Sempre più marchi della moda si dichiarano “sostenibili”. Ma come fare per garantire davvero una filiera a basso impatto ambientale? Alle aziende del settore lo insegna Giusy Bettoni, fondatrice di Creativity, Lifestyle and Sustainable Synergy.
L’INTERVISTA A GIUSY BETTONI SU THE GOOD LIFE ITALIA
L’industria della moda nel suo complesso è al quarto posto nella graduatoria delle attività umane più inquinanti, dopo elettricità e climatizzazione, agricoltura e trasporto su gomma. Ciascuna di queste aree, però, contribuisce alla produzione di ciò che indossiamo, ed è per questo che se il mondo fashion attuasse una politica audace di responsabilità e trasparenza, agendo lungo tutta la complessa filiera, influenzerebbe positivamente le altre. Lo ha capito bene Giusy Bettoni, fondatrice nel 2007 di C.L.A.S.S. – Creativity, Lifestyle and Sustainable Synergy. Attraverso una ricerca costante di materiali innovativi, attività educative, di marketing e comunicazione, Bettoni sta costruendo una catena di valori per offrire soluzioni scalabili e contribuire a invertire la rotta. A partire dai designer. “Vogliamo cose belle, al passo coi tempi”, racconta la consulente milanese con l’entusiasmo di chi sa di essere un apripista. “C’è un’offerta crescente di prodotti sostenibili, ma il termine è abusato, i parametri sono tanti e confusi, e non sempre lo stile è apprezzabile.” Dietro ad una parola – prodotto – c’è un mondo: processi produttivi, tecnologie, materie prime, tinture, finissaggi, trasporti, tracciabilità, trasparenza, etica e salubrità. Agire a livello sistemico è un fatto di cultura, per questo C.L.A.S.S. pone particolare attenzione sulle aziende e su come operano, per arrivare alla qualità del singolo capo.
Operare a tutti i livelli richiede un know-how particolare, una capacità di vedere l’insieme e nel contempo il dettaglio. Da qui, l’approccio tridimensionale del lavoro di Giusy Bettoni: “Il design, inteso come qualità intrinseca, dai materiali fino all’estetica, sta alla base di tutto. Per questo preferiamo parlare di economia circolare per definire scelte innovative capaci di migliorare qualità e performance. Al binomio design-innovazione, aggiungiamo la responsabilità, per noi sono l’ABC nello sviluppo, la creazione e la comunicazione di un prodotto e di un’azienda.”
Festeggiare i 10 anni di attività a New York lo scorso 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua, con il patrocinio del Council of Fashion Designers of America (CFDA), è una conferma che la strategia è vincente e che il mercato avverte il bisogno di portarsi al passo coi tempi.
Secondo una ricerca sui Millennials effettuata da Cotton USA in Italia nel 2017, le priorità dei giovani riguardano l’etica: vogliono prodotti cruelty-free, da manodopera non sfruttata e chiedono trasparenza sulle componenti delle fibre utilizzate. Il 51% è disposto a pagare di più per abiti longevi e di qualità, e il 74% legge le etichette e vorrebbe trovarvi più informazioni.
C’è bisogno di storie credibili, ad esempio, quelle nascoste nelle trame dei tessuti.
ECOTEC è un nuovo filato che nasce dai ritagli dei processi di confezione del cotone. Racconta Bettoni: “Marchi e Fildi, l’azienda italiana di filatura, da 60 anni ha il pallino di capire come recuperare gli scarti di produzione, dove c’è sempre un 20% di materiale vergine scartato. L’azienda biellese ha vinto la sfida, e oggi, ricicla volumi importanti di materiale pre-consumer. Pensa ad un marchio globale come GAP, che, studiando il problema, ha creato una filiera che inizia in Bangladesh, dove c’è un sistema di cernita accreditato che seleziona i ritagli di cotone 100%. Il materiale arriva in Italia dove viene trasformato e torna a essere filo. Ci sono 70 colori e il campionario è disponibile in stock service senza minimi d’ordine. Non solo riutilizzi quanto già esiste, ma eviti la tintura, perché il filo è già colorato. Insieme a Marchi e Fildi abbiamo fatto un’analisi dell’LCA (life-cycle assessment) con ICEA. Paolo Foglia è andato in Bangladesh, ha fatto un’ispezione, poi è andato a Biella e ha calcolato che ECOTEC risparmia il 77,9% d’acqua, il 56,3% di emissioni CO2 e il 56,6% di energia rispetto al cotone vergine. Inoltre è stato analizzato dall’associazione Tessile Salute, che lo ha trovato idoneo al contatto con la pelle. Il servizio certificato è a disposizione di tutti i marchi che vogliono riciclare i loro ritagli attraverso la piattaforma ecotecproject.com.”
A questo materiale è stato dato un nome per distinguerlo da quello post-consumo, che è usato e costa 2 centesimi al kg. Affinché il suo valore arrivi fino al consumatore, si stanno certificando anche i marchi che ne fanno uso. La stilista americana Eileen Fisher ad esempio, sceglie ECOTEC per alcuni capi, e il suo sforzo è stato premiato da un numero spropositato di like a Waste No More, presentato durante il Salone del Mobile 2018 in collaborazione con la Trend Forecaster Li Edelkoort. Sull’onda di ECOTEC è nato Re.Verso: “Cinque aziende italiane si sono unite, due che reperiscono ritagli di cachemire e lana e tre che la trasformano,” spiega ancora Bettoni. “Il recupero avviene sia presso i manifatturieri europei sia dai cenciaioli di Prato che smistano anche capi post-consumer con una cernita attenta che garantisce un prodotto ad alto livello. Tutto è tracciato. Poi abbiamo tre aziende che trasformano le fibre in maglieria, tessuti, e filati. Anche qui abbiamo fatto l’LCA, per avere un confronto con il processo tradizionale, scoprendo che c’è un risparmio dell’89% d’acqua, 96% emissioni CO2 e 75% di energia. Re.Verso è stato lanciato insieme a Gucci, a fine 2017 quando Frida Giannini stava lasciano l’azienda. Questo non ha giovato alla comunicazione dell’iniziativa, grazie alla quale sono stati realizzati cappotti e maglie per uomo, donna, bambino. Anche Stella McCartney ha sostituito il suo cachemire con Re.Verso, e così Eileen Fisher, e Patagonia. Anche nell’elasticizzato ci sono risultati interessanti che vengono dal Giappone. Asahi Kasei ha messo a punto ROICA, un filo che parte dal recupero degli scarti industriali per giungere ad un nuovo filato di alta prestazione, con una quota di materia riciclata del 60%.”
Le etichette intelligenti, in grado di contenere tante informazioni in poco spazio, esistono già. Si tratta di usarle. Qualcuno ha incominciato, ma si stanno diffondendo più nell’agroalimentare che nella moda. Per mettere insieme i vari pezzi del puzzle, il team di C.L.A.S.S. presenta le sue selezioni di materiali innovativi agli stilisti e alle persone che avviano la catena di fornitura. Poi, offre workshop e incontri per condividere informazioni sui tessuti e per creare strategie di marketing e comunicazione. “Incontro stilisti di fama internazionale e per certi versi è una fortuna che sappiano poco di nuovi materiali, perché sono curiosi di scoprire. Quando invece parliamo di processo, entriamo in un terreno sconosciuto ai più. In Italia abbiamo ancora un’industria, fior fior di scuole, ma quando lavoro con gli studenti e chiedo ‘cos’è la sostenibilità’, viene fuori di tutto. Dedichiamo almeno il 30% del nostro tempo alle nuove generazioni, perché è necessario accompagnare chi vuole evolvere verso sistemi produttivi sostenibili. Per questo abbiamo avviato anche l’e-commerce.”
Bettoni è un’instancabile viaggiatrice, e punta ai centri nevralgici per avere un pubblico allargato. Per il trade show tessile a Parigi, Première Vision, che attrae 1,900 espositori, fa da scout per identificare aziende che hanno intrapreso un processo di innovazione da raccontare e promuove eventi informativi di Smart Creation per diffondere soluzioni.
Il suo obiettivo è di assecondare una graduale transizione dall’economia lineare, dove prendi, produci e butti via, verso quella circolare: “Alle fiere internazionali i brand chiedono “avete qualcosa di riciclato?” Non era mai successo, e questo è positivo, ma saper riconoscere i progetti autentici da quelli speculativi non è scontato. Mentre lavoriamo per fare chiarezza, teniamo d’occhio lo sviluppo della prossima generazione di materiali, dai biopolimeri ai tessuti attivi. Qualche esempio? Modern Meadow, che parte dalla fermentazione per fare pellame, Frumat, che dagli scarti della frutta estrae gli zuccheri per fare carta e pelle, Orange Fiber, prodotto dalle scorze dell’arancio. E’ un altro mondo, ancora in larga misura sperimentale, ma si sta industrializzando.”
Ci sono molte barriere da superare, ma l’importante è avviare un processo incrementale e credibile. “Sono ottimista,” conclude Bettoni, “perché l’attenzione inizia a crescere. La mia speranza è che nell’arco di dieci anni non serviremo più, saremo in un altro business model, ma in questo momento è fondamentale intendersi sugli obiettivi, su come li implementiamo e come li raccontiamo.”