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e-concept, mobilità elettrica a Venezia

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Avreste mai immaginato che Venezia è in cima alle classifiche per concentrazione di polveri sottili nell’aria? Vi siete mai chiesti se inquina di più un motore stradale o marino? Insieme a Francesco Pannoli e Claudio Iannelli di e-concept rispondiamo a questi quesiti raccontando la loro iniziativa che contribuirebbe a salvaguardare il delicato ecosistema della Serenissima.

Mentre una serie di mecenati e celebrities quali Mick Jagger, Francis Ford Coppola si rivolgono alle autorità nazionali e locali con un “decalogo per Venezia”  richiedendo che si tuteli l’integrità fisica e culturale della città lagunare con uno statuto speciale, il 5 giugno, giornata mondiale dell’ambiente, sono tornate in laguna le grandi navi. Ogni soluzione nel nostro paese rischia di incepparsi nei meandri delle burocrazie, però, più che mai occorre insistere con le buone soluzioni. E cercare di snellire in ogni modo possibile la loro implementazione. Questa è una che merita.

Cristina: Sappiamo che le emissioni delle auto sono regolamentate dalle classi dell’UE. Per le imbarcazioni, che a Venezia assolvono a tutti i bisogni, non ci sono norme corrispettive. Eppure un motore marino ha un impatto molto superiore ad un suo omologo stradale. Secondo lo studio di Legambiente lo scorso anno, Venezia è seconda a Torino per concentrazioni di polveri sottili e questo è imputabile in parte ai mezzi di trasporto. C’è chi sta studiando un’alternativa. Buongiorno Claudio, raccontaci dell’infrastruttura che state creando. 

Claudio Iannelli: Venezia è la città simbolo per il trasporto nautico in quanto sia i privati che il pubblico si muove attraverso le imbarcazioni, abbiamo individuato nella palina di ormeggio nautico l’elemento nella quale integrare la tecnologia necessaria per la ricarica. Crediamo che sia il primo passaggio fondamentale per consentire lo switch che sta avvenendo anche negli altri settori di trasporto verso l’elettrico, in quanto l’elettrico è privo di emissioni nocive sia chimiche che fisiche.

Cristina: Questo ovviamente se vi fornite di energia rinnovabile.

Claudio Iannelli: Si, l’energia che erogano le paline è tutta da fonte rinnovabile certificata. La richiesta di questo tipo di energia motiva le utility a produrne e a immetterne in rete sempre di più. È un percorso virtuoso.

Cristina: Francesco qual è a situazione oggi a livello di emissioni a Venezia?

Francesco Pannoli: Si stima che a Venezia durante una giornata a regime si brucino circa 50.000 litri di combustili di cui l’80% diesel e il 20% benzina verde.

Cristina: Quindi insomma è una forte motivazione a fare questa transizione.

Francesco Pannoli: Si, contando che in laguna ci sono circa 40.000 imbarcazioni.

Cristina: Di cui quante Claudio sono elettriche?

Claudio Iannelli: Allo stato attuale non più di qualche decina, una trentina. Chiaramente è in funzione del fatto che non esiste una infrastruttura di ricarica e l’utente medio non si affaccia a questo tipo di opportunità. Per questo che vogliamo creare una prima rete in modo che il processo si avvii.

Cristina: Qual è il piano di decarbonizzazione di Venezia?

Francesco Pannoli: Il 30 aprile del 2020 il comune ha firmato il patto globale dei sindaci e questo chiaramente è una prima cosa perché la riduzione del 40% delle emissioni di CO2 entro il 2030 e poi la totale decarbonizzazione entro il 2050. Sta intraprendendo altri progetti molto interessanti come stanziare dei fondi per l’elettrificazione dei mezzi pubblici o delle barche che si occupano della raccolta e del compattamento dei rifiuti quindi ci sono tutte le buone intenzioni per andare verso quella direzione. Ciò non toglie che il cambiamento del settore nautico non è facile.

Cristina: Grazie in bocca al lupo. Questa soluzione adempie agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 3 salute e benessere, 7 energia pulita e accessibile, 9 industria innovazione e infrastruttura, 11 città e comunità sostenibili, 13 agire per il clima.

In onda il 8-6-2021

Mygrants, la prima app per migranti

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Secondo l’International Organization for Migration il numero di migranti che globalmente tentano di passare i confini è in continua crescita: nel 2000 erano 150 milioni mentre nel 2020, 272 milioni. Non avevo abbastanza riflettuto sul fatto che 90% dei migranti che sbarcano sulle nostre coste sono nativi digitali. Pochissimi dopo il periodo trascorso nei centri di accoglienza trovano lavoro, ma oggi, grazie a Chris Richmond e Mygrants, possono sperare in un futuro dignitoso. È una storia di perseveranza, visione, impegno e lungimiranza, nata dalla mente di un ragazzo ivoriano, che ha saputo creare uno strumento di grande valore umano e sociale. Sono onorata di averlo incontrato e di poter diffondere la sua importante iniziativa.

Cristina: Dall’inizio della Primavera Araba, 10 anni fa, sono sbarcati in Italia circa 800.000 migranti, in cerca di una vita dignitosa. Molti di loro hanno riposto le speranze nell’Europa. Il 90% ha meno di 35 anni ed è tecnicamente nativo digitale, più della metà non ha frequentato le scuole superiori. Dopo circa un anno e mezzo nei centri di accoglienza e poi pochissimi trovano lavoro. Oggi c’è per loro un futuro possibile, grazie alla prima app sviluppata per i migranti, navigabile in 3 lingue con più di 8.000 quiz che valutano le loro ambizioni e i loro talenti. Buongiorno Chris, raccontaci della vostra bella iniziativa. 

Chris Richmond: Abbiamo deciso, nel 2017 di creare questa piattaforma educativa per migranti e rifugiati con l’obiettivo di valorizzare a pieno le loro competenze pregresse, i loro background, i loro talenti e fare in modo che queste competenze e questi talenti possano essere maggiormente spendibili sul mercato del lavoro.

Cristina: Che obiettivi vi ponete e quali risultati state ottenendo?

Chris Richmond: L‘obiettivo sicuramente è quello di innovare il sistema italiano, europeo e internazionale di asilo, facendo in modo che anche i migranti per motivi economici e i futuri migranti per motivi climatici possano muoversi liberamente da punto A, a punto B in modo legale e sicuro. Trovare una modalità di generare maggiore fiducia tra migranti e soggetti finanziari formali, vuol dire semplicemente rendere i migranti anch’essi bancabili.

Cristina: E a oggi quanti utenti avete?

Chris Richmond: Dopo 4 anni siamo a oltre 100.00 utenti attivi in piattaforma. Abbiamo circa il 20% degli utenti che non sono in Italia, sono ancora in medio oriente, Africa o sud-est asiatico, circa 15.000 profili altamente qualificati individuati e supportato l’inserimento lavorativo di circa 1.900 persone.

Cristina: Una percentuale importante però bassa nel contesto. Come mai secondo te?

Chris Richmond: Non siamo nati con l’ambizione di fare inserimento lavorativo, ma siamo nati con l’ambizione di fare emergere le competenze e il talento. Nel corso del tempo, analizzando i dati ci siamo resi conto che potevamo ambire a qualcosa di più e a inizio 2018 abbiamo deciso di iniziare a testare l’inserimento lavorativo. 2018, 19 e in qualche modo abbiamo avuto delle riduzioni agli inserimenti lavorativi anche dovuti alla pandemia e stiamo comunque cercando di lavorare su quei settori maggiormente richiesti attualmente dal mercato del lavoro. Sicuramente l’informatica e la tecnologia, ciò che riguarda le traduzioni e l’interpretariato, sicuramente meccanica e meccatronica, in parte anche delivery quindi logistica e molta sanificazione e ciò che riguarda ovviamente servizi alla persona quindi caregivers.

Cristina: Chris c’è una storia che vuoi condividere con noi?

Chris Richmond: Ce ne sono tante, sicuramente la storia di un giovane ingegnere informatico tunisino arrivato in Italia un paio di anni fa, e che ha cercato di trovare opportunità lavorativa come lavapiatti, è entrato in piattaforma e dopo poche settimane ha dimostrato tutto il suo talento. Ha avuto 12 richieste di inserimento lavorativo e ha potuto scegliere per quale azienda andare a lavorare. Oggi si occupa, per quell’azienda, di collaudare gli impianti industriali e dopo 3 mesi di tirocinio ha avuto una conversione del suo tirocinio in un contratto a tempo indeterminato. Questa è una delle tante storie che siamo riusciti nel nostro percorso a trasformare da sogno in realtà.

Cristina:  Grandissimo lavoro, veramente auguri per ogni bene e grazie Chris. Dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU questa impresa adempie a 1 zero povertà, 4 educazione di qualità, 8 lavoro dignitoso, 9 industria innovazione e infrastrutture, 10 ridurre le disuguaglianze, e 11 città e comunità sostenibiliOcchio al futuro

In onda il 1-5-2021

Cosa significa digitalizzare il Duomo di Milano?

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Parliamo spesso di tecnologia al singolare ma le applicazioni sono tantissime. Possono comportare investimenti audaci però consentono, come nel caso del Duomo di Milano, di facilitare i lavori di manutenzione e restauro del suoi 2 milioni mt3 e di implementare la nostra conoscenza della cattedrale più grande d’Italia.
Ringrazio 3DSurveyGroup del Politecnico di Milano per l’esperienza aumentata che sarà frutto di sorprendenti applicazioni e Living3D per la visita virtuale del museo che un giorno consentirà di far rivivere la storia di 6 secoli di costruzione.

Cristina: Grazie alle tecnologie, possiamo viaggiare nello spazio e nel tempo. Oggi visitiamo il Duomo di Milano e il tour inizia da casa. La digitalizzazione degli archivi consente di ripercorrere tutte le fasi della storia e della costruzione della cattedrale più grande d’Italia durata 600 anni. E con la Duomo Card, si può anche accedere a webinar e percorsi formativi. Ma adesso venite con me. Il lavoro qui non si è mai fermato. Adesso incontriamo l’Ingegner Canali, il 48esimo Architetto del Duomo, che si occupa del continuo restauro di questo fenomenale monumento. Buongiorno Ingegnere, che ruolo ha per voi la tecnologia?

Francesco Canali: Un ruolo fondamentale. Negli ultimi dieci anni abbiamo dedicato quasi, insieme al Politecnico di Milano, 30.000 ore di lavoro per avere dei 2 milioni di mt3 che sono il volume del Duomo, una rappresentazione con 60 miliardi di punti che ci consente di avere un’immagine digitale del Duomo stesso perfettamente sovrapponibile a quella reale con la quale organizzare tutto il sistema informativo. Puoi dare anche un’occhiata.

Cristina: Qui ho un menu. Qui vedo un ologramma della colonna. È fenomenale. Adesso appare la colonna in miniatura, più o meno di questa grandezza. Entro dentro al capitello e qui lo posso ingrandire. Però Ingegnere, immagino che come strumento consenta intanto di integrare 600 anni di archivio.

Francesco Canali: Si, anche perché è difficile consultarlo. Invece così, riferendolo a quello che si vede diventa immediato.

Cristina: È meraviglioso. L’esperienza aumentata è fenomenale. Certo che però quella fisica è impagabile.

Francesco Canali: Certo, poterci venire sul Duomo è sempre meglio. Un posto davvero bello. Poi con le giornate di bel tempo ancor di più.

Cristina: E il museo?

Francesco Canali: Il museo è chiuso, siamo in un periodo in cui non si può visitare. È proprio li sotto di noi, però basta avere un tablet e tutto diventa possibile.

Cristina: Siamo nel museo adesso, davanti al modellino del Duomo?

Francesco Canali: Eh no, lo chiamiamo “modellone”. Ed è l’equivalente della rappresentazione digitale che vedevamo prima però fatta nel XVI secolo. Il modello con il quale il Duomo è stato via via costruito e che, da ultimo, è stato usato per capire le giuste proporzioni della facciata principale. In legno di tiglio, è una riproduzione perfetta. L’immagine che abbiamo del “modellone” è un’anteprima del percorso di visita digitale di tutto quanto il Museo del Duomo che a breve sarà disponibile sul sito della Veneranda Fabbrica.

Cristina: E che sarà quindi un modo di preparare la visita ma porterà poi anche a diverse applicazioni?

Francesco Canali: L’insieme delle tecnologie digitali che abbiamo scorso velocemente oggi può far immaginare un corto circuito perfetto tra il passato, il presente e il futuro. E perché no, arrivare a immaginare anche di fare incontrare Gian Galeazzo, un suo ologramma, che spiega perché se ne stava in cima alla guglia Carelli.

Cristina: Che meraviglia, grazie mille. Queste tecnologie adempiono agli OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE dell’ONU 4 educazione di qualità, 8 lavoro dignitoso, 9 industria innovazione e infrastrutture e 11 città e comunità sostenibili. Grazie ingegnere per questa meravigliosa esperienza. Occhio al futuro

In onda il 24-4-2021

EcoAllene – riciclare i poliaccoppiati

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EcoAllene è un nuovo e innovativo materiale derivante dal riciclo di poliaccoppiati, cioè formati da un film plastico e un film metallico. In Italia sono immessi sul mercato circa 7 miliardi di contenitori per bevande, si tratta di 150.000 Ton di rifiuto poliaccoppiato che può essere trasformato in risorsa.

Parte I – EcoAllene

Parte II – Innovare i processi

Parte I

Cristina: Questa è una storia di economia circolare che nasce dai rifiuti delle cartiere. Contenitori come questi contengono un rivestimento esterno in cellulosa di alta qualità che viene recuperata, ma resta la parte interna, un poliaccoppiato di plastica e alluminio che qui, diventa risorsa. Stefano, come funziona il vostro processo?

Stefano Richaud: Quando riceviamo dalle cartiere il cosiddetto poly-al, quindi la frazione di alluminio e plastica, la inseriamo in un processo che innanzitutto prevede un lavaggio profondo per eliminare la cellulosa rimasta attaccata allo scarto ed eventuali altri inquinanti che da una raccolta differenziata, possono finire all’interno del nostro prodotto. Poi agglomeriamo questa sorta di coriandolo, trasformandola in una ghiaietta, per poi estruderla e trasformarla in questi granuli plastici che poi possono essere trasformati in un prodotto plastico.

Cristina: Siete stati i primi a fare questa innovazione? A riciclare questi poliaccoppiati?

Stefano Richaud: Il processo deriva da un’idea, da un’intuizione di un imprenditore italiano che ha brevettato questa idea di non separare la parte di plastica con quella di alluminio, ma tenerla insieme. Trasformando quindi un nuovo granulo plastico, una cosiddetta materia prima-seconda, da un rifiuto.

Cristina: Che cosa ne ricavate?

Stefano Richaud: Ne ricaviamo un granulo plastico che dato ai nostri clienti può essere trasformato in tantissime applicazioni di uso quotidiano. Come può essere un accessorio casalingo, come una scopa o una paletta; degli attrezzi per l’edilizia come i manici di un martello; la cancelleria: pennarelli, evidenziatori, penne; o addirittura dei packaging per la cosmetica e per il settore della detergenza.

Cristina: Non alimentari però..

Stefano Richaud: La normativa europea non permette il contatto alimentare con un prodotto riciclato, salvo il PET che è una unica riserva.

Cristina: Il vostro quindi è un materiale 100% riciclato ma è anche riciclabile?

Stefano Richaud: Assolutamente si. Una volta che arriva a fine vita, l’applicazione realizzata con il nostro granulo può essere riciclata come una normale materia plastica, come un polietilene.

Cristina: Qual è il volume di rifiuti poliaccoppiati in Italia? E quanti riuscite a riciclarne voi?

Stefano Richaud: In Italia sono immessi 7 miliardi di contenitori per bevande ogni anno, di questi, la parte di plastica e alluminio è circa il 25%, quindi con l’attuale livello di raccolta differenziata attorno al 60% ci sono 120.000 tonnellate di questo rifiuto che trattiamo. All’impianto di Alessandria abbiamo un riciclo di circa un terzo di quello che può essere riciclato in Italia. Questo problema chiaramente, è moltiplicato in tutti i paesi, dove il cartone per bevande è largamente utilizzato. E aggiungiamo anche tutti gli altri poliaccoppiati, formati da carta, plastica e alluminio. Con la nostra tecnologia possono trovare una soluzione.

Cristina:  Grazie. Tecnologie come questa sono un’eccellenza in Europa e nel mondo. Andiamone fieri. Adesso però bisogna innovare anche la filiera. Occhio al futuro

In onda il 13-3-2021

Parte II

Cristina: Siamo in un impianto dove si riciclano materiali poliaccoppiati. La tecnologia corre sempre più veloce, ci sono nuove famiglie di materiali che nascono in continuazione, questo ci obbliga anche a innovare le filiere. Ed è proprio parlando con chi innova che vengono gli spunti migliori. La legge spesso fatica a stare al passo con l’innovazione, come innovatore nell’ambito del riciclo, quali sono i punti chiave necessari per aggiornare le leggi sul trattamento dei rifiuti?

Stefano Richaud: Sicuramente bisognerebbe implementare quella che è la raccolta differenziata. Oggi soltanto il packaging va differenziato ma ci sono tantissimi prodotti di plastica sul mercato che andrebbero intercettati, raccolti, perché si possono riciclare. Inoltre, quando una tecnologia con la nostra nasce e si afferma, è importante sapere – facciamo un esempio – che bisogna lasciare il tappo attaccato al cartone per bevande, anche se sembra un packaging di carta. E comunque bene tenerlo perché nel processo di riciclo viene completamente recuperato.

Cristina: Poi ci sono sempre più materiali poliaccoppiati, il processo che voi usate è estendibile anche a quelli?

Stefano Richaud: Assolutamente si, il processo è esattamente lo stesso. Quindi si trova la soluzione di sposare questi due elementi: la parte metallica e la parte di plastica, poi a volte c’è la cellulosa e a volte no. Il processo c’è, bisogna ingegnerizzare le macchine, come questa che abbiamo qua, per poterlo riciclare. È importante trovare un compromesso tra la shelf-life, e quindi il fatto che il packaging conservi al massimo l’alimento, con la sua riciclabilità. Noi stiamo lavorando con i produttori per cercare di trovare la soluzione migliore.

Cristina: Perché oggi quelle sono plastiche considerate non nobili e quindi vengono termovalorizzate. Che fine fanno?

Stefano Richaud: Esattamente, o discarica o incenerimento.

Cristina: Invece per quello che riguarda le bioplastiche? Sovente finiscono con la plastica, mentre dovrebbero nell’umido.

Stefano Richaud: La bioplastica può essere sicuramente una soluzione per specifiche applicazioni, però anche qua va regolamentata, quindi quando arriva a fine vita bisogna fare attenzione a distinguere quello che è compostabile da quello che è biodegradabile, e soprattutto ciò che è biodegradabile non finisca nelle attuali filiere di riciclo già esistenti che sono delle eccellenze, funzionano, ma possono essere minacciate da altri materiali se messe nel bidone sbagliato.

Cristina: Diciamolo in due parole la differenza da biodegradabile e compostabile.

Stefano Richaud: Una volta conferiti correttamente, un materiale biodegradabile si decompone nell’arco di 6 mesi, mentre per un materiale compostabile sono sufficiente solo 3 mesi.

Cristina:  Grazie. Già oggi la maggior parte dei rifiuti possono diventare risorsa, è questa la questiona al cuore dell’economia circolare di cui si parla tanto. Tutti noi possiamo essere parte di questo processo, l’importante è di aggiornare il tutto continuamente. Occhio al futuro

In onda il 20-3-2021

Crowdfunding per tutti con Produzioni dal Basso

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Produzioni dal Basso è la prima piattaforma italiana di crowdfunding, attiva dal 2005. Permette a chiunque di proporre e raccontare in modo semplice il proprio progetto, raccogliendo fondi per realizzarlo, che sia un progetto di tipo sociale, ambientale o educativo.

Cristina: Oggi vi parliamo di una piattaforma che consente ai cittadini di dare o ricevere contributi economici per cause in cui credono. C’è di tutto, dal ristorante che per reinventarsi ha bisogno del sostegno della comunità, a centri di cura e accoglienza, progetti culturali sociali anche in collaborazione con diversi comuni italiani o associati agli SDG. Buongiorno Marta. Come funziona la vostra piattaforma?

Marta Dall’Omo: La nostra piattaforma permette a qualsiasi soggetto, che sia un soggetto sub-giuridico o che sia una persona fisica, di raccogliere fondi online in maniera semplice e trasparente. Attraverso la nostra piattaforma quindi, chiunque può lanciare la proprio campagna di raccolta fondi per realizzare il proprio progetto, che sia in ambito culturale, sociale, che sia un progetto di start-up o d’impresa.

Cristina: Immagino che in questo momento di crisi molti si rivolgano a voi. Quante richieste avete?

Marta Dall’Omo: In questo momento ci sono più di 500 campagna attive e in generale, nella storia della nostra piattaforma, abbiamo raccolto oltre 15 milioni di euro da una comunità di donatori di oltre 300.000 persone. I progetti finanziati sono più di 5.000.

Cristina: Alcune piattaforme danno i soldi solo se raggiungi il tetto richiesto, voi come vi comportate?

Marta Dall’Omo: Noi abbiamo quattro modelli di raccolta fondi, alcuni presuppongono questo tipo di funzionamento, quindi spetta al progettista ovvero colui che lancia la campagna, scegliere quale modello preferire, se utilizzare una modalità di raccogli tutto, quindi qualsiasi sia l’obiettivo, i fondi raccolti andranno nelle disponibilità del progetto oppure un obiettivo di raccolta – se non viene raggiunto quell’obiettivo non si ha accesso a quei fondi.

Cristina: Diciamo per i telespettatori, i fondi vengono restituiti ai donatori..

Marta Dall’Omo: Certamente, in quel caso i fondi non vengono neanche processati. Nella modalità “tutto o niente” per dirla in gergo, le donazioni vengono solamente promesse, quindi non c’è proprio una movimentazione di denaro se l’obiettivo non viene raggiunto.

Cristina: Chi ha bisogno di fondi ma non sa come fare?

Marta Dall’Omo: Sulla nostra piattaforma molto spesso ci sono delle iniziative, dei bandi, che vengono proposti da alcuni brand, associazioni, aziende, università, che quindi decidono di partecipare o co-partecipare alla creazione di alcune campagne e di alcuni progetti. Ovviamente se vengono raggiunti dei presupposti, per esempio il raggiungimento del 50% dell’obiettivo di raccolta.

Cristina: Avete un sistema anti-truffa?

Marta Dall’Omo: Allora, diciamo che la piattaforma fa dei controlli periodici, quindi controlla tutte le campagne che vengono proposte. In più insieme ai sistemi di pagamento integrati in piattaforma facciamo delle verifiche anti-riciclaggio e come terzo, ma non meno importante controllo, la comunità valida le idee e sostanzialmente decide se sostenerlo oppure no.

Cristina:  E poi avete una sezione dedicata agli SDGs…

Marta Dall’Omo: Qualche tempo fa abbiamo lanciato una sfida verso la nostra community, abbiamo immaginato che oltre alla finalità della raccolta fondi, i nostri progettisti avessero finalità più alte, e quindi potessero indicare i loro progetti in quale area d’impatto avesser appunto un impatto. Ed è stata incredibile la risposta, oltre 3.500 progetti in pochissimo tempo hanno indicato almeno un obiettivo d’impatto all’interno della loro campagna e quelli maggiormente indicati sono il numero 10, il numero 4 e il numero 3.

Cristina:  Grazie Marta. Per la comunità di questa piattaforma ridurre le disuguaglianze, sostenere educazione di qualità e salute per tutti sono la priorità. Come vedete, gli SDG sono veramente una mappa utile per progredire verso uno sviluppo necessario. Occhio al futuro

In onda il 6-3-2021

L’app di AWorld, perché non c’è un pianeta B

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Una app che è stata scelta dall’ONU per la campagna Act Now – agisci ora, per l’implementazione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. AWorld, attraverso tecniche di gioco, aiuta gli utenti ad adottare stili di vita più sostenibili.

Cristina: La storia di oggi parte da Torino e arriva nel mondo. Alessandro Armillotta, Alessandro Lanceri che oggi non ha potuto essere con noi e Marco Armellino, partendo dal desiderio di voler adottare abitudini sostenibili hanno sviluppato una app che è stata scelta dall’ONU per la campagna Act Now – agisci ora per l’implementazione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Perché molte persone animate di buone intenzioni  hanno bisogno di essere guidate. Alessandro, come funziona?

Alessandro Armillotta: AWorld è una app e una guida, che permette di scoprire, tramite tecniche di gioco, che cos’è la sostenibilità e quali sono le azioni pratiche che possiamo fare nella nostra vita quotidiana che possono avere un impatto positivo sull’ambiente. Collaborando con l’ONU e attivisti da tutto il mondo, siamo riusciti a racchiudere dentro quest’app tutte le informazioni e le esperienze e quei piccoli trucchi che possono aiutarci a vivere sostenibilmente.

Cristina: Marco come calcolate l’impatto delle azioni?

Marco Armellino: Assieme al team delle Nazioni Unite, abbiamo calcolato l’impatto delle singole azioni delle persone ad esempio in termini di consumo di CO2, acqua o energia elettrica. per esempio ti suggeriamo di staccare le spine dei tuoi piccoli elettrodomestici, in questo modo puoi risparmiare, statisticamente, 3,5 kw di energia al giorno e 1,5 di CO2.

Cristina: Anna, vi fidate che le azioni siano veritiere?

Anna Olivero: Intanto prima di rilasciare l’app abbiamo fatto dei test e delle ricerche e abbiamo capito che le persone che aderiscono al progetto di salvare il mondo non hanno bisogno di barare. Inoltre le azioni quotidiane che suggeriamo sono molto motivanti quindi, non è necessario prendere in giro se stessi.

Cristina: Come premiate i virtuosismi?

Marco Armellino: Allora, quello che puoi fare all’interno della nostra app è aderire a una sfida di gruppo, tutti gli utenti insieme ad esempio, in questo momento, stanno risparmiando 200.000 kg di CO2 con le proprie azioni. Quello che noi facciamo è di raddoppiare il loro impatto, insieme a delle aziende partner, in questo caso piantumare degli alberi – dei bambù – che in 20 anni assorbiranno altri 200.000 kg di CO2.

Cristina:  Finora che risultati avete raggiunto?

Alessandro Armillotta: Beh, nei primi mesi abbiamo raggiunto 40.000 utenti, generando insieme un milione di azioni ma sappiamo che, in prospettiva, nel mondo ci sono milioni di persone che sono pronte ad agire e pensiamo di fare miliardi di azioni collettivamente per la salvaguardia del pianeta.

Cristina:  Grazie ragazzi. Piccole azioni quotidiane, tutte insieme, possono fare la grande differenza. Occhio al futuro

In onda il 27-2-2021

MAC – il modulo ospedaliero riciclato di Miniwiz per il Covid

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Arthur Huang, architetto e ingegnere Taiwanese, è il più ingegnoso protagonista dell’economia circolare che abbia mai conosciuto. Con Miniwiz ha ingegnerizzato più di 1.200 materiali da rifiuti pre e post consumo. In questa puntata di Occhio al Futuro, narrata dal suo collaboratore italiano Renato Mirone, vi raccontiamo la sua nuova sfida: costruire stanze ospedaliere con materiali plastici e alluminio riciclati, utilizzando tecnologie per il monitoraggio in remoto dei pazienti e per la santificazione delle unità. Progettate in tempo di Covid-19, queste camere possono essere utilizzate per le degenze di malati infettivi ed essere trasformate per rispondere anche ad altri bisogni.

Cristina: Su 24 milioni di abitanti, Taiwan ha avuto solo 441 casi di Covid-19, e 7 decessi, perché ha subito attuato misure contenitive. C’è il sospetto che li, sappiano fare le cose bene. Ci colleghiamo con la capitale Taipei, per incontrare Arthur Huang architetto ed ingegnere, che, con la sua squadra ha progettato dei moduli per convertire spazi ospedalieri inutilizzati. Buongiorno Renato, dove siete?

Renato Mirone: In un ospedale che stiamo convertendo a Taipei e sono con il presidente dell’Università Cattolica FuJen e questo è il nostro modulo. Viene assemblata ed attivata in meno di 24 ore.

Cristina: Il costo per modulo qual’è?

Renato Mirone: Per la versione standard, il prezzo è di $100.000 USD, ma il prezzo varia a seconda della posizione e dei requisiti dell’unità.

Cristina: In che materiali è costruito?

Renato Mirone: Gran parte con materiali riciclati. L’elemento principale di questo modulo è un pannello composito, costituito da due lamine in alluminio riciclato con un nucleo centrale in PET riciclato. Per il soffitto abbiamo utilizzato dei pannelli traslucidi in policarbonato riciclato da post-consumo. In totale sono state riutilizzate 7.000 lattine in alluminio e 9.000 bottiglie di plastica per kit di costruzione.

Cristina: Renato quali tecnologie avete applicato a questa stanza?

Renato Mirone: Questo modulo è stato concepito per essere flessibile ed adattabile, così da poter convertire uno spazio in base alle diverse esigenze. Può diventare un’unità di terapia intensiva, o di isolamento, o una generica camera di degenza. La stanza è dotata di un sistema di ventilazione a pressione negativa, dove l’aria espulsa non viene fatta ricircolare, ma viene microfiltrata e diretta all’esterno dei locali. Ai pannelli è stato applicato un nano-rivestimento fotocatalitico ed antibatterico, che combinato con una serie di lampade a raggi ultravioletti, permettono di sanificare la stanza velocemente. Un sistema integrato per il monitoraggio in remoto del paziente, composto da telecamere e sensori, permette di limitare i rischi degli operatori sanitari ed allo stesso tempo lo staff medico può gestire un maggior numero di pazienti. Infine su una delle pareti è presente una grande opera d’arte costituita da pannelli in PET riciclato fonoassorbente e antibatterica. Quest’ultima soluzione aiuta a ridurre il livello di stress durante lunghe degenze. Questo modulo può essere installato all’interno o all’esterno di un ospedale, ma è concepito per trasformare velocemente spazi sottoutilizzati presenti nelle strutture ospedaliere. Dopo aver consultato dottori a Taiwan, negli Stati Uniti e in Italia, abbiamo riscontrato che molto spesso le unità per l’emergenza sono installate troppo lontano dalle strutture sanitarie.

Cristina: In che modo hanno contribuito gli italiani allo sviluppo di questo progetto?

Renato Mirone: Il nostro studio, specializzato nello sviluppo di materiali provenienti dai rifiuti domestici ed industriali, da molto tempo coopera con ricercatori e organizzazioni non governative italiane. [ndr. Per questo progetto hanno collaborato con il Centro per l’Innovazione dell’Ospedale dell’Università Cattolica FuJen di Tapei e il Ministero degli Affari economici di Taiwan]

Cristina: Vedremo queste strutture presto anche da noi?

Renato Mirone: L’Università Cattolica FuJen da sempre ha ottime relazioni con l’Italia, noi come studio siamo anche presenti a Milano, quindi speriamo di portare presto anche da voi questa struttura innovativa.

Cristina: Questa soluzione adempie agli SDG 3, 9, 11, 12 e 13. Occhio al Futuro!

In onda il 13-6-2020

Gamindo – come donare giocando

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Come trasformare tempo in denaro? Nicolò Santin e un gruppo di giovani italiani hanno trovato una formula convincente per usare il gioco come strumento di raccolta fondi. Progettando videogiochi per aziende, che vogliono sostenere Onlus come attività di CSR, e facendo scegliere a quali enti donare dai gamer stessi, i creatori di Gamindo mettono in atto un ciclo virtuoso.
Gamindo ha lanciato la sua app a febbraio con 5000 utenti e adesso sono più di 15.000, che scelgono tra 12 giochi per sostenere 22 enti non profit. Evidentemente la formula piace. E stanno sviluppando un gioco sul distanziamento sociale e uno sugli SDG. Complimenti.

Cristina: Oggi giocando, faremo donazioni da destinare a enti no-profit senza tirar fuori un euro dal portafoglio, questo grazie ad una nuova piattaforma di videogiochi, che converte il tempo in denaro. Buongiorno Nicolò, quanti e che tipo di giochi avete sviluppato?

Nicolò Santin: Oltre 10 giochi, di logica, memory, corsa e avventura. Ci stiamo concentrando molto sui giochi educativi con il tema del Covid attuale e anche per quello che sono gli SDGs.

Cristina: Come funzionano invece le donazioni?

Nicolò Santin: Le donazioni sono possibili grazie alle aziende presenti all’interno della piattaforma, commissionano il gioco e grazie al budget messo da parte da queste aziende, è possibile poi permettere alle persone di donare grazie alle gemme che ricevono all’interno dei singoli giochi.

Cristina: E garantisce anche a voi una sostenibilità economica essendo startupper ancora, giusto?

Nicolò Santin: Assolutamente si bravissima. Lo sviluppo del gioco ci garantisce la sostenibilità economica ma la natura della piattaforma è quella che ha come mission di permettere a chiunque di donare giocando. Permette anche di avere un impatto a livello sociale ed ambientale.

Cristina: Per le aziende è un ottima azione di responsabilità sociale d’impresa o CSR. Quante associazioni e che tipo di associazioni state sostenendo?

Nicolò Santin: Abbiamo già sostenuto oltre 20 organizzazioni no-profit, dal Buzzi a Emergency, a Plant for the Planet, con cui nella giornata mondiale della terra abbiamo piantato oltre 100 alberi, ed è stato possibile appunto grazie agli utenti, alle loro partite, e hanno scelto gli utenti stessi a chi donare le loro gemme. Questa per noi è una cosa bellissima. Al Buzzi [l’ospedale dei bambini a Milano] abbiamo donato mille euro e ora ve lo faccio raccontare da Antonella.

Antonella Conti: Ricordo con molto piacere l’operazione realizzata che grazie al videogioco di Oggy ha permesso alla nostra associazione OBM Onlus di migliorare l’accoglienza delle famiglie del Buzzi.

Cristina: Qual’è l’età media dei vostri giocatori?

Nicolò Santin: È 25-30 anni.

Cristina: Così grandi?

Nicolò Santin: Assolutamente si, si crede che il giocatore sia ancora il quindicenne con i brufoli rinchiuso in camera, in realtà l’età media del videogiocatore in Italia sono 34 anni.

Cristina: Grazie Nicolò. Nelle settimane scorse l’OMS ha lanciato #PlayApartTogether che significa giochiamo lontani ma uniti. Si stima che i videogiochi siano lo svago preferito per 2.3 miliardi di persone nel mondo, e così si aggiunge anche un’importante valenza sociale e terapeutica. Questa piattaforma adempie agli SDG 8, 9, 11, e 13. Occhio al Futuro

In onda il 30-5-2020

GAIA, la casa naturale stampata in 3D

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Questa storia aiuta a immaginare un nuovo modo di abitare – gradevole, semplice, accessibile, ecologico, sano. Un sogno possibile grazie alla perseveranza dell’architetto Tiziana Monterisi e del suo incontro con Massimo Moretti. Insieme hanno trovato il modo di utilizzare un materiale di scarto con ottime prestazioni e disponibile in quasi tutto il mondo. Grazie alla stampa 3D, viaggiano fisicamente solo gli strumenti tecnici; il progetto viaggia sul web e la materia prima si trova sul posto. Gli edifici di Rice House realizzati con Wasp sono modulari. Pensate che usare gli scarti di lavorazione del riso costa meno che smaltirli.

Cristina: Avete mai pensato di costruire una casa con materiali naturali tutti italiani? È possibile grazie alla stampa 3D e alla ricerca che oggi vi raccontiamo. Gli ingredienti sono terra cruda e scarti di lavorazione del riso che, da soli, ogni anno sarebbero sufficienti per costruire questi edifici sostenibili per l’intera popolazione italiana. Solo nel Vercellese, sono coltivati a riso 70.000 ettari e solo il 35% degli scarti sono riutilizzati. Massimo, raccontami il processo.

Massimo Moretti: Quello che abbiamo studiato è esattamente un processo, come costruire a basso impatto utilizzando i materiali che sono sul posto. È inserire il sapere nella materia più umile per trasformare quella materia in un materiale utile all’edilizia, quindi l’informazione in realtà dà il valore alla costruzione. Ecco vedi, questa costruzione è fatta di terra, del luogo, paglia di riso, perché il riso è una dei materiali che si trova di più sulla faccia della terra, ed è depositata con una macchina quindi questa formazione può essere replicata indefinite volte. È una costruzione modulare può assumere, di conseguenza, qualsiasi forma e dimensione a seconda di quello che serve sul luogo. L’unica cosa che viaggia fisicamente è un container con all’interno tutto il materiale tecnico per costruire, mentre le informazioni possono viaggiare via web.

Cristina: Grazie Massimo. Tiziana, tu invece sei autrice della ricerca, qual è l’impatto ambientale complessivo di questo edificio?

Tiziana Monterisi: Quasi nullo, perché grazie proprio ai materiali che compongono il muro, l’edificio è ad energia quasi zero, è paragonabile ad una Classe A++++. Ciò vuol dire che sfrutta gli apporti passivi ma non ha bisogno né di un riscaldamento durante l’inverno, né di un impianto di condizionatore durante il periodo estivo. La muratura si equilibria e mantiene sempre costante una temperatura e un’umidità che è quello che ci fa percepire il maggior comfort interno. In particolare, proprio la lolla di riso e la paglia di riso contengono una altissima percentuale di silice, che gli permette di non marcire, di non essere attaccata dagli insetti e soprattutto, di essere durevole. Una cosa non semplice e scontata per i materiali naturali. Sarebbe facile stampare in cemento, molto più rapido ma avrebbe un impatto sull’ambiente completamente diverso. Questa casa è 100% fatta di materiali naturali quindi sostenibile al massimo, non solo per l’ambiente ma anche per l’uomo. Vedi Cristina questa è la nostra nuova sfida, abbiamo tolto il legno e la costruzione è monomaterica.

Cristina: Pensate che riutilizzare questo scarto agricolo ha un impatto inferiore che smaltirlo. È una filiera tracciabile, riduce anche le bollette quando si sta nella casa e quindi insomma è una soluzione ecologica il più possibile. Adempie a otto dei diciassette SDG: 3, 8, 9, 11, 12, 13, 15 e 17. Occhio al futuro!

In onda il 11-4-2020

La fabbrica Lamborghini a zero emissioni

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Dal 2009 la fabbrica Lamborghini è a zero emissioni. Nel 2018, raddoppiando lo stabilimento e la produzione, hanno mantenuto la certificazione CO2 neutrale. I nuovi uffici sono LEED Platino, lo standard ambientale ed energetico più alto per un edificio; con impianti fotovoltaici, di cogenerazione e trigenerazione, tutte le innovazioni tecnologiche e di processo seguono i principi dell’industria 4.0

Cristina: Oggi visitiamo una fabbrica di automobili a zero emissioni, che ha raddoppiato lo stabilimento e la produzione mantenendo la certificazione CO2 neutrale. I nuovi uffici sono LEED Platino, lo standard ambientale ed energetico più alto per un edificio; qui tutte le innovazioni tecnologiche e di processo seguono i principi dell’industria 4.0 per la migliore sinergia possibile tra uomo e macchina.
Ingegnere, che interventi avete fatto per essere una fabbrica a zero emissioni?

Ranieri Niccoli: Intanto siamo partiti in tempi non sospetti molti anni fa e questo ci ha permesso di essere abbastanza avanti nel mondo del lusso. Parliamo di interventi per esempio riferiti a un impianto fotovoltaico che abbiamo installato sui nostri tetti e gli edifici, di 15.000 m2 e 2,1 megawatt di potenza. Successivamente abbiamo realizzato due impianti di trigenerazione, sono impianti che producono energia elettrica, calore e freddo attraverso l’utilizzo del metano e dei gas di scarico della combustione. Sono impianti molto efficienti di 2,4 megawatt. Ulteriormente abbiamo un impianto di teleriscaldamento, cioè prendiamo dell’acqua calda prodotto da un impianto di cogenerazione esterna alla nostra azienda che altrimenti verrebbe sprecata e la portiamo all’interno della fabbrica. Poi tante altre cose, l’utilizzo delle luci a LED, il policarbonato al posto del vetro, abbiamo realizzato delle protezioni per i nostri edifici più vecchi in modo da aumentare l’efficienza termica e poi tutta la parte di domotica per efficienziare l’accensione e lo spegnimento delle luci o dell’impianto di riscaldamento o raffrescamento. Tutto questo ci ha permesso di evitare di emettere quasi 6.000 tonnellate di CO2, pari alla quantità che assorbirebbe una foresta di circa 300.000 alberi.

Cristina: E quali le altre innovazioni più importanti?

Ranieri Niccoli: Il nostro processo produttivo l’abbiamo chiamato manifattura. Manifattura perché principalmente il processo è artigianale, i nostri operatori sono quelli che montano e danno il valore aggiunto. Le nostre macchine però sono molto complesse e sono una diversa dall’altra e allora per facilitare il compito delle persone che sono in fabbrica a montare abbiamo poi utilizzato una serie di strumenti digitali, che sono quelli della fabbrica 4.0 e una parte di automazione, parliamo di robot collaborativi, che insieme alle persone rendono il processo più robusto, più ergonomico e più semplice da realizzare.

Cristina: In questo bioparco di 7 ettari avvengono diverse iniziative per la salute delle persone e dell’ambiente, sono state piantate 10.000 querce e insediati 13 alveari, per la tutela della biodiversità. L’area è aperta alle scuole per educare i giovani sulla convivenza felice tra industria e natura. L’insieme di tutte queste azioni adempie a dieci dei diciassette SDG: 3, 4, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 15 e 17. Occhio al futuro!

In onda il 28-3-2020