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Api, sentinelle di biodiversità

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Occupandomi di sviluppo sostenibile da qualche decennio e concentrandomi su soluzioni alle nostre più grandi sfide, di tanto in tanto mi illudo che questioni trattate più volte abbiano avuto nel tempo un’evoluzione positiva. Credo nella capacità della nostra specie di evolvere verso una co-esistenza rispettosa dei sistemi vitali che ci regalano la vita, ma parlando con Andrea, l’apicoltore dal quale compro sempre il miele, che mi ha presentato Luca e Marco. Grazie a questi ragazzi dedicati appassionati e competenti, ho scoperto che gli impollinatori sono più minacciati che mai. È nata così la storia di questa settimana, e ho avuto conferma di quanto ci sia ancora da fare.
Se conoscete coltivatori di nocciole inoltrate per favore questo servizio. Dialogare con le persone dalle quali acquistiamo prodotti è fondamentale per avere un quadro più realistico dell’impatto di ogni nostra scelta.

Cristina: Oggi è la giornata mondiale della biodiversità, e l’ONU vuole portare la nostra attenzione sulla complessa dinamica che regola la vita sulla terra. La biodiversità è il nostro più grande tesoro e monitorare la sua salute è complicato. Siamo nel Cuneese per incontrare Luca, apicoltore. Luca perché le api sono le più preziose sentinelle di biodiversità?

Luca Bosco: Perché tutto ciò che arriva nell’alveare raccolto dalle api è il frutto di una sinergia tra diverse forme di vita e quindi è frutto della biodiversità dell’ambiente.

Cristina: Le vostre osservazioni cosa vi dicono?

Luca Bosco: Che la situazione delle api, e in generale degli impollinatori, è gravissima. Vediamo molto spesso episodi di morie, avvelenamenti, sui nostri alveari. Purtroppo ritroviamo nelle matrici degli alveari sia gli insetticidi che i fungicidi, sia i diserbanti. Un diserbante in particolare, la molecola glifosato, è particolarmente seria perché il ritrovamento, soprattutto nella matrice miele del nido, miele in maturazione, è un indizio preciso. La molecola che viene irrorata qui può finire ovunque, la ritroviamo nell’acqua, nell’aria, nel suolo quasi per forza perché viene irrorata sul suolo e la ritroviamo anche nel polline delle piante, nel nettare delle piante. Questo è un chiaro indizio che i filtri naturali dell’ecosistema in qualche modo si stanno degradando.

Cristina: Luca quali sono le coltivazioni che vengono più irrorate di queste sostanze ?

Luca Bosco: Qua siamo in zona di viticoltura e di corilicoltura, quindi vite e nocciolo. In questi anni grazie anche al lavoro dell’associazione degli apicoltori, i viticoltori hanno imparato a utilizzare i fitofarmaci in modo oculato, quindi senza dare un problema diretto e grave agli impollinatori. Per quanto riguarda il nocciolo invece il discorso è tutto da fare perché è una coltura nuova e in questo momento le pratiche agronomiche messe in campo lasciano parecchio a desiderare. Sono fonte di avvelenamento diretto, sono in qualche modo anche la causa di quel ritrovamento sistematico all’interno delle matrici degli alveari, soprattutto in questa zona ovviamente. A chi coltiva nocciolo si può rivolgere un appello a, in qualche modo, seguire la strada già intrapresa dai viticoltori.

Cristina: Luca state per fare delle campionature, che frequenza hanno e a cosa servono?

Luca Bosco: Hanno frequenza mensile e servono per andare a indagare l’eventuale presenza di molecole chimiche. L’esperienza ci dice che molto probabilmente ci saranno perché negli anni passati, la loro presenza è stata purtroppo molto assidua. Sappiamo che queste molecole sono dannose per l’ape, anche per la loro capacità – in qualche modo singolare – quella di depurare le matrici ambientali assorbendo nei loro corpi le molecole chimiche, a loro discapito ovviamente, ma andando a preservare soprattutto il miele. Il miele, in qualche modo, è sempre risultato pulito.

Cristina: È fenomenale. Questi dati li incrociate con altri?

Luca Bosco: Questi dati li incrociamo con altri monitoraggi che vengono effettuati nella zona, in particolare modo con quelli effettuati sul fiume Tanaro, che potete vedere proprio qui vicino, e i due monitoraggi confermano la stessa cosa, la presenza ubiquitaria delle molecole chimiche.

Cristina: Grazie Luca. Questa storia tocca tutti e 17 gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. E noi che cosa possiamo fare? Dialogare il più possibile con apicoltori, capire le criticità del nostro territorio e proteggerlo in ogni modo possibile. Conviene a tutti. Occhio al futuro

In onda il 22-5-2021

Crowdfunding per tutti con Produzioni dal Basso

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Produzioni dal Basso è la prima piattaforma italiana di crowdfunding, attiva dal 2005. Permette a chiunque di proporre e raccontare in modo semplice il proprio progetto, raccogliendo fondi per realizzarlo, che sia un progetto di tipo sociale, ambientale o educativo.

Cristina: Oggi vi parliamo di una piattaforma che consente ai cittadini di dare o ricevere contributi economici per cause in cui credono. C’è di tutto, dal ristorante che per reinventarsi ha bisogno del sostegno della comunità, a centri di cura e accoglienza, progetti culturali sociali anche in collaborazione con diversi comuni italiani o associati agli SDG. Buongiorno Marta. Come funziona la vostra piattaforma?

Marta Dall’Omo: La nostra piattaforma permette a qualsiasi soggetto, che sia un soggetto sub-giuridico o che sia una persona fisica, di raccogliere fondi online in maniera semplice e trasparente. Attraverso la nostra piattaforma quindi, chiunque può lanciare la proprio campagna di raccolta fondi per realizzare il proprio progetto, che sia in ambito culturale, sociale, che sia un progetto di start-up o d’impresa.

Cristina: Immagino che in questo momento di crisi molti si rivolgano a voi. Quante richieste avete?

Marta Dall’Omo: In questo momento ci sono più di 500 campagna attive e in generale, nella storia della nostra piattaforma, abbiamo raccolto oltre 15 milioni di euro da una comunità di donatori di oltre 300.000 persone. I progetti finanziati sono più di 5.000.

Cristina: Alcune piattaforme danno i soldi solo se raggiungi il tetto richiesto, voi come vi comportate?

Marta Dall’Omo: Noi abbiamo quattro modelli di raccolta fondi, alcuni presuppongono questo tipo di funzionamento, quindi spetta al progettista ovvero colui che lancia la campagna, scegliere quale modello preferire, se utilizzare una modalità di raccogli tutto, quindi qualsiasi sia l’obiettivo, i fondi raccolti andranno nelle disponibilità del progetto oppure un obiettivo di raccolta – se non viene raggiunto quell’obiettivo non si ha accesso a quei fondi.

Cristina: Diciamo per i telespettatori, i fondi vengono restituiti ai donatori..

Marta Dall’Omo: Certamente, in quel caso i fondi non vengono neanche processati. Nella modalità “tutto o niente” per dirla in gergo, le donazioni vengono solamente promesse, quindi non c’è proprio una movimentazione di denaro se l’obiettivo non viene raggiunto.

Cristina: Chi ha bisogno di fondi ma non sa come fare?

Marta Dall’Omo: Sulla nostra piattaforma molto spesso ci sono delle iniziative, dei bandi, che vengono proposti da alcuni brand, associazioni, aziende, università, che quindi decidono di partecipare o co-partecipare alla creazione di alcune campagne e di alcuni progetti. Ovviamente se vengono raggiunti dei presupposti, per esempio il raggiungimento del 50% dell’obiettivo di raccolta.

Cristina: Avete un sistema anti-truffa?

Marta Dall’Omo: Allora, diciamo che la piattaforma fa dei controlli periodici, quindi controlla tutte le campagne che vengono proposte. In più insieme ai sistemi di pagamento integrati in piattaforma facciamo delle verifiche anti-riciclaggio e come terzo, ma non meno importante controllo, la comunità valida le idee e sostanzialmente decide se sostenerlo oppure no.

Cristina:  E poi avete una sezione dedicata agli SDGs…

Marta Dall’Omo: Qualche tempo fa abbiamo lanciato una sfida verso la nostra community, abbiamo immaginato che oltre alla finalità della raccolta fondi, i nostri progettisti avessero finalità più alte, e quindi potessero indicare i loro progetti in quale area d’impatto avesser appunto un impatto. Ed è stata incredibile la risposta, oltre 3.500 progetti in pochissimo tempo hanno indicato almeno un obiettivo d’impatto all’interno della loro campagna e quelli maggiormente indicati sono il numero 10, il numero 4 e il numero 3.

Cristina:  Grazie Marta. Per la comunità di questa piattaforma ridurre le disuguaglianze, sostenere educazione di qualità e salute per tutti sono la priorità. Come vedete, gli SDG sono veramente una mappa utile per progredire verso uno sviluppo necessario. Occhio al futuro

In onda il 6-3-2021

Environmental Performance Index 2020

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Environmental Performance Index (EPI) è un rapporto biennale che da 22 anni viene redatto da ricercatori da ricercatori delle università di Yale e Columbia.

La longevità del progetto, la metodologia e la qualità dei dati, raccolti dai migliori enti di ricerca nel mondo, fanno dell’EPI il più autorevole riferimento per l’analisi delle politiche ambientali. In questa edizione sono state introdotte nuove metriche per valutare la gestione dei rifiuti e le emissioni dei gas che contribuiscono in maniera importante ai cambiamenti climatici.

L’edizione 2020, pubblicata a inizio giugno, ha valutato 180 paesi secondo 32 indicatori di performance in 11 categorie di salute ambientale (environmental health) e vitalità degli ecosistemi (ecosystem vitality). La Danimarca conquista il primo posto, seguita da Lussemburgo, Svizzera e Regno Unito. L’Italia è 20esima, pari merito con Canada e Repubblica Ceca. Gli Stati Uniti D’America sono 24esimi.

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Guardando nel dettaglio, che trovate qui, per quanto riguarda la salute ambientale, che include la qualità dell’aria, sanità e acqua potabile, metalli pesanti e gestione dei rifiuti, rispetto a 10 anni il nostro paese è migliorato di 4,6 punti, mentre per la vitalità degli ecosistemi, che comprende habitat e biodiversità, acquacoltura, cambiamenti climatici, emissioni inquinanti, agricoltura e gestione acque reflue, siamo peggiorati di 1,3.

In generale, l’Italia è sopra la media mondiale ma sotto quella regionale (il riferimento è l’Occidente).

Forte del risultato, il Ministro danese dell’Ambiente Dan Jørgensen afferma: “Abbiamo appena iniziato a negoziare con il parlamento danese per concordare i prossimi passi verso il nostro obiettivo di ridurre le emissioni del 70% per il 2030, e speriamo che le nostre misure possano essere d’ispirazione per altri paesi.” Obiettivo ambizioso che Daniel Esty, direttore del Yale Center for Environmental Law & Policy (co-produttore dell’EPI) vede come il risultato di politiche audaci.

La Danimarca eccelle in quasi tutti gli indicatori. Un esempio da seguire, considerato che il progresso globale di contenimento dei cambiamenti climatici è in calo. Nessun paese si sta de-carbonizzando abbastanza in fretta per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di parigi.

Consultare questo rapporto è utile per comprendere quanto politiche di gestione della salute pubblica e dei rifiuti, investimenti in infrastrutture e preservazione delle risorse naturali, premino. Insieme a buone governance, leggi audaci e ben strutturate, il coinvolgimento attivo della cittadinanza e dei media indipendenti.

 

 

Fonti per i dati dell’EPI:

Institute for Health Metrics and Evaluation, the World Resources Institute, the Potsdam Institute for Climate Impact Research, CSIRO, the Mullion Groupthe Sea Around Us Project at the University of British Columbia,  World Bank e the UN Food and Agriculture Organization.

Risorse aggiuntive:

https://www.key4biz.it/economia-circolare-piano-da-210-milioni-per-innovazione-e-sostenibilita-nelle-imprese/310235/

https://www.innaturale.com/a-che-punto-e-la-sostenibilita-nel-mondo/

https://www.we-wealth.com/it/news/sri-impact-investing/sri-impact-investing/sostenibilita-italia-20esima-classifica-globale/

https://www.theguardian.com/environment/2020/jun/04/us-ranks-24th-in-the-world-on-environmental-performance

Bambù – l’acciaio vegetale

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Con più di 1.642 specie e 10.000 utilizzi, il bambù si aggiudica straordinari primati. Rigenera terreni poveri, tollera grande freddo e caldo e l’ONU la considera una famiglia di piante strategica, riconoscendo che adempie a ben 6 dei 17 SDG: 1, 7, 11, 12, 13, 15. L’architetto Mauricio Cardenas ci racconta quali sono i benefici di costruire col bambù.

Cristina: Oggi incontriamo un architetto che ha progettato la più grande struttura nel nord della Cina in bambù, una pianta considerata strategica dall’ONU e che adempie a 6 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, o SDG. Grazie alle lunghe radici, che pescano acqua in profondità, il bambù può essere piantato in terreni poveri, inadatti all’agricoltura, ed è capace di rigenerarli. La fitta e perenne superficie fogliare, fa sì che un bosco di bambù sequestri fino a 17 tonnellate di carbonio per ettaro all’anno. Tollera grande freddo e grande caldo, cresce velocemente e ogni parte della pianta, persino gli scarti, sono utili per qualche cosa. Pensate, con 1642 specie, ci sono più di 10,000 utilizzi riconosciuti – dall’architettura al cibo, il tessile e la cosmesi.  Le opportunità di lavoro sono particolarmente interessanti per le donne in agricoltura, perché il bambù è leggero. L’associazione mondiale INBAR stima che questa pianta dalle mille specie potrebbe diventare fonte di reddito per 50 milioni di persone nel mondo! Architetto, qual è la tua esperienza con l’acciaio vegetale?

Mauricio Cardenas: Sono cresciuta in Colombia, quindi sin da piccolo ho avuto modo di conoscere le virtù di questa pianta – giocavamo tra le canne di bambù, facevamo piccole costruzioni. Attraversavamo il fiume con un ponte, ricordo molto bene, sempre in bambù.. poi durante gli studi di architettura l’ho un po’ dimenticato, sarò sincero, fino alla tesi di laurea. L’ho ripreso e fino ad oggi lavoro grazie alle opportunità che ho in giro per il mondo facendo costruzioni in bambù.

Cristina: Com’è stata l’esperienza in Cina?

Mauricio Cardenas: Il padiglione INBAR è l’ultimo progetto che abbiamo realizzato è la struttura di bambù più grande del nord della Cina. È utilizzato molto poco il cemento, il minimo possibile. Coperture verdi, senza aria condizionata all’interno del padiglione si sta benissimo, perché abbiamo uno strato di terra umida per cui anche nelle temperature più alte di Pechino, che sono veramente estreme, si sta molto bene nel padiglione, non c’è stato nessun tipo di sconforto, anzi è stato molto apprezzato.

Cristina: E come siamo messi in Italia? Ci sono degli incentivi?

Mauricio Cardenas: Ci sono incentivi in Italia per l’agricoltura, per la costruzione ancora no. Possiamo immaginare in modo molto poetico, immaginare il bambù, portare dalla foresta al cantiere. Tenendo conto che il bambù cresce molto rapidamente, in soli tre anni è maturo e pronto per essere utilizzato in costruzione. Mentre il legno ha bisogno di 15-20 anche più anni per essere maturo e utilizzato per la costruzione.

Cristina: Una casa che torna alla terra, che bella idea. Occhio al futuro!

In onda il 25-2-2020

Econyl, il filato di nylon rigenerato

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L’industria tessile nel suo insieme è tra i più grandi inquinatori. Però, c’è chi sta invertendo questo impatto da negativo a positivo: Aquafil, con il suo filato Econyl, produce fibre da rifiuti scarti e nuovi materiali attraverso azioni concrete di rispetto per l’economia la società e l’ambiente, lungo tutta la filiera.

Cristina: Sappiamo che l’industria tessile nel suo insieme è tra i più grandi inquinatori. Però, c’è chi sta invertendo l’impatto da negativo a positivo producendo fibre tessili da scarti, rifiuti e nuovi materiali. In quest’azienda le fabbriche sono alimentate al 100% da energie rinnovabili, si usa acqua a ciclo chiuso in ogni fase di lavorazione. Sono stati avviati protocolli ambientali lungo tutta la filiera, e attivati progetti educativi in azienda per i dipendenti e nelle scuole. Si fa ricerca su nuovi materiali da biomassa, ogni anno si riducono le emissioni di gas serra, si promuovono programmi per la tutela dei mari e per tutti i prodotti si fa l’analisi del ciclo di vita. Queste azioni, nel loro insieme, adempiono alle indicazioni di ben 8 dei 17 SDG – gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU! Per ogni 10.000 tonnellate di materia prima da processo di riciclo si risparmiano 70.000 barili di petrolio e l’equivalente di 57.100 tonnellate di CO2.
Oggi vi mostriamo come vengono trasformate le reti da pesca, insieme ad altri rifiuti di nylon. Nel 2018 sono stati recuperati 78 tonnellate da ONG che operano in tutta Europa. Una volta pulite, le reti vengono trasformate chimicamente, poi il liquido diventa polimero, e il polimero si trasforma in filo. Il risultato è che sempre più filati derivano da un processo di rigenerazione. Per diventare tappeti, occhiali, borse, abiti, costumi da bagno.
Dottor Bonazzi, si può immaginare di rispondere alla richiesta di mercato di nylon solo con materiali di recupero e di riciclo?

Giulio Bonazzi: No, purtroppo no, neanche si potesse recuperare tutto il nylon, non sarebbe mai sufficiente per garantire le necessità future. Oltre a ciò è importante capire che riciclare ha un suo impatto ambientale, noi cerchiamo di farlo al meglio, ma è importante capire come si ricicla e come ridurre al massimo l’impatto durante il ciclo.

Cristina: Che cosa significa per lei innovare? Come cittadino e come imprenditore?

Giulio Bonazzi: Innovare per me significa smettere qualcosa di vecchio per fare qualcosa di nuovo. Ad esempio bisogna ricordarsi che prima di riciclare bisogna ridurre le materie prime, riusare e poi riciclare.

Cristina: Avete già pronta una nuova famiglia di materiali?

Giulio Bonazzi: Si l’abbiamo, vogliamo produrre il nylon da fonti rinnovabili ossia da biomasse, anzi abbiamo già prodotto i primi chili.

Cristina: Che differenza c’è tra il filo derivato dal petrolio, da riciclo e da biomassa?

Giulio Bonazzi: Nessuna, i tre prodotti sono perfettamente identici ma fa una grande differenza per l’ambiente. È un bell’esempio di economia circolare.

Cristina: Grazie Dottor Bonazzi. Occhio al futuro!

In onda il 18-1-2020

Broken Nature – la Triennale di Paola Antonelli

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Paola Antonelli è la più grande fonte d’ispirazione per colmare il divario tra ciò che sappiamo e come viviamo. Broken Nature presenta una moltitudine di idee e soluzioni per diventare cittadini rigenerativi del nostro bel Pianeta. La speranza è che visitiate la Triennale tante volte, ma per chi non verrà a Milano entro l’1 settembre, brokennature.org è una fonte da consultare (anche per chi visiterà la mostra!). Grazie Paola per la tua visione e per la tenacia.

Cristina: Siamo alla Triennale di Milano, Broken Nature, un mostra internazionale e interdisciplinare che durerà fino al 1 di Settembre, che indaga il nostro rapporto con i sistemi naturali, la società umana, con il modo di vivere, produrre e consumare. É curata da una grande italiana, Paola Antonelli, che per l’occasione  è stata prestata dal MoMA di New York.  L’essenza di Broken Nature, cosa vuoi che gli spettatori si portino a casa?

Paola Antonelli: Vorrei che si portassero a casa il fatto che per essere responsabili, per vivere in modo sostenibile, per attivare questo atteggiamento ricostituente, non bisogna sacrificare l’estetica o il piacere, la sensualità o l’eleganza.

Cristina: Spesso gli individui si sentono troppo piccoli per poter avere un impatto. Tu come la vedi?

Paola: Non la vedo così, perché non possiamo contare soltanto sui governi, le istituzioni e arrenderci al nostro destino. Abbiamo un potere enorme che proviene anche dai social media, una persona poi diventa un gruppo, una tribù, una comunità e dopo di che se i governi vogliono avere qualsiasi efficacia devono seguire anche quello che vuole il pubblico.

Cristina: Qual’è il tempo ideale da trascorrere in questa mostra per tornare a casa veramente più nutriti?

Paola: Direi che almeno tre quarti d’ora, un’ora ce li devi mettere. Spero che tanti bambini vengano e che siano ispirati perché alla fin fine il design tra una quarantina di anni andrà come la fisica, ci sarà il design teorico e quello applicato e si trasmetteranno conoscenze a vicenda.

Cristina: E l’aspetto sociale come lo hai declinato?

Paola: Per esempio […] pensò a questo recupero di mais di speci che erano andate perdute e poi usare le barbe e la parte esterna della pannocchia per fare un’intarsio. Anche semplicemente quest’attività che il design può fare per recuperare cultura materiale che si è persa, c’è un grandissimo esempio anche di come si può utilizzare la comunità.

Cristina: Come definisci il designer del XXI secolo?

Paola: Tantissime possibilità di espressione. Per cominciare ci sono i mobili, ovviamente ci sono le auto, ci sono anche i materiali. Ci sono dei designer che progettano scenari o cercano di mostrarci quali potrebbero essere le conseguenze future delle nostre scelte di oggi. Ci sono designer di interfacce che sono per esempio lo schermo e l’interazione del bancomat. Ci sono designer che fanno bio-design, quindi si occupano anche di organismi viventi o progettano con organismi viventi. Neri Oxman e Mediated Matter Group stanno ispirando una generazione di designer che imparano a lavorare con la natura per fare oggetti ed edifici che crescono invece di essere disegnati dall’esterno. Skylar sta lavorando il governo delle Maldive per fermare l’erosione delle spiagge. Stanno tutti lavorando e avendo un grande impatto. Sono molto fiera di tutti.

Cristina: Grazie Paola. Non perdete Broken Nature.

In onda 6-4-2019

Il potere della spazzatura

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Arthur Huang, architetto, ingegnere e CEO di Miniwiz, parla dei suoi processi e impianti per usare la risorsa più abbondate che abbiamo: la spazzatura! La macchina portatile Trashpresso, alimentata da energia solare, è stata a Milano nel Parco Sempione durante il Salone Internazionale del Mobile 2018.

PARTE I

Cristina: Oggi vi presentiamo un ingegnere che progetta impianti per la raccolta e la trasformazione dei rifiuti e pensate che ha ingegnerizzato 1200 nuovi materiali. Arthur, qual è il potere della spazzatura?

Arthur Huang: Oggi è la risorsa più abbondante. È ovunque, nei nostri oceani, nell’acqua potabile, perfino nei ghiacciai a 4.900 metri. Questa risorsa è in costante aumento e credo che dobbiamo occuparcene in modo da poter alimentare un nuovo modo di fare design e cambiare il nostro stile di vita in positivo.

Cristina: Tu te ne stai occupando. Quanti impianti avete progettato?

Arthur Huang: Abbiamo ingegnerizzato circa 1.200 nuovi processi che a loro volta, possono essere suddivisi in quattro grandi categorie di macchinari che separano e trasformano la spazzatura che buttiamo tutti i giorni, dagli imballaggi, ai bicchieri e bottiglie in plastica, fino agli scarti tessili. Attraverso i trattamenti differenziati siamo in grado di ottenere una vasta moltitudine di materiali pre-lavorati, che successivamente possono essere utilizzati in edilizia o per altre categorie di prodotto.

Cristina: Indossi alcuni dei tuoi nuovi materiali, puoi indicarmeli?

Arthur Huang: Questa giacca è monomateriale, senza collanti aggiuntivi, fatta di bottiglie di plastica. I pantaloni anche, sono fatti al 100 percento da bottiglie di plastica, ma al tatto sembrano lana. Le scarpe anche sono in PET riciclato. Perfino i bottoni, gli occhiali e il cinturino dell’orologio sono realizzati con mozziconi di sigaretta. Questo bottone è stato fatto con quattro mozziconi raccolti in Svizzera e in Italia e stiamo creando una nuova generazione di bottoni e altri accessori. Questi sono gli occhiali da sole..

Cristina: Quanta energia si consuma per depurare le tossine da questi materiali?

Arthur Huang: È molto più facile di quanto si creda, è per questo che abbiamo creato un macchinario portatile, per dimostrare in realtà quanta poca energia serva. Tutti i processi del macchinario sono alimentati dall’energia solare, l’aria e l’acqua vengono filtrate in un sistema interno chiuso. Si ha un risparmio energetico pari al 90%, rispetto alla materia vergine proveniente dai fondali oceanici, che viene prelevato sotto forma di petrolio e poi trasformato.

Cristina: Quindi non rimangono tossine nel bottone di mozziconi?

Arthur Huang: Abbiamo fatto dei test – non rimangono tossine nei mozziconi dopo il processo. La macchina cattura tutti i fumi in un sistema chiuso di ricircolo interno.

In onda 1-12-2018

PARTE II

Cristina: Leggiamo sui giornali che c’è più materia prima seconda di quella richiesta sul mercato, è una situazione critica e gli stoccaggi di queste materie vengono addirittura bruciati. Il tuo sistema e la tua strategia, come possono avere un impatto a livello globale?

Arthur Huang: Innanzitutto, la maggior parte dei nostri sistemi sono progettati per essere portatili. Credo che sia molto importante poter avvicinare la tecnologia di trasformazione il più possibile alla fonte di spazzatura. Uno dei maggiori problemi oggi del processo di riciclo è la contaminazione. Una volta che avviene, la materia perde di valore e la lavorazione diventa molto costosa e addirittura più dannosa per l’ambiente. Il vantaggio di raccogliere e trasformare i rifiuti in loco è di rendere la materia prima seconda disponibile in situ a ingegneri e designer.

Cristina: Nella tua esperienza quali sono gli anelli mancanti per poter fruire di queste competenze, intelligenza e soluzioni?

Arthur Huang: Il primo anello mancante è il processo di riciclo in sé. Bisogna sapere come separare i rifiuti. Questa è la prima questione. Di tutti i materiali da riciclo disponibili, qualsiasi sia la percentuale di raccolta, meno del 2 percento viene trasformato in un nuovo materiale. Dopo la raccolta differenziata corretta, bisogna sapere come lavorare i rifiuti. Servono tantissimi dati per avviare il processo, anche a seconda dell’utilizzo finale. Verrà utilizzato per fare scarpe? Una sedia, o un palazzo? Hanno specifiche diverse. Noi adesso stiamo lavorando anche sui dati. Stiamo avviando un database aperto a tutti con 1.200 nuovi materiali, frutto del nostro lavoro degli ultimi 15 anni, così che le istituzioni lo possano utilizzare come strumento educativo per giovani designer ed ingegneri, affinché prendano confidenza con questi processi. Stiamo cercando di rendere il sistema circolare.

Cristina: Qual’è il tuo sogno?

Arthur Huang: Il nostro sogno adesso è di costruire un aereo fatto interamente di spazzatura. Abbiamo comprato un vecchio aereo in Germania e l’abbiamo spedito a Taiwan, dove stiamo inventando o meglio, cercando un nuovo processo per costruire l’ala, fatta in PET riciclato.

In onda 8-12-2018

Enerbrain, efficientamento energico

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Enerbrain, una start-up di Torino iniziata come 4 amici al bar, oggi si occupa di soluzioni di efficientamento energetico degli edifici attraverso sensori collegati nel cloud.

Cristina: Secondo la Commissione Energia dell’Unione Europea gli edifici consumano il 40% dell’energia totale ed emettono il 36% di CO2. Quali sono i vostri rimedi e come sono nati?

La scintilla è nata qua a Torino, nel corso di un inverno molto rigido ma con temperature variabili, in cui il nostro fisico Marco, si è domandato come potesse regolare meglio il suo impianto domestico.

Cristina: Come funziona la vostra tecnologia?

Andiamo ad installare all’interno degli ambienti dove vogliamo ricreare delle condizioni di comfort, sensori di umidità, temperatura e concentrazione di CO2, quindi per la qualità dell’aria. Ne mettiamo un numero minimo necessario per poter garantire il comfort all’interno di qualsiasi tipo di ambiente. Li posizioniamo in uno o due giorni e questi vanno a parlare direttamente con degli attuatori, un’altra parte di hardware, da installare in centrale termica. I dispositivi si parlano attraverso un’applicazione o un software e ogni 5 minuti va a regolare meglio l’impianto. In questo modo si risparmia.

Cristina: Gli impianti non li cambiate, semplicemente li rendete più efficienti.

Esatto, senza interrompere il normale funzionamento di un impianto, in due giorni andiamo ad efficientare e partiamo subito con i risparmi.

Cristina: Quali sono i risultati? Sia in termini di risparmio energetico che economico.

Il risparmio economico è proporzionale al risparmio energetico, siamo arrivati ad ottenere dei risparmi di energia termica di oltre il 30%.

Cristina: Una soluzione semplice ed efficace per edifici esistenti.

In onda 17-3-2018