato?

Emidio Castelli: Negli ultimi tre anni abbiamo individuato 2.400 perdite circa, e 214 di queste attraverso la tecnologia satellitare. Si tratta di perdite occulte che possono avere poca dispersione, ma prolungata nel tempo. L’attività svolta ci ha consentito di recuperare circa 750.000 metri cubi di acqua, l’equivalente di circa 450 milioni di bottiglie d’acqua.

Cristina: Sulla gestione della rete fognaria qual è la visione?

Emidio Castelli: Il servizio idrico è un servizio integrato che parte dalla potabilizzazione dell’acqua per portare l’acqua nelle case dei cittadini fino al riutilizzo delle acque da sistemi di fognatura e depurazione. Bisogna sempre più ragionare con quelli che possono essere strumenti di riutilizzo, anche diretto, delle acque e avere una visione di economia circolare della risorsa idrica.

Cristina: Diciamo che purtroppo non è né prodotta né distribuita in maniera l’acqua. Ci sono certe zone che ne hanno tantissima e altre zone che sono aride.

Emidio Castelli: È importante lavorare investendo, sia nelle interconnessioni delle reti, ovvero quello di mettere in comunicazione reti e acquedotti diversi, sia lavorare sulla realizzazione di bacini di accumulo che acconsentano di poter avere l’acqua accumulare la quando dove non ce n’è bisogno, per poterla ridistribuire quando c’è una criticità idrica.

Cristina: A partire dall’accumulo sui tetti delle case ad esempio..

Emidio Castelli: Anche a livello domestico, utilizziamo l’acqua potabile per degli usi che delle volte non sono prettamente necessari.

Cristina: Grazie. Torniamo a recuperare l’acqua come la usavano i nostri nonni e usiamola con responsabilità. Occhio al futuro

In onda 6-10-2018

Un viaggio nel futuro con Cristina Pozzi

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Vi gira la testa quando pensate agli scenari del futuro di lavoro, società e famiglia? Ecco un breve viaggio con Cristina Pozzi, autrice di 2050. Guida (fu)turistica per viaggiatori nel tempo. Cristina è anche fondatrice di Impactscool, che porta nelle scuole e università italiane percorsi di formazione per essere pronti ai grandi cambiamenti in corso.

Cristina: Quali sono i cambiamenti che ci aspettano nei prossimi anni? Cristina tu sei imprenditrice sociale e scrittrice e hai fatto un viaggio nel futuro, che cosa hai visto?

Cristina Pozzi: Sicuramente il futuro che ho visto nel 2050 è un futuro dove cambia l’ambiente in cui noi viviamo perché il nostro pianeta, ahimè, per effetto del riscaldamento globale sarà soggetto a tantissimi cambiamenti, però anche lo stesso concetto di ad esempio famiglia, potrebbe essere messo in dubbio, cambiare, evolversi, per effetto di evoluzioni della genetica. Per esempio già oggi si possono fare figli con tre genitori andando ad utilizzare il materiale genetico di tutti e tre, si fa già in Inghilterra.

Cristina: E come faremo ad aumentare le nostre capacità cognitive?

Cristina Pozzi: Potremo farlo in tanti modi, sia dal punto di vista chimico con medicine che si stanno già studiando che possono aumentare la nostra attenzione ad esempio, si anche con le cosiddette neurotecnologie che invece possono essere veri e propri impianti tecnologici o caschetti da indossare che sono in grado di aumentare la nostra creatività

Cristina: E se non sono a portata di tutti come costi?

Cristina Pozzi: Potrebbero essere a beneficio solo di alcuni. Probabilmente non vogliamo vedere una società dove solo alcune persone possono essere più intelligenti, più di successo sul lavoro o avere accesso a determinate cure, più sani. Per chi non se lo può permettere potrebbero esserci scenari dove addirittura si può ottenere una tecnologia in cambio però di essere soggetti a pubblicità, magari continue, in modo da poterlo avere gratuitamente.

Cristina: Pure cedendo i propri dati del DNA?

Cristina Pozzi: Assolutamente si, quello potrebbe diventare una vera e propria fonte di reddito, addirittura quasi uno dei tanti lavori che ci troveremo a svolgere perché molto probabilmente non svolgeremo un solo lavoro ma tanti contemporaneamente.

Cristina: E i mestieri di oggi spariranno. Quali sono quelli che secondo te rimarranno o nasceranno e saranno strategici?

Cristina Pozzi: Sicuramente trovandoci immersi in una realtà cambiata in pochissimo tempo e che facciamo fatica a comprendere, magari anche per la presenza di robot attorno a noi in qualunque situazione, la figura dello psicologo che ci può aiutare nel gestire il passaggio, sarà centrale.

Cristina: Secondo te c’è la formazione giusta per compiere questo viaggio verso il futuro?

Cristina Pozzi: Per ora no, il consiglio che do sempre è quello di imparare a essere curiosi e imparare ad imparare.

Cristina: Coniugando quindi i nostri naturali talenti e le nostre capacità intellettuali, di cuore, creative e la volontà. Occhio al futuro

In onda 29-9-2018

La pittura purificante di Airlite

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Airlite ha sviluppato una pittura che purifica l’aria e può essere utilizzata sia in interni che esterni. Neutralizza gli odori, i batteri e previene le muffe. Respinge la polvere e lo sporco e riduce l’inquinamento atmosferico.

Cristina: Non stiamo tutti meglio quando l’aria è leggera? Oggi vi raccontiamo di una tecnologia che ci consente di respirare meglio. Buongiorno Massimo, di che si tratta?

Massimo Bernardoni: È una pittura che contiene varie tecnologie. Riesce a purificare l’aria, riesce ad eliminare i batteri dalla superficie, le muffe, rimane più pulita nel tempo ed elimina anche gli odori. Noi eliminiamo gli inquinanti trasformandoli in sali, questa è una nanotecnologia, e poi ci sono altre tecnologie che non sono nano, che eliminano i batteri, le muffe ed eliminano la possibilità di sporcarsi le pareti con lo smog.

Cristina: Quindi i famosi baffi del calorifero?

Massimo Bernardoni: I famosi baffi dei caloriferi, gli angoli scuri… chiaramente nel tempo noi siamo molto più performanti.

Cristina: È completamente a base di minerali? Sono sostanze di origine petrolifera?

Massimo Bernardoni: Non abbiamo sostanze di origine petrolifera, è minerale, tant’è vero che quando si applica non ha odore.

Antonio Cianci: Con questa tecnologia dipingere una strada di 150 metri, a destra e a sinistra, equivale a piantare un bosco grande come un campo da calcio. Questo perché 12 metri riescono a ridurre l’inquinamento prodotto in un giorno da un’automobile.

Cristina: Assorbe anche particolato?

Antonio Cianci: In modo indiretto. Il particolato è generato dagli ossidi di azoto per sintesi fotochimica, noi ne abbassiamo i livelli e lo riduciamo in modo sensibilmente notevole.

Cristina: Ha anche la capacità di abbattere i consumi energetici. In che modo?

Antonio Cianci: Abbiamo la meravigliosa capacità di riflettere la componente calda della luce solare, quindi dipingendo la parete con questo prodotto si riesce a ridurre fino a 30 gradi la temperature in superficie. In questo modo minor calore passa all’interno e ho meno bisogno di usare riscaldamento o raffreddamento per condizionare la nostra stanza.

Cristina: Invece internamente avete una tecnologia che lavora quasi all’opposto? Creando una sorta di manto protettivo ma traspirante?

Antonio Cianci: La pittura è traspirante, permette quindi il passaggio di tutte le componenti senza creare ristagno e quelle brutte bolle che portano le muffe all’interno delle abitazioni, condizionando in effetti la stanza in modo naturale.

Cristina: In quanti colori esiste questa pittura?

Antonio Cianci: 180 colori. Devo dire che architettonicamente ha una resa molto bella, simile a quelle delle pitture decorative, permette anche finiture di lusso.

Cristina: Cosa succede quando metti insieme due italiani ingegnosi, uno più tecnico, l’altro più imprenditoriale, giovani nello spirito ma con esperienza? Spaccano.

In onda 5-5-2018

Enerbrain, efficientamento energico

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Enerbrain, una start-up di Torino iniziata come 4 amici al bar, oggi si occupa di soluzioni di efficientamento energetico degli edifici attraverso sensori collegati nel cloud.

Cristina: Secondo la Commissione Energia dell’Unione Europea gli edifici consumano il 40% dell’energia totale ed emettono il 36% di CO2. Quali sono i vostri rimedi e come sono nati?

La scintilla è nata qua a Torino, nel corso di un inverno molto rigido ma con temperature variabili, in cui il nostro fisico Marco, si è domandato come potesse regolare meglio il suo impianto domestico.

Cristina: Come funziona la vostra tecnologia?

Andiamo ad installare all’interno degli ambienti dove vogliamo ricreare delle condizioni di comfort, sensori di umidità, temperatura e concentrazione di CO2, quindi per la qualità dell’aria. Ne mettiamo un numero minimo necessario per poter garantire il comfort all’interno di qualsiasi tipo di ambiente. Li posizioniamo in uno o due giorni e questi vanno a parlare direttamente con degli attuatori, un’altra parte di hardware, da installare in centrale termica. I dispositivi si parlano attraverso un’applicazione o un software e ogni 5 minuti va a regolare meglio l’impianto. In questo modo si risparmia.

Cristina: Gli impianti non li cambiate, semplicemente li rendete più efficienti.

Esatto, senza interrompere il normale funzionamento di un impianto, in due giorni andiamo ad efficientare e partiamo subito con i risparmi.

Cristina: Quali sono i risultati? Sia in termini di risparmio energetico che economico.

Il risparmio economico è proporzionale al risparmio energetico, siamo arrivati ad ottenere dei risparmi di energia termica di oltre il 30%.

Cristina: Una soluzione semplice ed efficace per edifici esistenti.

In onda 17-3-2018

Quakebots, monitoraggio sismico

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Capire quanto è vulnerabile un edificio è di particolare importanza in italia essendo, il nostro, il paese più sismico d’Europa. Oggi vi parliamo di Quakebots, un nuovo sistema di rilevamento e diagnosi.

Cristina: Il sistema Quakebots è un sistema di monitoraggio sismico negli edifici che utilizza la tecnologia IoT per monitorare come l’edificio reagisce alle sollecitazioni sismiche. E da quelle sollecitazioni, utilizzando l’intelligenza artificiale, noi creiamo mappe di classificazione che possono far comprendere quali edifici possono essere più vulnerabili. Speriamo che sistemi di prevenzione come questo si diffondano rapidamente in Italia, perché ce n’è veramente tanto bisogno. Immagino che anche i microsismi stressino un edificio, è così?

Gianni Franzosi:  Si assolutamente, ma anche l’attività antropica, il traffico stradale, quello ferroviario, le metropolitane, i lavori interni che vengono fatti negli edifici. Il sistema è in grado di registrare tutte queste vibrazioni e dar un’informazione dello stress che subisce l’edificio.

Cristina: Il vostro sistema consente di capire quando è il momento di intervenire in maniera preventiva su un edificio?

Gianni Franzosi:  Esatto, il sistema serve per la prevenzione. I dati possono essere usati da ingegneri e architetti per le fasi di adeguamento sismico, ma non è soltanto questo. In Italia abbiamo 7 milioni di edifici in aree ad elevato e medio rischio sismico che sono stati costruiti prima degli anni 70.

Cristina: Nella pratica, voi cosa fate? Installate i sensori?

Gianni Franzosi:  Noi installiamo i sensori all’interno degli edifici, su un muro portante e da quel momento inizia ad utilizzare la rete wifi per comunicare informazioni al sistema in cloud. Tutti i sistemi lavorano in rete, quindi i dati che arrivano da un sistema vengono utilizzati per creare valore agli altri edifici.

Cristina: Quindi serve sia per l’individuo che per fare azioni sul territorio?

Gianni Franzosi:  Si esatto. Azioni sul territorio, ovvero comprendere come il territorio si muove, come gli edifici si muovono durante un evento sismico.

Cristina: Avete già installato un certo numero di sensori?

Gianni Franzosi:  Attualmente abbiamo quasi un centinaio di edifici sotto monitoraggio in varie regioni d’Italia, in Calabria, Umbria e altre regioni e stiamo continuando a crescere.

Cristina: Com’è nata questa storia?

Gianni Franzosi:  È nata in maniere un po’ particolare. Nel 2009 ero responsabile del servizio di supporto al 118 dell’Abruzzo. Il giorno del terremoto alle 6 del mattino, venimmo contattati che dovevano evacuare l’ospedale. Prendemmo tutto quello che avevamo in ufficio – server, postazioni – e andammo su, a L’Aquila e nell’arco di alcune ore abbiamo ricostruito una centrale 118, consentendo al servizio di operare nuovamente. Ho visto la devastazione, cos’era successo e nel mare di emozioni mi sono chiesto “quegli edifici, avranno dato dei segnali prima?”.

In onda 10-3-2018