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Intervista – Gente

By rassegna

Si ai prodotti locali, no all’usa e getta
«Acquistare cibo di qualità, tenendo d’occhio la quantità, educa i ragazzi a non buttare il cibo e gli adulti al risparmio». Dal libro dell’esperta di consumi del tg satirico, nuove strategie per una spesa più conveniente e per i consumi energetici ridotti all’osso.

 

Una strada per uscire dalla crisi, chi non la cerca? Quella di Cristina Gabetti, inviata di Striscia la notizia, conduttrice Occhio allo Spreco e autrice del libro che porta lo stesso titolo (sottotitolo Consumare meno e vivere meglio; Rizzoli), è lastricata di buon senso e di piccoli gesti alla portata di tutti.
«Questa crisi è una grande opportunità per rivedere i nostri modelli di consumo», spiega la Gabetti, «per dare valore allargato alla parola risparmio: spendere meno, si, ma anche sprecare meno e inquinare meno».

Accorgimenti semplici, al limite del banale, ma non sempre automatici: eppure, se tutti ci ricordassimo di metterli in pratica daremmo una mano a portafoglio e ambiente. «Non dovrebbero essere una fatica, anche se all’inizio è così: ma è come andare in palestra, basta iniziare…», assicura la Gabetti. E magari anche farsi un’idea di come mettere d’accordo ambiente e tasche, visto che si legge sul libro, preservare l’ambiente per gli italiani è una priorità, a patto che non costi troppo e non incida sulle abitudini quotidiane. Da dove iniziare allora?

«Non c’è una regola che vale per tutti, ma tanti spunto che ciascuno può usare come meglio crede». Prendiamo la spesa, tenere d’occhio i cartellini non sempre basta, anzi. «Acquistare prodotti di qualità, spendendo anche un po’ di più ma facendo attenzione alle quantità, potrebbe servire allo scopo: lo confermano le 4 mila tonnellate di cibo buttate dagli italiani nella pattumiera ogni giorno». Meno e meglio quindi: e quando è possibile mettendoci del nostro, metodo infallibile per garantire un’ulteriore riduzione degli sprechi.

«Se i bambini vedono crescere l’insalata nell’orto, non ne sprecheranno neppure una foglia». L’esempio da seguire è quello degli orti urbani: 2mila solo a Bologna, con molte città che stanno andando in quella direzione, portando il verde nelle scuole, nelle carceri, negli ospedali.
Basta coltivare un vaso di pomodori sul terrazzo per capire che cosa è la stagionalità. «Consumare i prodotti locali ha un senso sia dal punto di vista dei principi nutritivi sia del trasporto: una rapa d’inverno serve di più al nostro organismo e inquina meno l’ambiente di una fragola che arriva da lontano. Il che vale anche per i pesci, per esempio, anche se non tutti lo sanno». Ovvio che le buone pratiche per essere seguite non devono complicare troppo la vita alle persone: «Ecco perché i Gas, gruppi solidali d’acquisto, si moltiplicano così velocemente».

E poi? «Poi bisogna uscire dalla mentalità dell’usa e getta, iniziare a scegliere i prodotti non solo per il contenuto, ma anche per il contenitore, che costa e inquina: se ognuno di noi si ricordasse di uscire di casa con una busta di tela in borsa si eviterebbero i sacchetti di plastica al supermercato come le buste di carta nei negozi di abbigliamento». Di certo c’è tanto da fare tra le mura di casa, visto che il 57% dell’energia che consumiamo per riscaldare e illuminare gli ambienti in cui viviamo è sprecata: colpa della scarsa coibentazione delle abitazioni, delle cattive abitudini, dei termosifoni accesi anche quando non servirebbero. «Non ci si deve arrendere, bisogna farlo presente nelle riunioni di condominio, vigilare perché la manutenzione sia corretta e l’uso delle caldaie adeguato alle esigenze, spingere perché il costo venga ripartito non in base ai millesimi ma ai consumi effettivi».

Ancora, i trasporti: «Se io vado a meno di 130 all’ora in autostrada, oltre a salvare i punti della patente risparmio benzina. Se poi controllo la pressione delle gomme, il risparmio è ancora più consistente». E lo sarebbe ancora di più se io decidessi di lasciare la macchina a casa e spostarmi a piedi o con i mezzi pubblici..

Intervista di Rossana Linguini. Pubblicato su GENTE – novembre 2009

Intervista – Diva e Dona

By rassegna

Tre libri e una rubrica a “Striscia la notizia.” per diffondere un messaggio ecologista, mai attuale come ora: «In natura ogni cosa è collegata. Tutto torna indietro… anche i rifiuti». Una sensibilità che è cresciuta «insieme con i miei figli; per educarli con l’esempio a una eco-condotta»

 

«I bambini devono sentirsi i custodi di questo pianeta». Cristina Gabetti ne è convinta. «Solo loro possono convertire i genitori a un comportamento ecosostenibile». E proprio ai piccoli lettori l’inviata della rubrica Occhio allo Spreco in onda ogni sabato a Striscia la notizia ha dedicato Tondo come il mondo – Manuale per Bambini amici della Terra (Librì Progetti Educativi) illustrato da Piero Corva. Il libro viene distribuito gratuitamente, dietro richiesta, a 50mila alunni di III, IV, V primaria. L’iniziativa fa parte di un progetto di educazione ambientale voluto da Nino Tronchetti Provera, presidente di Fondo Ambienta, che verrà portato avanti durante tutto l’anno scolastico. Esperimenti, laboratori, test, quiz e un concorso per vincere eco-premi come biciclette in materiali rinnovabili, modellini di veicoli solari e, per la scuola vincitrice, una stufa a eco pellet provvista di combustibile. L’autrice al Festival della Mente di Sarzana ha presentato il libro, durante una caccia al tesoro, a un attentissimo pubblico under 10 anni.

Tondo come il mondo. Perché questo titolo?
«Tutto in natura è interconnesso, muore e rinasce. Ogni cosa è collegata. Tutto si svolge in modo rotondo, tutto torna indietro… Anche i rifiuti».

Come è nata la sua sensibilità per l’ambiente?
«Gradualmente, man mano che cresceva la mia famiglia. Ho tre figli: Pietro, 16 anni, Elena 13, Gregorio 8. Con la nascita del primo ho capito che avrei dovuto viaggiare più dentro me stessa e meno nel mondo a caccia di notizie. Con la seconda ho iniziato a praticare yoga e ho approfondito il viaggio interiore iniziato. Con il terzo ho mutato in azione ciò che avevo maturato. Voglio lasciare ai miei figli un mondo gradevole e vivibile».

Come educare i bambini a una “Eco condotta”?
«Con l’esempio: il miglior insegnamento è la perseveranza. Ho sempre cercato di portare all’attenzione le cose nel giusto contesto e non come nozione diretta. Se uso materiali di riciclo, lo sottolineo. Se al mare vedo aumentare la spazzatura, faccio notare che il design ecosostenibile è necessario».

Perché sprechiamo tanto?
«Buttiamo molto perché sovente siamo di fretta e non pensiamo agli effetti disastrosi che le nostre scelte distratte creano. Ricicliamo in base a quello che vediamo fare gli altri, purtroppo in questo siamo animali da branco. Se viviamo in una città pulita, questa resterà tale. Se invece camminiamo in una strada zeppa di rifiuti, questi aumenteranno sempre di più. Arginare gli sprechi è un processo creativo e divertente. Le regole sono semplici e le applicazioni infinite. Dopo averlo fatto ci sentiamo più leggeri, come quando si fa una buona dieta».

Che cosa non butta mai?
«Soffro quando vedo buttare l’acqua. Al ristorante se non riesco a finire la bottiglia, ho sempre con me la borraccia nella borsa e la travaso. Ho nel cuore immagini di bambini come i nostri, che vivono a chilometri da qui, che non hanno nemmeno l’acqua per berne un sorso o per sciacquarsi se si sbucciano un ginocchio».

Come è nata la sua rubrica “Occhio allo spreco” a Striscia?
«È un’esperienza che mi gratifica il cuore. In chi mi riconosce per strada leggo sempre uno sguardo di simpatia. Chi mi avvicina per un autografo spesso chiede anche un consiglio. C’è bisogno di semplicità e di informazioni facilmente applicabili. Così è nata la rubrica. Risponde a una missione».

Sua mamma era americana, lei è cresciuta fra L’America e l’Italia. Quale di questi due Paesi spreca di più?
«Gli americani vincono sicuramente l’Oscar degli spreconi e non se ne accorgono, ma nelle pubbliche amministrazioni c’è più attenzione all’ambiente che da noi. C’è un senso civico maggiore; in Italia abbiamo un margine di spreco da arginare. Sono pochi i comuni “virtuosi” che hanno iniziato un processo di alleggerimento e risparmio. Ma, quando si inizia, si è così gratificati che si continua».

Intervista di Grazie Lissi. Pubblicato su Diva e Donna –  ottobre 2010

Intervista – Vanity Fair

By rassegna

Vivere in modo più eco-compatibile? Si puo, si deve, e non è un privilegio per pochi. La figlia dell’ex presidente della Fiat ne è convinta. E, in un libro, spiega come. A cominciare da un parto con 32 ore di travaglio.

«Che ne dice di cominciare con un succo da Juicy Naam? Usano frutta e verdura biologica per lo più coltivata sul posto». Cristina gabetti, 46 anni, è in vacanza a East Hampton, nella stessa casa dove i genitori la portavano a respirare aria di mare quando vivevano a New York, «la città dove sono cresciuta fino a 9 anni, prima di trasferirmi a Torino, e dove, dopo la laurea a Yale, ho lavorato per un paio di anni in un’agenzia di pubblicità».
Negli Hamptons torna ogni estate, anche se da molti anni si è stabilita definitivamente in Italia, a Milano. «In questo periodo ci riuniamo tutti qui, tre generazioni insieme, mio padre Gianluigi (grande amico della familia Agnelli, ex vicepresidente della Fiat e tuttora, a 84 anni, presidente della Giovanni Agnelli e C. Sapaz, ndr), mio fratello Alessandro, mia cognata, i miei due nipotini di 2 e 4 anni, mio marito (Paolo Martinoni, velista ed esperto di comunicazione, ndr) e i nostri tre figli». Ovvero: Pietro, il più grande, di quattordici anni, Elena, di undici, e Gregorio, di sei.
Intanto abbiamo ordinato un succo Venus: anguria, lime e ginger. Costa 10 dollari. «Decisamente caro, ma da quando personaggi come Calvin Klein e Steven Spielberg hanno preso casa qui, i prezzi sono aumentati in modo incredibile. Quando me lo preparo da sola spendo meno di un terzo», dice Cristina.
Anche se ne hanno tutta l’aria, non sono solo chiacchiere fra donne. Cristina Gabetti ha scritto un libro che esce il 3 settembre, Tentativi di eco condotta (Rizzoli), nel quale attraverso gli errori di nove tipologie umane (dal distratto all’indifferente, dal viziato all’ingordo) fornisce consigli per vivere in modo più sostenibile. Con indicazioni pratiche e informazioni su come evitare danni all’ambiente e a se stessi. Per esempio, scegliendo con attenzione e buon senso ciò che si mangia, si beve e si indossa.
Dopo aver lavorato a lungo come giornalista televisiva (a Mediaset e per il canale satellitare Abitare) e poi come freelance per giornali e riviste, questo è il suo primo libro. Almeno in italia. Nel 1987, un editore americano le aveva pubblicato un volume sul packaging design.
Ma se nel primo libro celebrava l’estetica delle confezioni dei prodotti, nel secondo ci spiega che dobbiamo farne un uso attento per non inquinare.
Cristina Gabetti all’ecologia è arrivata in un modo molto particolare. Si potrebbe dire che la sua è un’ecologia spirituale.

Che, infatti, comincia dallo yoga.
«Sì, perché un conto è conoscere, un conto è sentire l’interconnessione tra noi e la natura. Tutto è iniziato con le trentadue ore di travaglio del mio primo parto, dovute al fatto che al corso di respirazione avevo riso tutto il tempo come una cretina, guardando mio marito che emetteva suoni buffi. Quando rimasi incinta la seconda volta, pensai che fosse meglio correre ai ripari e presi lezioni di respirazione con un’insegnante di yoga. Elena è nata in mezzo a canti e mantra, e lo stupore dei medici che pensavano si trattasse di uno strano rituale musulmano. In realtà usavamo la voce per ridurre la percezione del dolore. È incredible quanto funzioni: quella volta il travaglio fu molto più breve e meno doloroso. E alla terza gravidanza mi ero così specializzata che il parto è durato solo venti minuti».

E il passaggio all’ambientalismo?
«Quando inizi a sentire che il tuo destino non è separato da quello che  hai intorno, le altre persone, gli alberi, i fiumi, è naturale provare più rispetto per la natura. Gli elementi che compongono il pianeta sono gli stessi che abbiamo nel nostro corpo. A cominciare dall’acqua».
Di cui parla molto nel suo libro.
«Ogni volta che vedo in che modo viene sprecata mi metterei a piangere pensando che, in altri Paesi, ne basterebbero pochi litri per salvare una vita. Per non parlare delle migliaia di chilometri che facciamo percorrere all’acqua minerale. L’altro giorno ho fulminato con lo sguardo un’amica che aveva comprato una bottiglia importata dalle isole Fiji».
Le persone che frequenta non condividono le sue idee?
«Dipende. Quando spengo le luci a casa degli amici, non sempre il mio gesto viene apprezzato».
Mentre in familia la appoggiano?
«Gregorio è ancora nell’età che tutto quello che fa mamma è giusto. Mentre Pietro ed Elena ogni tanto mi prendono in giro. “Hai fatto la doccia?” ho chiesto l’altro giorno a mia figlia. E lei, che non ne aveva voglia, mi ha risposto: “Ma, mamma, non dici sempre che bisogna risparmiare l’acqua?”. Quanto a mio marito, a forza di chiudergli il rubinetto quando alla sera ci laviamo i denti insieme, ha imparato a farlo anche da solo».

Parliamo e, intanto, abbiamo raggiunto il ristorante Estia’s. Cristina lo ha scelto perché il titolare, Colin, è uno dei duecento soci di una fattoria biologica nei dintorni. La gestisce un agricoltore poeta, lunga barba bianca e viso rosso per il sole, che sembra uscito da  un’illustrazione dell’Ottocento. Ogni estate, decine di ragazzi vengono qui a lavorare nei campi come volontari. «È da questa fattoria che arrivano le verdure delle nostre omelette. Mentre le pesche dei pancake hanno fatto ancora meno strada: giusto pochi metri, visto che sono state raccolte nel giardino dietro il ristorante». Colin spiega che chi coltiva e vende localmente i propri prodotti può usufruire di sgravi fiscali, non a caso nel giro di pochi chilometri si possono trovare parecchi mercatini che vendono prodotti esclusivamente local. E questa definizione, in America, oggi conta di più del marchio organic (biologico) che, dice Cristina, «sta diventando uno slogan usato dalle grandi aziende. Comprare prodotti locali è più ecologico perché non serve trasporto e quindi non si inquina l’ambiente per farli arrivare nelle nostre case». A proposito di orti e verdura, racconta anche che a Murazzano (il paese, in provincia di Cuneo, di cui è originaria la sua famiglia) sta finendo di ristrutturare un vecchio casale «Usiamo materiali naturali, abbiamo installato pannelli solari per l’acqua calda e cisterne per raccogliere l’acqua piovana da usare per gli scarichi e l’irrigazione. E ho anche applicato qualche principio feng shui.»

Per esempio?
«Prima che venissero posati i pavimenti, abbiamo posizionato un piccolo oggetto prezioso al centro della casa. Con mio marito e i bambini ci siamo messi in cerchio tenendoci per mano, ognuno pensando a quello che di bello avrebbe voluto fare nella nuova casa».
Che oggetto era?
«Un ditale d’oro che apparteneva a mia suocera. Era molto brava nei lavori manuali ed era una grande amante della natura, con un pollice verde straordinario. Mi piacerebbe riuscire a coltivare un mio orto».
Yoga, alimenti biologici, bioarchitettura, feng shui: ha messo in conto che chi legge il suo libro può pensare: «Roba che solo i ricchi possono permettersi»? 
«Lo yoga lo insegnano anche nei parchi pubblici di Milano. E mio padre ancora ieri ha fatto il giro della casa per spegnere le luci. Non è nato ricco, e ha conosciuto i sacrifici del la guerra. Nel mio libro ci sono consigli alla portata di tutti».
A volte non è solo un problema di soldi, ma anche di tempo. 
«Le citerò ancora mio padre, che è sempre stato un gran lavoratore e che mi ha insegnato che per le cose importanti il tempo lo trovi sempre. Credo che la difesa dell’ambiente sia decisamente una priorità».
Ammetterà, comunque, che lei non è la classica ambientalista. In Italia, quando si parla di ecologia, si pensa alla sinistra. 
«E vero. Da noi questa causa è stata portata avanti soprattutto dalla sinistra, ma credo che non sia necessario dare un colore politico alla difesa dell’ambiente. In America l’ecologia è meno politicizzata che da noi».
Mi spieghi.
«Intanto, negli Stati Uniti e nel mondo anglosassone in genere le grandi le associazioni ambientaliste sono apolitiche. Inoltre, vivere in modo più sostenibile è considerato cool e nei negozi è più facile trovare capi di abbigliamento ecologici. Spesso si tratta di marchi legati all’immagine di un personaggio noto, soprattutto del mondo pop».
E secondo lei funziona?
«Se fai qualcosa di buono, anche inconsapevolmente, va bene lo stesso. Ed è possibile che ciò che oggi hai fatto per moda, domani diventi una scelta più meditata. Milioni di persone stanno lottando per un mondo migliore e quando questa moltitudine sarà abbastanza vasta da fare massa critica, il cambiamento arriverà. È in questo che dobbiamo confidare, in una richiesta che arriva dal basso».
Un leader carismatico non serve?
«Aiuterebbe, ma in Italia abbiamo pochi eco-eroi. Mi piace Jovanotti perché ci crede e si vede. Beppe Grillo con il suo blog fa un buon lavoro, divulgando notizie utili. Ma credo che, se non si fosse schierato politicamente, lo avrebbero seguito più persone»

Mentre Cristina parlava, abbiamo fatto un salto in un mercato di prodotti locali e biologici, e un giro alla fattoria. In auto, ha raccontato i suoi incontri con gli sciamani, i libri che ha letto e le ricerche su Internet da cui è nato il libro, continuando a ribadire come tutto per lei sia  connesso, e come fare qualcosa di buono per l’ambiente significhi sentirsi meglio. Poi, arrivati sulla spiaggia, si è tolta le scarpe e si è messa a correre nell’acqua.

Lei, in effetti, sembra in perfetta forma.
«Ho pensato che un sottotitolo del mio libro potrebbe essere: “Per una sostenibile leggerezza dell’essere”. Perché, se sei sostenibile, ti senti anche più leggero».

 

Intervista di Enrica Brocardo e foto di Basso Cannarsa. Pubblicato su Vanity Fair Italia –  10.09.2008

Greenews – Intervista a Cristina Gabetti

By rassegna

INTERVISTATORE: Nel suo ultimo libro affronta il tema dell’empatia come punto di partenza per costruire una nuova società. Può spiegarci meglio il concetto?

CRISTINA: L’empatia è la nostra naturale predisposizione a essere connessi con gli altri. E’ ciò che ci consente di sentire ciò che sente l’altro, e mi pare un veicolo strategico per diffondere il piacere di essere parte integrante della vita. Sono anni che ricerco, sperimento e diffondo soluzioni per evolvere verso un futuro di prosperità per tutti, ma la qualità del fare emerge da un modo di essere. Nel mio nuovo libro A Passo Leggero coniugo esperienze vissute a più prospettive con la voce scientifica di Giacomo Rizzolatti, scopritore del neurone specchio, o neurone dell’empatia, e i disegni dell’artista Ramuntcho Matta, con l’intento di stimolare ogni piano dell’essere, affinché chi legge possa riconoscersi e possa sentirsi invitato a entrare in sintonia con l’onda di rinnovamento che scuote il nostro pianeta. E’ molto facile perdere la bussola, sentirsi scoraggiati, disorientati, ma credo che con piccoli esercizi di introspezione e circospezione sia possibile scorgere spiragli di luce e illuminare nuovi percorsi possibili.

I: Come si è avvicinata all’ambiente?

C: Mi sono sentita chiamata, in quanto madre, ad alleggerire la mia impronta ecologica in modo da contribuire a colmare la voragine tra ciò che sappiamo e come ci comportiamo. Strada facendo, ho avuto prova del potere cumulativo dei nostri gesti, e il potere che abbiamo, attraverso scelte che nascono dal cuore e dal desiderio di conoscere la lunga filiera di effetti che queste hanno sugli altri, di fare la differenza. La matrice del mio impegno è nel fare, cosciente del lusso che abbiamo di poter ancora scegliere, e con il senso d’urgenza di fare il più possibile per scongiurare il peggio….

I: Quali sono i piccoli gesti quotidiani che compie per tenere una condotta ecosostenibile?

C: Ogni mia scelta è mediata dalla coscienza e dalla conoscenza. Faccio del mio meglio per sostenere filiere che rispettano la salute di chi lavora e dell’ambiente, e laddove sono costretta a compromessi, punto sulla qualità sacrificando la quantità. I miei libri, e la rubrica Occhio allo spreco, che ho scritto e condotto per 5 anni a Striscia la notizia, sono zeppi di azioni pratiche. Quando il desiderio di vivere a passo leggero si manifesta, le soluzioni si trovano. Bisogna essere aperti, curiosi e creativi. E quando le risorse singole non consentono di arrivare alle scelte desiderate, entra in gioco il sostegno della comunità.

I: Come trasmette ai suoi figli il valore del rispetto per l’ambiente? e loro come lo recepiscono?

C: Vivendo. La migliore forma di educazione è l’esempio.

I: Nel corso della sua vita ha avuto modo di vedere realtà diverse: New York, Connecticut, Torino, Milano, adesso recentemente la California. Che tipo di sensibilità ha riscontrato e riscontra nei confronti dell’ambiente in tutte queste realtà?

C: La società americana è più veloce e di conseguenza le buone pratiche si diffondono rapidamente. Noi italiani viviamo in un paese naturalmente predisposto alla sostenibilità che non mettiamo a sistema. Anche se i comportamenti eco sensibili dovrebbero essere un punto di partenza e non una meta, le mode aiutano a promuovere il cambiamento, e in un mondo che sembra aver perso il giusto ordine di priorità, è utile usarle per velocizzare una transizione necessaria. Dunque, abbracciamo le soluzioni a noi più consone, valorizzando le opportunità che abbiamo a portata di mano.

I: Che tipo di cultura ambientale pensa ci sia al momento in Italia? quanto c’è ancora da fare?

C: La cultura ambientale deve uscire dalla nicchia, ma le rendite di posizione rallentano il processo. Guardo ai piccoli progressi con la speranza che si sommino fino a raggiungere un punto di svolta su larga scala. Più che mai la perseveranza di chi applica soluzioni a prova di futuro è necessaria per aprire gli occhi a chi non sa vedere i benefici a lungo termine.

I: Ci racconta della sua esperienza con la Singularity University?

C: E’ stata dirompente, stimolante, impegnativa. Abbiamo raccolto storie incredibili che vanno in onda nella rubrica Occhio al Futuro a Striscia la notizia e sul Corriere.it: mezzi di trasporto capaci di superare l’incubo del traffico, o di consegnare medicinali in luoghi irraggiungibili, tecnologie diagnostiche e progetti per portare le piante sulla luna. La sintesi dell’esperienza è che ho compreso quanto oggi è necessario abbattere le barriere tra i saperi, perché le soluzioni più interessanti nascono dalla collaborazione di menti e talenti diversi.

I: Lei ha anche curato delle pubblicazioni per bambini: quanto le famiglie di oggi educano i loro figli al valore della sostenibilità?

C: Sono felice perché il mio libro Tondo come il Mondo (Giunti Progetti Educativi e Fondazione Ambienta) viaggia da 4 anni nelle scuole italiane e sta sostenendo la conoscenza pratica di centinaia di migliaia di bambini. Imparano, sperimentano ed elaborano, assistiti da insegnati generosi e ispirati, per poi portare in famiglia i risultati di quanto appreso. A volte, per i grandi, cambiare significa prima disfarsi di abitudini sbagliate, mentre per i bambini il percorso è più breve.

I: Secondo lei l’esplosione tecnologica e social può essere di aiuto alla costruzione di uno stile di vita e di una società innovativi?

C: Sono un’arma a doppio taglio. Le buone idee possono diventare virali sul web, con le tecnologie possiamo raggiungere persone lontane e con loro collaborare, però rischiamo, se non le gestiamo con cura, di perdere destrezza e manualità, il contatto diretto con le persone, la capacità di dialogare e di accogliere i tempi morti, che danno respiro alle intuizioni.

I: Cosa significa per lei decrescita felice?

C: Significa consumare meno e vivere meglio, come recita il sottotitolo del mio secondo libro Occhio allo Spreco. Indica un fenomeno che preme dal basso, un antidoto alla cultura dell’eccesso ma anche una naturale conseguenza della crisi economica. Credo però che per evolvere collettivamente dovremo cambiare il significato della parola crescita, passando da un indice quantitativo a uno qualitativo. Cioè, crescita evolutiva.

I: Qual è il sogno ambientale più grande che vorrebbe realizzare?

C: Non è un sogno individuale bensì collettivo. Sogno una società rigenerante, rispettosa, prospera, capace di onorare i diritti fondamentali dell’uomo e della Terra, e accolgo ogni opportunità possibile per contribuire a renderla concreta. Vorrei aprire un dialogo collettivo sull’impatto che le tecnologie stanno avendo sulla qualità della nostra vita e delle relazioni, sulle opportunità che possiamo abbracciare per accelerare il cambiamento che vogliamo, e mi piacerebbe fare un programma radiofonico, perché è uno strumento adatto per condividere esperienze e per elaborarle.

Greenews – 2014

BioEcoGeo – Intervista a Cristina Gabetti

By rassegna

Giulia Berrini: Grandi novità per questo tuo autunno: un viaggio “lontano” nella Silicon Valley e uno vicino…dentro gli esseri umani (noi stessi). Due mondi diversi che però forse ti hanno portato alla stessa conclusione: è necessario tornare a vivere il qui e ora. Soprattutto nei rapporti con le persone e con il proprio essere.

C: E’ così. Il nostro cervello lineare non è in grado di metabolizzare i cambiamenti esponenziali in atto: da un lato, quelli dei sistemi naturali, che abbiamo sovvertito e che adesso dobbiamo sanare, dall’altro quelli tecnologici, che offrono grandi opportunità, se sappiamo coglierle. Il motore delle giuste scelte è la nostra identità, e la nostra coscienza è la bussola. Chi siamo? Dove vogliamo andare? Gli esercizi di introspezione e circospezione raccolti nel mio nuovo libro A Passo Leggero nascono dal desiderio di aprire nuove prospettive sul valore del nostro agire, e il viaggio nella Silicon Valley è stato per me una conferma di quanto è importante lavorare su noi stessi per sviluppare resilienza e pensiero creativo. Alla Singularity University ho capito quanto è necessario abbattere le barriere tra i saperi, perché le soluzioni più interessanti nascono dalla collaborazione di menti e talenti diversi. Individui consci, svegli, insieme ad altri, mossi dagli stessi principi, possono arrivare lontano. Occorre agire ora con una visione a lungo termine.

GB: Dopo più di cinquant’anni in cui abbiamo fatto di tutto per globalizzarci e uniformarci (a livello politico, economico e sociale), pensi saremo davvero in grado di tornare a impegnarci e a vivere in una dimensione più piccola?

C: La multidimensionalità appartiene al nostro tempo. Della globalizzazione scelgo di apprezzare le opportunità: potersi connettere con persone lontane, vedere il lavoro di comunità distanti migliaia di chilometri ma vicini nello spirito, e questa forma di impollinazione culturale contribuisce a moltiplicare pratiche, esperienze e storie di valore. Dall’altra, nella vita quotidiana, è a livello locale che troviamo le occasioni migliori per rigenerarci ed essere rigeneranti: a contatto con i nostri luoghi di appartenenza, con le persone e le cose a noi vicine. In sostanza, sconfinati con la mente e col cuore, pro-attivi dove viviamo, con il desiderio di avere un impatto positivo laddove lo possiamo monitorare.

GB: Parliamo ora del Neurone a Specchio del Prof. Rizzolatti. In un mondo più empatico, credi sarà più semplice far circolare le buone pratiche per l’ambiente? Basterà farsi vedere molto attivi per coinvolgere ad esempio le persone nella raccolta differenziata, nella gestione di un orto pubblico o nel minor utilizzo della propria auto?

C: Ho voluto mettere la conversazione con il Professor Rizzolatti al centro di A Passo Leggero perché conferma che sviluppare empatia è strategico per costruire la società che vogliamo. “La nostra società ha bisogno di empatia come nessuna prima”, dice. E’ una conversazione ricca di sorprese, rivelazioni, e conferme. Secondo il neuro scienziato Vilayanur Ramachandran, sono stati proprio i neuroni specchio a favorire il cosiddetto “big bang” culturale avvenuto 50, 100.000 anni fa, quando in un tempo relativamente breve l’homo sapiens inventa il fuoco e il linguaggio e comincia a servirsi degli utensili. E’ chiaro che oggi occorre un nuovo big bang culturale. E l’empatia ci è innata, occorre solo risvegliarla e lasciare che ci connetta con gli altri. Sperimento quotidianamente il potere dell’empatia, e anche quello della gentilezza. Quando riusciamo a controllare l’impazienza, il fuoco reattivo, tutto si dispone meglio, ed è in quello stato che siamo in grado di costruire insieme agli altri. Poi, che basti l’empatia per diffondere una buona ed efficiente raccolta differenziata, promuovere l’orticoltura o un minor utilizzo della propria auto è riduttivo, perché le resistenze sono immense. Resistenze, però, che sovente troviamo in noi stessi. Abbiamo tutte le soluzioni necessarie per diventare rigeneranti, per smetterla di distruggere la vita in senso lato. Allora, facciamo del nostro meglio, con coraggio e con fiducia. E’ la nostra migliore scommessa. 

GB: Nel tuo viaggio nella Silicon Valley, quali sono state le invenzioni che più potrebbero aiutare il nostro pianeta? E quali sarebbero applicabili in Italia?

C: Tante: reti di trasporto veloce a trazione magnetica per superare l’incubo del traffico, reti di distribuzione per medicinali in luoghi irraggiungibili, strumenti medici portatili che cambieranno il nostro modo di curarci, robot che cambieranno il nostro modo di lavorare. Alla Singularity University, che ha sede presso il campus di ricerca e sviluppo a NASA Ames, sono andata a scuola di futuro, ho capito quanto le tecnologie esponenziali, quelle che stanno evolvendo alla velocità della luce, stanno offrendo strumenti potentissimi e di quanto il nostro pensiero creativo sia necessario per metterli a buon uso. E nella Silicon Valley ho incontrato ragazzi ispirati che stanno mettendo buone idee a servizio dell’umanità. Ho raccolto tante belle storie che sono in onda nella mia nuova rubrica Occhio al Futuro a Striscia la notizia e sul Corriere.it. Ogni tecnologia è implementabile in Italia, ma la sfida è di regolamentarle e integrarle nella società. E qui, non ci resta che pregare….

GB: E ora il tuo nuovo libro: A passo leggero. Un libro che ogni genitore dovrebbe leggere con i propri figli. L’hai pensato in quest’ottica?

C: Chi sta passeggiando con me, e con Ramuntcho Matta che ha realizzato disegni stupendi, arricchendo i percorsi con il tuo tratto poetico, ironico e provocatorio, mi racconta di esperienze piene, autentiche, e si riconosce. Parlo di rapporti familiari, di affetti, incontro persone interessanti che offrono prospettive insolite sulla vita e sulle cose, quindi è un libro adatto a tutti. Mi piace la tua immagine della famiglia riunita, e di una voce che legge.

GB: Infine, un augurio per la nostra generazione che è l’unica che davvero può fare qualcosa per consegnare un Pianeta vivibile ai nostri figli.

C: Coraggio. Non c’è tempo da perdere. E non possiamo permetterci di essere pessimisti.

Intervista di Giulia Berrini su BioEcoGeo – Dicembre, 2015