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Marina Salamon cares

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Incontro Marina Salamon in una sala della palazzina milanese dove hanno sede le sue diverse attività. Lei non ha una sua stanza e nemmeno una scrivania, per sentirsi più libera.

Parla fitto, con energia, e racconta come ha superato le molte sfide della sua vita intensa. Più va avanti e più mi rendo conto che alla base del suo successo ci sono dei solidi valori umani. Madre di quattro figli, è generosa e accogliente. Per lei è l’identità dei singoli a formare aziende che evolvono assecondando i bisogni del nostro tempo. “Credo nel significato autentico della parola I care” dice aprendo il suo intervento ai “Dialoghi di vita buona. Milano metropoli d’Europa”. E quel prendersi cura ha scandito molte sue scelte di imprenditrice e di donna. “Globalizzazione e digitalizzazione hanno messo in crisi il capitalismo familiare che aveva cura delle famiglie dei lavoratori, ma se siamo coerenti e agiamo eticamente possiamo ancora costruire valore oggi.” Dalla nostra lunga conversazione nasce questa intervista per The Good Life Italia.

L’INTERVISTA A MARINA SALAMON SU THE GOOD LIFE ITALIA

È generosa, forte, dolce, tagliente. Ha superato tanti ostacoli e dalle cadute si è rialzata ogni volta più forte. Ha le idee chiare e voglia di condividerle, non transige sui valori e guarda con curiosità e coraggio al futuro. Marina Salamon lega il suo nome a molte aziende di successo, cresciute in tempi di crisi, portate con tenacia e visione al passo coi tempi. Da Altana, leader nel settore dell’abbigliamento di lusso per bambini, a Doxa, la più importante azienda italiana di sondaggi e ricerche di mercato, e Connexia, agenzia di web, social e public relation. Intuitiva ma anche razionale, prima di parlare di sé, sonda il suo interlocutore. Con empatia, si sintonizza. «Quanti figli hai» chiede, mentre scegliamo una sala riunioni libera per la nostra conversazione. Nei suoi uffici milanesi è una regina senza trono, non ha una stanza sua «per essere più libera». E in libertà condividiamo esperienze materne e scelte educative. I suoi 5 figli hanno gettato radici solide in Italia e ora sono all’estero. «La nostra straordinaria stratificazione culturale ha valore, ma può diventare un limite» racconta «se usata per guardare indietro e non avanti. Gli americani possono essere più superficiali, ma insegnano a lavorare in gruppo». Saper fare squadra è un talento imprescindibile sia nella sua vita familiare sia nella gestione imprenditoriale. Mentre se mancano nozioni oggi c’è Google, a patto che si sappiano porre le domande giuste, ci sia rigore nel fare ricerca e si agisca con senso critico.

Superare la paura del giudizio
Salamon eredita il senso del dovere dal padre, emigrato dall’Istria a Trieste per studiare economia e statistica, poi a Milano per lavorare. 
E dalla madre, pediatra e attivista, l’anticonformismo e la propensione a prendersi cura degli altri. Disciplinata ma anche ribelle, impara a gestire relazioni complesse con i quattro fratelli e cerca la sua strada andando controcorrente. «Ho cominciato a lavorare quando ero ancora al liceo, cosa non comune in Italia, per comprarmi le cose che volevo. Facevo la commessa da Coin e i miei compagni, passando, mi dicevano “Non sapevamo fossi povera”. È così che ho superato la paura del giudizio». Marina è giovanissima quando incontra Luciano Benetton, ma l’unione si spezza quando è in attesa del primo figlio, che nascerà con una grave malformazione congenita. «Si può essere devastati in una vita tranquilla e serena, in cui uno non costruisce il proprio sé, oppure rafforzati da una separazione o da circostanze ostili». Il piccolo Brando resta in terapia intensiva per un anno, e la madre trova forza nella sua resilienza e nella fede per accompagnare la guarigione del figlio e di se stessa. «Io ho creduto ma non da fanatica» dice con tono assertivo. «A casa mia abbiamo un campionario meraviglioso di religioni: una zia è Hare Krishna, l’altra ha sposato un iraniano musulmano, mia madre è atea, il marito di mia sorella è anglicano e io sono l’unica cattolica. Conta il cammino che intraprendi, non come nasci. La vita, come le aziende, è una continua rigenerazione».
Un mix intenso di esperienze forti diventa carburante per una donna tenace e profonda. Ventenne, diventa imprenditrice con Altana, per offrire alternative alle mamme che non vogliono vestire i loro bambini di rosa e azzurro. Poi la crisi sentimentale, la responsabilità di un figlio bisognoso e, a 32 anni, una sfida ardua ma irresistibile: rilevare Doxa, l’agenzia di ricerche e analisi di mercato. «Nasce tutto per amore di mio padre e per la passione che mi ha trasmesso per il suo mestiere. A 23 anni lui si trasferì a Milano per lavorare in Doxa e ci passò tutta la vita. Il gruppo era stato fondato da Pierpaolo Luzzatto Fegiz, professore di statistica di mio padre, insieme a George Gallup. A Princeton, Gallup aveva cominciato a testare le prime tecniche di sondaggio dell’opinione pubblica con il presidente Roosevelt. Quando Luzzatto Fegiz morì, Doxa, di colpo, fu messa in vendita. Ebbi la notizia mentre ero a Roma durante una riunione d’emergenza sui falchi pecchiaioli per il WWF. Gli sparavano sullo Stretto di Messina. La sera telefonai a mio padre e gli chiesi: “Hai trattato?”. “No” rispose “perché hanno alzato la richiesta. Non importa, farò non profit”. Per la prima volta in vita mia gli mentii: “Ok” dissi, ma un minuto dopo stavo chiamando Alice, la figlia maggiore di Luzzatto Fegiz. Corsi a casa sua e trattammo tutta la notte. La mattina era fatta. Mi sono coperta di debiti».

Le circostanze ostili aiutano a cambiare
È la fine degli anni Novanta quando in Assolombarda incontra Marco Benatti e se ne innamora. Con il pubblicitario veronese costruiscono un vero e proprio clan: 3 figli, oltre al piccolo Brando e una ragazza musulmana presa in affido, e molti cani. Poi, un’altra separazione e la vera conversione: «Ho superato il dolore con il silenzio. Dovevo lasciare casa e figli durante i week-end, così ho cominciato ad andare nei conventi. Dopo la prima crisi mi ero fatta un’agenda fitta di impegni, al secondo giro ho scelto la religione». La vita le ha insegnato a non avere paura delle piccole cose, a mostrare la sua vulnerabilità e a rinnovare il coraggio di sognare. Dalle circostanze avverse scaturisce il bisogno di aggiornare tutto. Doxa viene completamente digitalizzata. L’azienda che scandisce passaggi importanti della sua vita e che, fin da piccola, l’ha educata a leggere trend e fenomeni globali. «Sono sempre stata curiosa, anche verso ciò che non mi assomiglia» afferma. Laureata in Storia, canalizza il suo bisogno di conoscere tornando a studiare. Si iscrive a Teologia per capire e capirsi meglio: «Quando tutto va liscio, non abbiamo la forza di entrare in noi stessi e sviscerare. Sono le circostanze ostili che ci aiutano a cambiare». E cita Viktor Frankl, fondatore della psicologia umanistica, che sopravvisse per anni in un campo di concentramento riuscendo a trovare il bene anche lì. Oggi al fianco di Marina c’è Paolo Gradnik, farmacista e fondatore del Banco Farmaceutico, felice di far parte di una numerosa tribù. E i suoi valori, i suoi desideri, sono sempre più radicati. In particolare la responsabilità di creare nuove opportunità di lavoro per i giovani di cui ama circondarsi: «Impieghi che non siano stipendi e basta, ma realizzazione di sé, perché è da quello che passa la nostra dignità. Oggi c’è un bisogno urgente di riprogettare non solo i contenuti, come li generiamo e li gestiamo, ma anche le relazioni».

Marina Salamon è orgogliosa di far parte di una realtà meritocratica e giusta, e si auspica che l’Italia possa riguadagnare la fiducia, diventare un Paese in cui sperimentare, non uno da sfruttare. Sogna un regime fiscale europeo unificato, in modo da arginare un capitalismo selvaggio che nell’era della digitalizzazione consente di avere sedi in Paesi diversi. «Se non interveniamo, verranno meno le risorse per il welfare». Ha fondato un trust e per il nome, Web of Life, si è ispirata alle parole del capo indiano Chief Seattle, trovate incise sotto una sequoia in una grande foresta americana (“We all are part of the web of life”). Attraverso la non profit, destina parte dei profitti ad associazioni benefiche per progetti educativi, socio-sanitari e assistenziali. Come Avsi, impegnata in oltre 30 Paesi in via di sviluppo, Progetto Arca, che offre sostegno economico, alloggio e cibo a chi ha perduto la propria casa, e la Fondazione Francesca Rava (nph-italia.org), che opera ad Haiti, in Centro America e in Italia per la ricostruzione di scuole nelle zone terremotate. «Io ricevo dalle nostre aziende uno stipendio che è pari a quello di molti nostri dirigenti, e distribuisco il resto a chi ne ha più bisogno. La mia identità non è la rappresentazione del potere. Quanto ai figli, non li metto nelle condizioni di giocare con il denaro. Dovranno conquistarselo». Con la famiglia, ha deciso di mettere a disposizione la grande villa dov’è cresciuta, vicino a Varese, per accogliere donne sole e famiglie sfrattate. Perché siamo tutti connessi.