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Le lampade per l’agricoltura di CLed

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Tra poco sugli scaffali dei supermercati cresceranno i vegetali. Il progetto di C-Led è un passo nel futuro della filiera alimentare!

Cristina: La filiera agroalimentare ha forte impatto sulle risorse naturali che sono sempre più scarse e dunque la si sta ridisegnando. Inoltre, la popolazione mondiale sempre più si sposta dalle campagne alle città, e dunque così anche il cibo che consumiamo. Siamo venuti all’Istituto di Scienze Agrarie dell’Università di Bologna perché qui si stanno facendo delle importanti ricerche. Alessandro, costa state studiando?

Alessandro Pasini: Le piante non assorbono tutta la luce ma solo determinate frequenze luminose che sono dette fotosinteticamente attive. É possibile replicare le stagioni grazie alle luci artificiali e al microclima che andiamo ad adattare in base alla pianta che vogliamo far sviluppare.

Cristina: E quindi questa è una luce estiva o invernale quella che vediamo?

Alessandro: É per i pomodori quindi tipicamente estiva e in grado di far crescere e sviluppare i pomodori anche in inverno.

Cristina: Premesso che siamo grandi sostenitori di mangiare cibi locali e di stagione, ma il vantaggio di crescere pomodori e lamponi tutto l’anno?

Alessandro: Nella cultura di oggi, l’alimentazione prevede di mangiare tutto e sempre. L’Italia è una grandissima importatrice di pomodori fuori stagione ma anche di frutti di bosco. Per cui con queste soluzioni pensiamo di portare un beneficio.

Cristina: Come mai avete quattro vasche per il basilico?

Alessandro: Stiamo testando diverse frequenze luminose che abbiamo scomposto in rosso e blu con l’idea di arrivare alla pianta che ha una dimensione maggiore e aromi maggiori. Nella parte superiore stiamo testano luci per la micropropagazione, che è il primissimo processo duplicazione delle piante e a seconda del tipo di pianta e a secondo della dimensione che si vuole raggiungere stiamo testano dei bianchi diversi.

Cristina: Qual’è la differenza tra un germoglio e microgreen?

Alessandro: I germogli nascono in acqua e hanno bisogno di un tempo tra uno e due giorni. I microgreen hanno bisogno di un substrato, quindi terra ad esempio e acqua potabile. Hanno bisogno di un tempo tra i 5 e i 10 giorni.

Cristina: Qual’è il vantaggio nutritivo di un microgreen?

Alessandro: Anche di 70 volte superiore all’ortaggio allevato in pieno campo

Cristina: Siamo in un prototipo di supermercato, dove qua c’è un’unità di crescita che usa le stesse tecnologie con le luci led. Quando vedremo questo nei supermercati?

Alessandro: Non è futuro ormai, tra poche settimane avremo questa vetrina all’interno dei primi supermercati e saremo anche in grado di controllarla digitalmente per accendere o spegnere l’illuminazione o per attivare il sistema di irrigazione che è completamente automatico.

Cristina: Sistemi di coltivazione indoor come questi hanno tanti vantaggi, ad esempio la riduzione quasi totale di sostanze chimiche additive e il risparmio pensate fino al 90% rispetto al consumo idrico in agricoltura tradizionale.

3Bee, api e tecnologia

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Cosa connette api, stampa 3D e Albert Einstein? Lo scopriamo attraverso questo progetto semplice e sostenibile, interamente ideato in casa grazie all’incontro tra biologia ed elettronica. Le api hanno un ruolo cruciale nelle nostre vite, anche se da cittadini non ce ne accorgiamo. Se ne era accorto qualcuno dalla mente molto brillante, che associava la loro scomparsa a quanto di più catastrofico per la specie umana. Ma con il preciso monitoraggio degli alveari proposto da 3Bee, gli apicoltori sono in grado di prevenire malattie e decimazioni, mentre i ricercatori possono avanzare nei loro studi.

Cristina: Ogni anno da più di un decennio muore una media del 30% della popolazione di api in Europa e Nord America. D’estate poi si riproducono ma il numero complessivo delle famiglie è in continua diminuzione. E questo è un problema grave che minaccia la sopravvivenza di tutte le speciviventi inclusa la nostra. Siamo venuti a Como per incontrare due ragazzi che stanno affrontando il problema. Buongiorno ragazzi, come è nato e come si è sviluppato il vostro progetto?

Niccolò Calandri: Il nostro progetto nasce dall’unione dell’elettronica con la biologia. Io sono ingegnere elettronico e, assieme a Riccardo che è biologo, abbiamo realizzato questo prodottodirettamente in casa. Il prodotto è totalmente costruito nei nostri laboratori casalinghi, lo stampiamo in 3D, lo assembliamo in casa e lo portiamo direttamente sulle nostre arnie.

Riccardo Balzaretti: Un dispositivo che ci permette di monitorare le api in tempo reale, quindi di sapere tutto ciò che avviene all’interno dell’alveare e anche all’esterno.

Cristina: Quali sono i dati che monitorate?

Riccardo Balzaretti: Principalmente lo stato di salute delle api che può venire ricavato attraverso l’utilizzo di sensori per la temperatura, l’umidità, intensità dell’aspetto sonoro e il peso. Una volta messo il dispositivo all’interno se sei vuole si attacca l’alimentazione solare che serve per la ricarica della batteria del dispositivo che di per sé può durare mesi grazie al pannello che la rende pressoché infinita.

Cristina: Quindi voi generate una mole di big data?

Riccardo Balzaretti: Esatto, generiamo una mole molto grossa di big data che poi possono essere utilizzati per far ricerca diretta da ricercatori e università, ma anche da privati che vogliono semplicemente sapere qual è lo stato di salute degli alveari nella zona e ovviamente da apicoltori.

Cristina: Quanti apicoltori ci sono in Italia?

Riccardo Balzaretti: Circa 100 mila, di cui 10 mila sono professionisti. Abbiamo studiato e ricercato anche una soluzione per una delle malattie che è una piaga in apicoltura che si chiama varroa che è un piccolo parassita, acaro dell’ape. Si tratta di un telaino termico. L’idea non è nuova, ma stiamo cercando di ottimizzarla, ed è una soluzione che non prevede chimica.

Cristina: Se le api dovessero scomparire, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita. Questa frase è attribuita a Albert Einstein, non è certo che l’abbia detto, ma il ragionamento è verosimile e far riflettere. Occhio al futuro.

Il futuro secondo Ray Kurzweil

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Benvenuti nel futuro secondo Ray Kurzweil, il “genio instancabile”, futurista, inventore, creatore di film, autore di bestseller e padre dell’intelligenza artificiale.

Abbiamo incontrato Kurzweil con i suoi studenti alla Singularity University, organizzazione che ha co-fondato e che continua ad infondere con le sue visioni e soluzioni. Il tono della sua voce è ipnotico, e lentamente fornisce informazioni dirompenti alla mente. In questa parte della conferenza, Kurzweil spiega come il riformo tecnologico sta cambianto il concetto di moralità e la natura di noi umani.

ANNUNCIATORE: Il Wall Street Journal lo ha definito “il genio inquieto” e ha ricevuto venti lauree ad honorem, che è venti di più della maggior parte di noi. Con grande piacere e un caloroso benvenuto, vi introduco il Dr. Ray Kurzweil.

KURZWEIL: Direi che la grande maggioranza di voi vivrà per sempre- tutti sembrate molto giovani—ma ho intenzione di farlo anch’io, e sono probabilmente più vecchio di voi. Molte delle previsioni che vedo su salute e medicina si basano sulla traiettoria che conosciamo, su quanto tempo occorre per lo sviluppo dei risultati e per studiare le cure. Ma tutto questo si riferisce al progresso lineare di salute, medicina e biologia poiché in passato non erano basate sull’informatica. Era un approccio quasi a caso. Oggi usiamo i computer per tenere traccia delle informazioni, e la biologia è fondamentalmente un processo di informazione. I geni sono programmi software, e questa non è una metafora. Sono sequenze di dati, e si sono evoluti molto tempo fa; ora abbiamo i mezzi non solo di scoprire che cosa è il codice “oggetto”, ma anche di analizzarlo e di riprogrammarlo. La tecnica dell’interferenza di RNA può spegnere i geni. Nuove forme di terapia genica possono aggiungere nuovi geni. E la potenza di queste tecnologie oggi sta procedendo in modo esponenziale. A metà del progetto genoma, i critici lo etichettavano un fallimento perché solo l’1% era stato sequenziato in sette anni. Dicevano, “Con l’uno per cento in sette anni, ce ne vorranno 700, come avevamo pronosticato.” Ma in realtà il progetto fu terminato sette anni dopo perché 1% è a soli sette raddoppi dal 100%. Questo processo è continuato dopo la fine del progetto genoma. Il primo genoma è costato un miliardo di dollari. Oggi siamo a qualche migliaio di dollari. Ma possiamo anche riprogrammare il software obsoleto. Quindi, queste tecnologie sono ormai mille volte più potenti di quanto lo fossero dieci anni fa. Questa è l’implicazione del raddoppio ogni anno in termini di prestazioni e capacità a parità di prezzo. È stata una decina di anni fa che abbiamo finito il progetto genoma, e stiamo vedendo i primi frutti di questo sforzo nel processo di approvazione finale. Ho sentito parlare di almeno un centinaio di progetti molto interessanti sul cancro e molte altre malattie che stanno arrivando alla radice della causa, trattando queste malattie come informazioni. E la nostra capacità di intervenire sta davvero raddoppiando ogni anno. Quindi, queste tecnologie saranno un migliaio di volte più potenti in dieci anni. Saranno un milione di volte più potenti in venti anni. Vedremo cambiamenti incredibili nel prossimo decennio. Tra dieci o venti anni da oggi, ci sarà una vera e propria rivoluzione. Credo che supereremo le malattie e l’invecchiamento. Quindi allacciate le cinture di sicurezza. Evitate gli sport estremi. Potete anche voi… Credo che siamo a dieci, dodici, forse quattordici anni di distanza dal momento in cui aggiungeremo più di un anno ogni anno. Non solo all’aspettativa di vita alla nascita, ma a quella rimanente, raggiungendo così un punto di non ritorno. Ora, la speranza di vita è un fenomeno statistico Insomma, potreste comunque essere colpiti dal proverbiale tram, domani. Ma stiamo lavorando anche su questo, con le macchine autoguidate. Quindi penso che la prospettiva stia cambiando, e che avremo un grande potere tra dieci anni. A venti anni da oggi sarà un mondo completamente diverso.

Droni umanitari e le medicine arrivano in luoghi irraggiungibili

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Due giovani creano una rete di distribuzione per luoghi irraggiungibili. La startup che si è inventato tutto questo ha sede in un ex magazzino della Silicon Valley. Contenuti extra da Occhio al futuro di Striscia la Notizia.

SANTANA: Sono originaria della Repubblica Dominicana e sono un avvocato. Ero molto interessata a capire come poter applicare la tecnologia alla politica, per far sì che i governi diventassero più efficienti e trasparenti, e volevo capire come accellerare il loro impatto nel mondo, fondamentalmente perché i governi sono come un grande meccanismo che può rendere effettive le leggi per un gran numero di persone Poi ho vinto una borsa di studio alla Singularity University che mi ha permesso di studiare lì per tre mesi, in compagnia di astronauti, ingegneri, imprenditori, dottori e quello che ho scoperto alla Singularity è stato un nuovo mondo di tecnologie esponenziali che non solo accellera il percorso per poter fare qualcosa… trasforma completamente il modo in cui si vede il mondo e in cui si compiono le azioni, perché questo è ciò che la tecnologia fa meglio. Ho conosciuto Andreas, che è oggi il mio cofondatore di Matternet. Lui aveva avuto l’originale idea di usare veicoli aerei senza pilota (UAV) e di creare un network di questi veicoli volanti per il trasporto, specialmente in posti senza infrastrutture stradali o in posti in cui le strade non funzionano veramente L’idea mi è piaciuta subito, soprattutto perché ho visto la possibilità di saltare tutta la fase decisionale che di solito è gestita dai governi Infatti, se metti a confronto questi due procedimenti… Andare al congresso, far passare una legge, accettare di investire cinquanta milioni di dollari nella costruzione di una strada È una decisione politica. Non ha nulla a che fare con il miglioramento delle condizioni di vita della gente che vive lì, specialmente se quella gente non vota, se non ha voce in capitolo nella sua vita quotidiana. Non devo più passare attraverso questo procedimento perché c’è questa nuova tecnologia, che possiamo mettere nelle mani di chiunque, che permette di saltare tutto questo processo e di connettere queste persone. È efficiente, affidabile ed è la reale soluzione del 21° secolo per un problema che esiste nel mondo da sempre. Questo è un piccolo veicolo volante chiamato Quadcopter, perché ha 4 eliche. Ha solo 4 parti mobili: questi 4 motori e 4 eliche. Tutto il resto è elettronica e una batteria. Noi crediamo che questo sarà il nuovo, il prossimo paradigma del trasporto, La vera soluzione del 21° secolo. Questo si chiama Michelangelo. Abbiamo costruito circa dieci prototipi come questo e li abbiamo testati in location estreme. Siamo stati in Bhutan, nella catena himalayana e lo abbiamo testato con il supporto del governo e del ministro della salute per aiutarli a trasportare medicinali tra gli ospedali e i centri di cura che si possono trovare a 50, a 100 km di distanza! E L’unico modo per fare tutta questa strada, è attraverso punti intermedi dove è possibile atterrare, cambiare la batteria e ripartire immediatamente Stiamo dunque creando una rete in cui sia possibile farli atterrare autonomamente e ripartire, attraverso piccoli ponti aerei tra i vari luoghi. Quello che vedi qui è solo una parte del sistema. Il veicolo è dotato di un piccolo computer connesso ad internet. Abbiamo sviluppato un “cloud system” Che dà instruzioni al veicolo su cosa fare, Da dove partire, quando, quale percorso prendere per raggiungere la destinazione. Andreas, possiamo fare in modo che Michelangelo voli vicino a quelle rocce? Certo! Adesso tu stessa darai istruzioni a Michelangelo In modo da farlo giungere a destinazione. E adesso lo vedrai partire. Favoloso! Sta partendo… che emozione! Devi sapere che il costo dell’energia per un carico di circa un chilo calcolando una distanza intorno ai venti chilometri è sorprendente: soltanto 2 centesimi! Complimenti, hai completato il tuo primo volo.

“I vostri computer non sono sicuri”

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Marc Goodman è tra i più grandi esperti al mondo di sicurezza. Stratega globale, Futurologo dell’FBI, consulente dell’Interpol e docente di legge ed etica alla Singularity University, dove abbiamo assistito a una sua lezione al cardiopalmo. Il suo intervento è un concentrato di suspense, più avvincente di un thriller, ma quando realizzi che non sei al cinema, e che stai sentendo dalla massima autorità in materia che nessun computer è inviolabile, che si possono piratare i pacemaker e le serrature delle celle dei penitenziari, che Facebook viene hackerata 600.000 volte al giorno, ti si gela il sangue. «Siamo abituati a leggere notizie come queste sui giornali, ma in mezzo a tante altre, non ci danno l’idea della vastità del fenomeno. Non ci rendiamo conto che i cyber crimini stanno diventando sistemici», spiega. Ogni giorno tutti noi pompiamo in rete uno tsunami di informazioni, una marea continua di dati che possono essere usati a nostro vantaggio, ma anche contro di noi. Internet è fonte di immense opportunità, ma anche di rischi che è di importanza vitale conoscere. Goodman ha fondato un’organizzazione chiamata Future Crimes che riunisce un panel di futurologi impegnati a studiare e discutere gli effetti del progresso scientifico e tecnologico sul crimine, la legislazione e gli ordinamenti giudiziari a livello planetario. Future Crimesè anche il titolo del suo nuovo libro, definito «un tour nel mondo sommerso del web», un portolano da usare per navigare ad occhi aperti, e per impostare la rotta al sicuro dai pirati e dai virus sempre più agguerriti.

GOODMAN: Qualche settimana fa abbiamo arrestato un assassino in Florida. Aveva ucciso la sua coinquilina. Doveva nascondere il corpo e non sapeva come fare. Allora ha preso il suo IPhone e a chiesto a Siri: “Siri, qual è il posto ideale per sbarazzarsi di un cadavere?” E Siri gli ha risposto dicendogli che lo poteva buttare in un fiume, o in una discarica, oppure seppellire in un cimitero. La polizia, che già sospettava di lui, ha deciso di controllare il suo telefono e, a seguito di un’analisi forense, ha trovato le domande fatte a Siri e lo ha incastrato. Ogni singolo computer può essere hackerato. Non è mai stato costruito un computer inviolabile. Abbiamo bisogno di sistemi più sicuri e io penso che un metodo valido sia un modello simile a quello della salute pubblica. Potremmo usare l’epidemiologia per occuparci dei virus del computer. Trattiamoli come se fossero una malattia, isoliamoli! ci sono crimini cibernetici stupefacenti e il mio lavoro è quello di verificare quanto siano avanzati i criminali che li commettono. Oggi si occupano di tecnologie elettroniche, conoscono benissimo la robotica, l’intelligenza artificiale, la genetica, le armi biologiche… hanno esperti per ogni area, insomma. In passato, se qualcuno commetteva un crimine, se ad esempio rapinava la Banca d’Italia a Roma, La polizia era certa di alcuni dati di fatto: sapeva che il criminale era a Roma e che la banca era a Roma. Vittima e criminale si trovavano insomma nella stessa città e sarebbero stati Carabinieri o Polizia di Stato ad occuparsi delle indagini. Il criminale avrebbe lasciato tracce di DNA. Erano cose certe. Oggi lo stesso criminale può rapinare la Banca d’Italia da un qualsiasi paese dell’Africa. La può rapinare da Mosca. Il nostro sistema è messo a dura prova da questo, poiché la leggi sono nazionali, per la maggior parte. Abbiamo alcune leggi internazionali ma il problema dei crimini informatici è esclusivamente internazionale. Un criminale può spostarsi in cinque paesi diversi mettendoci non più di cinque minuti. Gli basta hackerare un computer per ogni paese. Quando un criminale si trova a Roma e la polizia pure è facile procedere. Ma se hai un poliziotto a Roma e il tuo criminale è in Ucraina o a Buenos Aires, Spesso non c’è il budget per mandare l’agente in giro per il mondo. Ci sono comunque organizzazioni che se ne occupano. In Europa esiste L’Europol all’Aia, che coordina il crimine in tutta Europa e nel resto del mondo c’è l’Interpol, che si occupa di tutti i continenti. 190 paesi uniti insieme per concentrarsi sul crimine internazionale… Ma il problema è un budget limitatissimo. Il budget dell’Interpol è di circa 75 milioni di euro all’anno. Quello della sola Polizia di New York è di 4 miliardi di euro! Un’idea valida sarebbe quella di creare un corpo di riservisti internazionali online. Questi poliziotti speciali sarebbero addestrati, faremmo un completo controllo dei loro precedenti, e gli daremmo le autorizzazioni di sicurezza necessarie a rinforzare il corpo di polizia, con il loro lavoro di volontariato. Quando facciamo una ricerca su internet vediamo solo una minima parte della rete.

CRISTINA: Quali sono le proporzioni?

G: La maggior parte della gente, quando fa una ricerca su Google è convinta di accedere all’intera rete, ma non è così. Sotto alla parte visibile c’è il cosiddetto “Dark Web” e il “Deep Web” che sono parecchio più grandi. In proporzione sono grandi 500 volte la parte visibile! Il Web di superficie è grande più o meno 19 terabytes, mentre il Dark Web 7500 tera! Nel “Dark Web” ci sono parecchi database e altre informazioni di sicurezza nascoste, ma è lì che si organizza tutto il crimine informatico. Pensa alle misure di sicurezza negli aeroporti, ad esempio. Dopo l’11 Settembre cosa abbiamo fatto? I terroristi hanno usato molta creatività per trasformare aerei in bombe e compiere attacchi terroristici. Noi non abbiamo la stessa creatività dei criminali. a essere onesti, quello che vediamo negli aeroporti è il cosiddetto “teatro della sicurezza”. Sono controlli che servono a farci sentire più protetti, Ma in realtà non sono molto sofisticati. Il governo americano ha compiuto un studio: hanno fatto il conto di quante pistole erano state trovate ai controlli degli aeroporti Americani ed hanno calcolato il costo delle spese di sicurezza. È venuto fuori che per ogni pistola sono stati spesi 40 milioni di dollari! Devo fare invece i miei complimenti All’Unione Europea, perché le loro leggi sulla privacy sono probabilmente le più solide al mondo mentre quelle negli Stati Uniti sono le più deboli. Per fare un esempio, i principali paesi del mondo hanno un commissariato nazionale sulla privacy. Gli Stati Uniti no.

C: Lei ha collaborato spesso con l’Italia. Qual’è la sua esperienza con la nostra polizia nazionale?

G: Ho lavorato con vari enti. Con la Polizia di Stato e con la Polizia Postale e delle Comunicazioni. Fanno un ottimo lavoro, veramente. Hanno esperti riconosciuti a livello internazionale, viaggiano per il mondo e hanno lanciato una serie di indagini davvero notevoli. Ad esempio sono i pionieri nell’ideazione di una forza di polizia virtuale. La Polizia di Stato ha un sito online, è possibile accedere e visitare una stazione di polizia virtuale con avatar. Nessun paese è perfetto, per carità, ma l’Italia ha fatto un ottimo lavoro.

Robot Wamot della Waseda University di Tokyo

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Cristina: Siamo all’Università Waseda e stiamo per sentire questo oggetto straordinario che abbiamo di fronte che cosa combina.

Prof. Hiroyuki Ishii: Questo è un robot che analizza la qualità dell’ambiente, sviluppato nei laboratori Takanishi dell’Università Waseda a Tokyo. È capace di raccogliere dati sulla salute del terreno, di flora e fauna. Soprattutto può essere usato per intervenire in aree disastrate, quando accade una calamità, il robot in loco può cercare le persone, o monitorare i livelli di inquinamento.

Cristina: Perché si muove in questo modo buffo?

Prof. Hiroyuki Ishii: Ha un sistema motorio originale, che gli consente di muoversi su tutti i terreni, erbosi, innevati, rocciosi, sabbiosi e fanghosi. Può scavalcare massi e tronchi, superare ostacoli e dislivelli.

Cristina: Da che distanza può essere controllato?

Prof. Hiroyuki Ishii: É comandato dalla rete dei telefoni cellulari che ci permette di controllarlo a distanza, stiamo facendo esperimenti tra l’Italia e il Giappone. Collaboriamo con la scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Quando sono andato in Italia, in Abruzzo a Petri, ho messo li il mio robot e il studenti lo controllavano dal Giappone. Vedete? Questo circuito comunica con lo smartphone montato sul robot che le riceve dallo smartphone in mano all’uomo. Tali istruzioni viaggiano da scheda a scheda fino al circuito interno che controlla i motori. L’obbiettivo principale di Wamot è di trovare gli hot spot, ossia i picchi di inquinamento che sono i più pericolosi per la salute degli esseri  viventi. Lo fa rilevando il livello di radiazioni sulla superficie del suolo.

Cristina: Che applicazioni avete in mente? Le persone potranno usarlo sui propri terreni?

Prof. Hiroyuki Ishii: Si, l’idea è quella di dare questi robot agli agricoltori, alle guardie forestali, in modo che possano avere un controllo diretto sulle condizioni del territorio.

Cristina: Wamot è stato progettato per essere venduto ad un prezzo democratico, mettendo così le persone di misurare direttamente la salubrità del suolo. Una piccola rivoluzione.

Prof. Hiroshi Ishiguro e i suoi robot

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Cristina: Vi ricordate la pecora Dolly? La clonazione biologica destò molto stupore, oggi vi parliamo di una cosa che non è meno stupefacente.

Prof. Hiroshi Ishiguro: Sono uno scienziato e un’ingegnere, il mio ruolo è quello di inventare cose nuove.

Cristina: Professor Ishiguro, come è arrivato fin qui?

Prof. Hiroshi Ishiguro: É una storia lunga. Da ragazzo volevo fare il pittore, poi ho rinunciato all’arte per studiare informatica e intelligenza artificiale, così sono arrivato a sviluppare robot androidi che assomigliano a noi e ho capito che sto creando, come un’artista. I robot sono una tela per me.

Cristina: Ci descrive come nasce un Geminoid?

Prof. Hiroshi Ishiguro: Prima facciamo uno scan 3D del corpo, poi facciamo il calco e la parte più importante è ricreare la consistenza della pelle umana. In parallelo, sviluppiamo le funzioni meccaniche ed elettroniche integrate che sono l’anima del robot. queste vengono poi coperte da uno strato di silicone, una seconda pelle. É un sistema ibrido e come può osservare nascono movimenti spontanei, inconsci.

Cristina: Ti senti mai solo?

Geminoid: Si. Di notte sono molto solo.

Prof. Hiroshi Ishiguro: La voce arriva attraverso internet da un computer che la analizza e ne copia i movimenti. Qui non usiamo l’intelligenza artificiale. Questo androide è telecomandato, ci interessa potergli inviare informazioni, anche quando si trova in posti lontani. Il suo padrone lo può muovere come fa con il suo stesso corpo, in un futuro vicino renderemo questi androidi autonomi.

Cristina: E cosa state facendo fare ai vostri androidi, quali mansioni?

Prof. Hiroshi Ishiguro: La nostra prima sfida è stata di sostituire una conduttrice di un telegiornale. Funziona molto bene perché gli androidi non sbagliano mai e soprattutto quando ha a che fare con un ruolo pubblico è molto utile. Abbiamo messo una commessa androide nel centro commerciale, le persone sono felici di parlare con lei. Poi la gente sa che i robot non mentono mai, si fida di più dei computer. Penso che sarebbe facile sostituire commessi umani con commessi androidi.

Cristina: Quando interagisce con i Geminoid si attiva una risposta empatica in lei?

Prof. Hiroshi Ishiguro: La forma e i movimenti dell’androide, assomigliano a quelli dell’uomo, per questo si attivano i neuroni specchio in chi interagisce con lui. Noi umani riconosciamo un’androide come nostro simile, a partire dal tatto. Il meccanismo empatico qui è automatico.

Cristina: Le sono stati commissionati androidi da persone che vogliono un loro gemello robot?

Prof. Hiroshi Ishiguro: Ho creato un androide per il professore Danese Heinrich Scharfe e lui lo sta usando, vuole studiarlo, svilupparlo. Lo fa sperimentando e mandandolo nel mondo a fare conferenze.

Cristina: Crede possibile che l’uomo un giorno avrà relazioni sentimentali con questi robot androidi?

Prof. Hiroshi Ishiguro: A volte il robot può essere molto meglio dell’umano. Il robot è più bello, voglio dire, è un’ideale. Immagina un idolo pop, una cantante, è meglio la versione umana o il robot? Quale ha più fantasia? L’androide non va in bagno, non si stanca. Con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale probabilmente la gente arriverà ad accettare gli androidi come esseri umani.

Cristina: Può essere comodo in molte circostanze della vita avere il proprio doppio. Per me sarebbe utile, penso per la mia famiglia sarebbe un’incubo.

Robotica umanoide alla Waseda University di Tokyo

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Al Humanoid Robotics Institute presso la Waseda University a Tokyo abbiamo incontrato un gruppo di ricercatori che sta sviluppando robot per assistere gli anziani e per intervenire in aree disastrate. Waseda collabora con L’Istituto Superiore Sant’Anna di Pisa e insieme al Professor Takanishi lavorano diversi italiani, tra cui il livornese Gabriele Trovato.

Perché il robot Asimo non è stato capace di stringere la mano alla Cancelleria Merkel durante una recente visita in Giappone?

Cristina: Siamo a Tokyo alla Waseda University dove incontriamo ricercatori italiani che collaborano con i Giapponesi per lo sviluppo della robotica. Professor Takanishi, qual’è l’area di ricerca più importante a cui state lavorando nel dipartimento di robotica umanoide?

Prof. Takanishi: Una delle più importanti ricerche qui al Waseda Institute di Tokyo è nel campo dei robot umanoidi e stiamo studiando modi per rispondere ai diversi bisogni dell’uomo. In particolare modo stiamo sviluppando robot per assistere gli anziani e le famiglie. I vecchi, sappiamo, hanno bisogno di aiuto nella vita quotidiana ma soprattutto, soffrono di solitudine. Un robot che sa comunicare con le persone tiene compagnia, è di grande aiuto e sta diventando un’assistente importante anche per monitorare la salute.

Cristina: Questi robot possono imparare da soli in qualche modo?

Prof. Takanishi: Si, ed è una funzione molto importante. L’interazione uomo-uomo ha infinite variabili diverse e noi dobbiamo sviluppare nei robot adattabilità molto complesse. Abbiamo uno studente italiano, di Livorno, che sta facendo ricerca in questo ambito con l’umanoide Kobian, che è molto importante per capire come favorire la relazione uomo-robot cone persone di culture diverse.

Gabriele Trovato: Kobian può realizzare espressioni con il corpo e anche soltanto espressioni facciali. Abbiamo anche una nuova funzione che potrà anche mostrare dei simboli come magari una lacrima o un punto interrogativo. Questi sono anch’essi importanti per aiutare a trasmettere a quale emozione sta pensando il robot a secondo delle diverse culture.

Cristina: C’è un famoso aneddoto a questo proposito giusto?

Gabriele Trovato: Si di recente il robot Asimov a cui la Cancelliera Merkel ha provato a stringere la mano ma i tecnici giapponesi lo faranno inchinare piuttosto che dare la mano. I robot devono essere impiegati in spazi dove ci sono anche altri esseri umani, dove ci sono scale e i robot devono potersi muovere con due gambe, quindi non possono avere le ruote. Questo robot è specializzato nella camminata, tutti gli altri robot come Asimov ad esempio, non muovono il bacino, cercare di realizzare un robot umanoide non vuole dire soltanto androidi, quindi con un aspetto umano con una pelle artificiale. Vuol dire anche imitare il movimento.

Prof. Takanishi: Come sapete 4 anni fa a Fukushima c’è stato un tragico incidente, gli ambienti nelle centrali nucleari sono stati progettati per l’uomo che in condizioni simili non può accedervi. Così ho avuto un’idea, di progettare robot umanoidi per intervenire in luoghi disastrati, inquinati, e inaccessibili per l’uomo. Entro dieci anni questi robot comunicanti avranno un ruolo importante nella società.

Lo spettrometro che misura stress

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Abbiamo incontrato il Professor Giuseppe Pezzotti, primo accademico italiano ad aver avuto una cattedra a tempo pieno al Kyoto Institute of Technology. Oggi Pezzotti è diventato un punto di riferimento nel mondo per l’analisi di protesi espiantate dal corpo umano. Grazie allo spettrometro Raman, misura lo stress a livello nanometrico che gli consente di capire perché è avvenuto il danno. In questa intervista il Professore ci racconta quali saranno le future applicazioni di questa tecnologia.

Cristina: Siamo al Kyoto Institute of Technology e stiamo andando a trovare il Professor Giuseppe Pezzotti, che è il primo professore non Giapponese ad aver avuto una cattedra permanente. È passato dall’ingegneria meccanica alla fisica quantistica, passando per la medicina.

Prof. Giuseppe Pezzotti: Ora stiamo misurando il grado di ossidazione di un ginocchio artificiale in polietilene espiantanto dopo 11 anni in un corpo umano.

Cristina: Cosa si riesce a vedere con quel macchinario che non emerge da una normlae radiografia?

Prof. Giuseppe Pezzotti: A livello molecolare si vede il livello di ossidazione del polietilene in maniera non distruttiva, viene mandato un raggio laser che arriva sul materiale ed eccita le vibrazioni molecolari e come uno dei fenomeni correlati all’irradiazione, c’è un’emissione luminosa – l’emissione raman – che si vede in uno spettro e ci spiega se è ossidato o meno, se ha stress o meno, se alcune specie chimiche sono attaccate alle molecole o meno.

Cristina: Questi che cosa sono?

Prof. Giuseppe Pezzotti: Questi sono impianti che sono stati tirati fuori dal corpo umano che ci vengono spediti per vedere qual’è stata la degradazione del materiale e ce ne sono alcuni come questo che sono stati molto poco all’interno del corpo umano, per pochi mesi, ma già hanno avuto problemi. Invece altri che hanno resistito tanti anni ma si sono degradati e quindi cerchiamo di capire il motivo della degradazione.

Cristina: Quali possono essere le cause di questi malfunzionamenti?

Prof. Giuseppe Pezzotti: La causa principale che viene riportata dai malfunzionamenti è dovuta all’osteolisi, che è una degradazione dell’osso, che avviene in seguito al rilascio di debris – piccole particelle di polietilene che si annidano vicino alla protesi e causano una reazione fisiologica dell’organismo che cerca di eliminarle. Capire i meccanismi di degradazione è una cosa fondamentale. Il raman è una metodo non distruttivo quindi apre la possibilità di controllare pezzo per pezzo quindi in maniera deterministica la qualità dei pezzi incorporati.

Cristina: Quali sono altri possibili applicazione della spettroscopia raman?

Prof. Giuseppe Pezzotti: Per esempio, possiamo studiare il grado di osteoporosi delle ossa, e potrebbe essere usato in futuro per metodi diagnostici. Altre cose possibili sono lo studio delle proteine per vedere con quale rapidità una persona invecchia. Un’altra possibilità è lo studio della demineralizzazione delle lamelle nei denti, per esempio capire se e quali sarà la probabilità di carie. Un’altra possibilità è studiare l’osteoartrite, riuscire a capire quando la cartilagine si sta per alterare perché l’alterazione molecolare avviene sempre prima, è il precursore diciamo della malattia. L’applicazione del raman è fondamentale come disciplina preventiva.

Un’insalata sulla luna

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Mentre Philae (il lander trasportato dalla sonda spaziale Rosetta) scopre tracce di materiale organico sulla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, offrendo indizi importanti per comprendere le origini della vita sul pianeta Terra, al centro di ricerche NASA Ames, a Moffett Field in California, la astrobiologa italiana Rosalba Bonaccorsi ci racconta come porterà 3 piante sulla luna e a cosa serviranno. E spiega che il suo occhio guarda ancor più lontano. I confini tra la scienza e la fantascienza si assottigliano sempre più e la nostra immaginazione può abbracciare il sogno di una vita interstellare anche al cinema, con il film di Christopher Nolan, spettacolare ma anche ricco di spunti su cui riflettere.