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Fanghi da depurazione diventano risorsa con Bioforcetech

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Il fango da depurazione è quella frazione di materia solida contenuta nelle acque reflue urbane ed extraurbane, che viene rimossa negli impianti di depurazione durante i vari trattamenti depurativi necessari a rendere le acque chiarificate compatibili con la loro reimmissione in natura senza creare alterazioni all’ecosistema. Complessivamente, in Italia vengono prodotte circa 3.000.000 di ton/anno di fanghi da depurazione. Più o meno inquinati. Eliminarli correttamente costa una media di 150€/ton, totale sono 450.000.000 €/anno. Con il sistema di Bioforcetech, che diminuisce notevolmente il rifiuto e lo trasforma in Biochar, si può arrivare ad un risparmio del 90% . Perché riducendo il volume del 90% si riducono altrettanto tutti i costi i consumi energetici e di trasporto.

Cristina: Il problema che trattiamo oggi nasce dalle nostre fogne, riguarda la salute di tutti noi. La soluzione nasce da un gruppo di giovani italiani che hanno progettato un macchinario capace di trasformare rifiuti in risorsa.
Gli scarichi urbani, industriali e agricoli vengono raccolti in impianti che separano la parte liquida da quella solida, per poi essere trattati. La legge consente di riutilizzarne una parte in agricoltura. Nel 2017, 60 comuni lombardi si sono uniti per contestare l’uso dei fanghi da depurazione nei terreni dove cresce il cibo che mangiamo, hanno fatto ricorso al TAR e hanno vinto. La loro preoccupazione era di non poter tutelare la salute dei cittadini. La questione è divampata, generando interventi e analisi in diverse regioni italiane. Sono stati trovati elementi inquinanti elevati come idrocarburi, PFAS e altre sostanze nocive. Mangiamo cibo inquinato più di quanto pensiamo.
In seguito alla decisione dal TAR sono stati abbassati del 90% gli inquinanti ammessi nei fanghi da depurazione usati in agricoltura. Ma gli impianti non sono stati in grado di adeguarsi alle nuove norme e il sistema è entrato in crisi. Data l’emergenza, nel Decreto Genova, quello del ponte, si è inserito un aggiornamento che porta la soglia al 50% di quella iniziale. Fifty Fifty, come si suol dire! Con il rischio di continuare a mangiare cibo inquinato.
Le soluzioni ci sono, e questa che vedete è capace di depurare i fanghi direttamente dove vengono raccolti, trasformandoli in risorse pulite e nutrienti, riducendone peso e volume del 90%, usando pochissima energia esterna e producendo energia rinnovabile. Si tratta di un essiccatore biotecnologico che non usa combustione diretta, dove nella prima parte il calore emesso dalle sostanze organiche viene recuperato e diventa energia per essiccare i fanghi. Successivamente attraverso un procedimento in assenza di ossigeno i fanghi vengono portati a temperature che vanno dai 350C° ai 700C° – secondo la qualità della materia di partenza. Il prodotto che esce da questo macchinario si chiama biochar ed è altamente fertilizzante. I vostri macchinari dove li avete installati?

Matteo Longo: Abbiamo installato le nostre prime macchine negli USA, il più importante si trova a San Francisco dove trattiamo 7000 tonnellate all’anno di fanghi di depurazione. Noi le macchine le produciamo in Italia, proprio perché vogliamo lavorare con le piccole-medie imprese italiane a costruire le nostre macchine.

Cristina: Oltre ai vantaggi ecologici che abbiamo visto, quelli economici quali sono?

Matteo Longo: Quelli economici sono molto interessanti. Complessivamente, in Italia vengono prodotte circa 3.000.000 di ton/anno di fanghi di depurazione. E hanno un costo di smaltimento di circa 150€/ton (totale 450.000.000 €/anno). Con i nostri processi andremmo ad abbattere del 90% il costo proprio grazie alla diminuzione del rifiuto, che poi possiamo anche riutilizzare come ammendante per il terreno nel caso del biochar.

Cristina: Il biochar serve come materiale filtrante per bonificare acque inquinate e fumi nocivi. Può diventare un biomateriale per il design e l’architettura, filamento per le stampanti 3D e chissà …. Conviene a tutti fare i conti con la realtà. E promuovere l’economia circolare. Non solo a parole ma coi fatti.

La zeolite di ZeoVertical

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ZeoVertical è un sistema di coltivazione verticale che utilizza la zeolite al posto del terriccio. La zeolite è un minerale di origine vulcanica, in grado di trattenere l’acqua e favorire una forte ossigenazione delle radici, oltre a migliorare il meccanismo di assorbimento della nutrizione delle piante.

Cristina: I sistemi attuali di produzione e distribuzione di cibo vanno riprogettati, la popolazione mondiale in crescita, sempre più concentrata nelle città, le risorse naturali più scarse anche dal punto di vista qualitativo. Buongiorno Roberto, voi che soluzione avete progettato?

Roberto: Noi proponiamo un sistema di coltivazione verticale dove all’interno dei coltivatori c’è la zeolite. Il sistema di coltivazione ci consente di risparmiare acqua, risparmiare energia e di produrre di più con maggiore qualità.

Cristina: Questo tutto grazie proprio alla zeolite che è il minerale più presente nelle terri vulcaniche giusto?

Roberto: Si, il sistema è molto semplice. Prende acqua da una cisterna, l’acqua viene immessa in un circuito idraulico, il coltivatore viene irrigato e il sistema recupera addirittura anche l’acqua, abbiamo un notevolissimo risparmio idrico grazie ad un sistema di irrigazione intelligente che abbiamo progettato e grazie a dei sensori che vengono a interrogare da questo sistema, riusciamo a capire quando la pianta ha realmente bisogno di bere.

Cristina: E grazie alla zeolite beve meno, giusto?

Roberto: Beve molto meno, abbiamo un risparmio idrico che va oltre il 90 percento.

Cristina: Ha bisogno però di corrente elettrica?

Roberto: Ha bisogno di pochissima corrente elettrica e addirittura noi ci facciamo aiutare dall’energia rinnovabile.

Cristina: Grazie Roberto. E tu Vittorio cosa mi racconti della zeolite?

Vittorio: Cristina pensa che abbiamo fatto dei test estremi, abbiamo lasciato delle piante per quattro mesi senz’acqua nella zeolite e sono rinate tranquillamente appena irrigate. Poi, oltre a questo la zeolite chimicamente favorisce lo scambio cationico che è il meccanismo con il quale le piante si nutrono normalmente. La zeolite ha una grandissima capacità di scambio perché la sua superficie non solo è piena di microporosità, ma anche al suo interno ce ne sono tantissime, come una pallina di golf in cui ci sono tante cave in cui si incastrano molecole d’acqua fertilizzate e anche di aria. Oltre a questo la zeolite già di fatto è un fertilizzante perché è ricca di calcio e di magnesio. Il nostro obiettivo principale è stato quello di realizzare un sistema che potesse essere utilizzato per la coltura domestica, quindi l’orto sul balcone, facile da usare e che permettesse anche di coltivare un ortaggio di qualità, anche molto salubre. Poi ci siamo resi conto che la richiesta è arrivata più dall’industria e questo ci ha anche un po’ meravigliati. QUindi in questo momento siamo focalizzati in un sistema industriale, modulare, che abbia le stesse caratteristiche ma che riesca a migliorare quelli che sono i fabbisogni del mercato.

Cristina: Come si traduce poi nel sapore di quello che cresce?

Vittorio: La nostra zeolite in particolare ha un’alta capacità di cabasite e phillipsite, questo tipo di zeolite ci permette di ottenere i risultati che vogliamo, quindi un incremento del gusto e della qualità.

Cristina: Non è più tempo per poche soluzioni che soddisfano i bisogni, soprattutto dal punto di vista del cibo e dell’energia, di tante persone. Abbiamo molte opportunità da esplorare. Occhio al futuro.

La tecnologia satellitare che riduce gli sprechi idrici

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La media nazionale delle perdite idriche è del 39,1%. Il Responsabile Acquedotto di HERA, l’Ing. Emidio Castelli, ci spiega come la tecnologia satellitare può ridurre notevolmente questa percentuale nel nosto paese.

Cristina: La rete idrica italiana perde quasi il 40% della sua portata, oggi ci occupiamo di questo e di qualche soluzione. Voi avete circa il 10% in meno rispetto alla media nazionale di perdite nella rete idrica. Come avete conseguito questo risultato?

Emidio Castelli: Investendo e ragionando su diverse tecnologie che possono aiutare a ridurre le perdite. Dalle tecnologie di telecontrollo di porzioni di rete a sistemi acustici per individuare possibili perdite di rete sul campo e recentemente anche con l’introduzione di sistemi satellitari e monitoraggio del terreno. Si tratta di un sistema che fa un analisi spettrometrica del terreno, individuando possibili punti con presenza di acqua, correlate attraverso un algoritmo con la nostra rete acquedottistica, ci individua delle zone dove potrebbero esserci delle perdite

Cristina: Quante perdite avete identificato e riparato?

Emidio Castelli: Negli ultimi tre anni abbiamo individuato 2.400 perdite circa, e 214 di queste attraverso la tecnologia satellitare. Si tratta di perdite occulte che possono avere poca dispersione, ma prolungata nel tempo. L’attività svolta ci ha consentito di recuperare circa 750.000 metri cubi di acqua, l’equivalente di circa 450 milioni di bottiglie d’acqua.

Cristina: Sulla gestione della rete fognaria qual è la visione?

Emidio Castelli: Il servizio idrico è un servizio integrato che parte dalla potabilizzazione dell’acqua per portare l’acqua nelle case dei cittadini fino al riutilizzo delle acque da sistemi di fognatura e depurazione. Bisogna sempre più ragionare con quelli che possono essere strumenti di riutilizzo, anche diretto, delle acque e avere una visione di economia circolare della risorsa idrica.

Cristina: Diciamo che purtroppo non è né prodotta né distribuita in maniera l’acqua. Ci sono certe zone che ne hanno tantissima e altre zone che sono aride.

Emidio Castelli: È importante lavorare investendo, sia nelle interconnessioni delle reti, ovvero quello di mettere in comunicazione reti e acquedotti diversi, sia lavorare sulla realizzazione di bacini di accumulo che acconsentano di poter avere l’acqua accumulare la quando dove non ce n’è bisogno, per poterla ridistribuire quando c’è una criticità idrica.

Cristina: A partire dall’accumulo sui tetti delle case ad esempio..

Emidio Castelli: Anche a livello domestico, utilizziamo l’acqua potabile per degli usi che delle volte non sono prettamente necessari.

Cristina: Grazie. Torniamo a recuperare l’acqua come la usavano i nostri nonni e usiamola con responsabilità. Occhio al futuro

In onda 6-10-2018

La depurazione di Captive Systems

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Captive Systems, uno spin-off del Politecnico di Milano, produce materiali ferromagnetici utilizzati per la depurazione

Cristina: Oggi vi parliamo di un sistema per depurare gli inquinanti nell’acqua. Buongiorno Gianni, di che cosa si tratta?

Gianni Franzosi: Si tratta di microspugne, funzionalizzate con delle microparticelle in grado di poter captare l’inquinante all’interno di ogni soluzione. Queste nanospugne sviluppano una superficie assorbente molto importante, basta pensare che in due grammi di prodotto si sviluppa una superficie pari ad un campo da calcio. Vengono introdotte all’interno di una soluzione inquinata, le particelle agiscono assieme all’inquinante e possono essere estratte tramite un magnete.

Cristina: Quindi devono comunque passare per un filtro oppure un bacino?

Gianni Franzosi: Una semplice calamita è in grado di poterle attrarre ed estrarre dal liquido, a questo punto avremo l’acqua completamente depurata e gli inquinanti tutti aggregati alle particelle, che a loro volta possono essere recuperate ed usate come materie prime in successivi cicli di produzione e l’acqua invece utilizzata per usi comuni.

Cristina: Quindi si riciclano anche gli inquinanti?

Gianni Franzosi: Assolutamente si, in una sorta di economia circolare.

Cristina: Immaginiamo quindi di depurare una falda inquinata, e ce ne sono tante..

Gianni Franzosi: Purtroppo si. È banale, l’acqua è munta dalla falda, può passare all’interno di un filtro, questo filtro è addittivato con queste particelle. La parte inquinante si blocca all’interno del filtro e l’acqua depurata continua.

Cristina: Questo riguarda i metalli..

Gianni Franzosi: Si, la caratteristica delle particelle è che sono personalizzabili. Il nucleo centrale è sempre un nucleo magnetizzabile, il rivestimento attorno invece lo si può adeguare alla situazione dell’ambiente che abbiamo. Se abbiamo un ambiente ricco di idrocarburi la funzionalizzeremo per gli idrocarburi, in uno ricco di metallo per i metalli e così dicendo.

Cristina: E gli antibiotici e pesticidi che inquinano molte falde?

Gianni Franzosi: Senza alcune problema, assolutamente si.

Cristina: Rispetto ai sistemi di depurazione negli impianti industriali quale innovazione avete?

Gianni Franzosi: Il grande vantaggio è quello di poter comprimere in spazi molto piccoli tutto il set di depurazione, sfruttando quella che è la superficie assorbente delle particelle.

Cristina: Come nasce questa startup?

Gianni Franzosi: La startup è nata grazie alla sinergia tra la ricerca del Politecnico di Milano e l’industria.

Cristina: Grazie Gianni. È confortante sapere che gli inquinanti invisibili e minacciosi abbiano sempre più nemici. Arruoliamoli con audacia. Occhio al futuro

In onda 26-5-2018

Una conversazione sull’acqua con Luca Mercalli

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In occasione della giornata mondiale dell’acqua e la prima edizione di Labirinto d’Acque, summit internazionale dedicato al tema nel Labirinto della Masone, abbiamo parlato con il climatologo Luca Mercalli sulle possibili soluzioni ai nostri problemi idrici

Cristina: I problemi legati all’acqua li conosciamo, le soluzioni però sono meno ovvie. Siamo a Fontanellato in provincia di Parma perché qui si tiene un convegno sul tema e in questo bellissimo labirinto incontriamo il climatologo Luca Mercalli. Quali sono le soluzioni che stanno emergendo in queste giornate per colmare questa distanza enorme tra ciò che sappiamo e come ci comportiamo e come viviamo.

Prof. Luca Mercalli: La prima è ancora e sempre la consapevolezza, non c’è n’è mai abbastanza e poi oltre ovviamente alla consapevolezza ci sono le azioni concrete. Concrete cominciano dal contadino, da noi stessi, tutti sappiamo che dobbiamo usare bene l’acqua a partire da casa nostra. C’è anche l’acqua nascosta, non dimentichiamo l’acqua virtuale. Un paio di jeans, di quelli strappati, valgono 8.000 litri d’acqua nella loro fabbricazione dal campo di cotone alla commercializzazione. Infine, la politica e le grandi strategie, quando parliamo di acqua bisogna pensare a lungo termine perché quando devi lavorare sulle strutture, acquedotti, invasi, canali, non sono cose che si fanno in una notte quando c’è l’emergenza.

Cristina: Noi siamo viziati da un’abbondanza, di acqua, in particolare nel nostro paese.

Prof. Luca Mercalli: L’estate del 2017 ci ha fatto vedere che anche in un paese ricco d’acqua può andare in una situazione di stress enorme. Roma senz’acqua tra luglio e agosto, la pianura Padana con episodi a macchie di leopardo hanno toccato prima il Veneto e poi il Piacentino e poi il Piemonte. Ci siamo già dentro, questi sono le avvisaglie di ciò che potrebbe succedere in futuro con il riscaldamento globale che non fa altro che esacerbare ed amplificare queste situazioni.

Cristina: Alla fine le soluzioni sono nei comportamenti.

Prof. Luca Mercalli: Non solo, sono anche nella programmazione politica a lungo termine perché una diga o un’acquedotto non la facciamo io e te, la fa una collettività. Noi possiamo scegliere cosa fare a casa nostra. Io per esempio ho costruito una cisterna per raccogliere l’acqua piovana, il mio tetto raccoglie le piogge quando ci sono soprattutto in inverno e primavera e l’acqua mi serve per irrigare il mio orto durante l’estate.

Cristina: Sono buone misure per capire quanto è preziosa l’acqua.

Prof. Luca Mercalli: Ogni paese ha le sue soluzioni, quindi dobbiamo pensare che dalla Cina all’Australia al Sael, ogni paese si deve adeguare alle sue risorse idriche anche alla società. Quindi ci sono in questi convegni tante proposte adeguate alla geografia vasta del mondo, dalle toilette secche senz’acqua, alle costruzioni di grandi infrastrutture per la depurazione e la desalinizzazione.

Cristina: Mentre cercheremo noi l’uscita da questo labirinto, speriamo che siano tanti insieme a noi a volerla trovare.

Prof. Luca Mercalli: La strada della sostenibilità una sola, un po’ difficile ma la troveremo.

I danni dell’estrazione mineraria

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Cristina: Questo oggetto che tutti usiamo contiene più di 40 minerali, che vengono estratti in ogni parte della terra. Estrarli crea danni importantissimi sia alle popolazioni che vivono vicino alle miniere, che all’ambiente.

Flaviano Bianchini: Oggi il 38% delle foreste primarie del mondo sono minacciate dall’industria estrattiva. Pensate che solo l’acqua che le miniere che inquinano negli Stati Uniti, solo in un anno, se le mettessimo tutta in delle bottiglie di plastica ne avremmo abbastanza per andare dalla terra alla luna, andata e ritorno, 54 volte. Pensa che per estrarre i 20 grammi necessari a produrre un anello d’oro, bisogna estrarre dalla terra 20 tonnellate di roccia e poi dissolverla con del cianuro. Vicino alla miniera d’ora in Honduras, la mortalità infantile è 12 volte più alta della media nazionale. In Perù, sulle Ande, dove invece viene estratto il rame il 100% degli 80.000 abitanti della città di Serro de Pasco andrebbe ospedalizzato d’urgenza per la presenza di metalli nel loro sangue e la speranza di vita media di quella città è di 15 anni inferiore alla media del Perù. Una miniera d’oro di medie dimensioni come la miniera di Serro de Pasco sulle Ande in Perù, produce la stessa quantità di spazzatura, di rocce, di tutte le città degli Stati Uniti messe insieme, in un anno. Quindi nella città si crea una lotta continua per lo spazio. I bambini giocano a calcio sugli scarti minerari. L’ospedale è quasi seppellito dagli scarti. In Mongolia c’è una miniera d’oro che è un deposito fluviale, quindi nel letto di un fiume lunga 16 km, questo comporta che pastori nomadi devono fare 30km per andare a prendere l’acqua. Pensa che per le attività minerarie tra il 1990 e il 1998 in Ghana sono state sfrattate 30.000 persone. Abbiamo insomma tutto il mondo che giustamente si è indignato all’ISIS che faceva saltare in aria Palmira, in Messico nello stato di Guerrero una compagnia mineraria ha fatto saltare in aria una piramide Olmeca, però li l’hanno chiamato sviluppo.

Cristina: E per noi consumatori quali soluzioni ci sono?

Flaviano: Innanzitutto consumare meno è meglio. Evitare di cambiare prodotti ogni due settimane, desiderare di possedere mille cose. Per esempio esiste una certificazione dell’oro etico e esiste un telefonino che è composto principalmente da minerali riciclati, per di più si può smontare. Per esempio quando la batteria è esausta non si deve cambiare l’intero telefonino, si cambia la batteria, si ricompra e non si cambia tutto il telefono. Se si rompe la telecamera si può sostituire solo quella, il chip lo stesso. Questi sono tutti minerali che si risparmiano e se ne risparmia l’estrazione.

Cristina: Oltre che essere fedeli ai nostri coniugi forse dovremmo essere anche un po’ più fedeli alla terra, che ne dite?